martedì 25 aprile 2017

ANALISI DI UN CLÁSICO MEMORABILE

Domenica abbiamo assistito a uno spettacolo che difficilmente scoderemo. Merito delle due squadre sicuramente, ma anche di un Messi alieno.


Il paragone tra Lionel Messi e Rocky Balboa potrebbe suonare strano a qualcuno, quasi certamente utopico alla maggior parte delle persone di questo mondo. Bizzarro per il semplice motivo che Messi non ha né il fisico e né l'altezza per essere un pugile ma nemmeno, a detta di alcuni, il carisma e la determinazione a rialzarsi sempre tipici del boxeur di Philadelphia. 
Ieri invece, dopo essere stato steso da una gomitata ricevuta da Marcelo, il nº10 del Barcellona si é rialzato e con una doppietta sontuosa ha permesso alla sua squadra di agganciare il Real Madrid in testa al campionato, riaprendo di fatto la Liga. Ma prima di elogiare l'alieno proveniente da Rosario, ripercorriamo il Clásico 2017, un match che difficilmente sarà dimenticato.

Prepartita: Neymar squalificato, Bale in campo acciaccato
Real e Barcellona arrivano alla partita con due stati d'animo differenti. I Blancos stanno cavalcando l'onda dell'entusiasmo dato che sono primi in Liga e hanno raggiunto, dopo varie polemiche, la semifinale di Champions eliminando il Bayern Monaco. Il Barça viene invece dal pareggio casalingo nel ritorno dei quarti con la Juve, che ha sancito la sua eliminazione dal torneo continentale più prestigioso. Per i blaugrana, Alcácer sostituisce lo squalificato Neymar, con Jordi Alba che riconquista il posto da terzino sinistro. Per il Real, Bale (assente nel ritorno contro i tedeschi) viene schierato titolare nonostante sia rientrato da poco da un infortunio. 

1º Tempo: dominio Real, lampo folgorante di Messi
Qualsiasi tifoso, in qualsiasi parte del mondo, mi confermerà che dire che il primo tempo é stato solo  a tinte bianche é un eufemismo. Perché minimizzare il dominio madrileño significa dire il falso. Il Real sarebbe potuto passare in vantaggio al 2' se l'arbitro avesse fischiato il contatto netto tra Umtiti e Ronaldo. Ma alla fine l'ha fatto 28 minuti dopo, con Casemiro che é stato il più rapido ad avventarsi sul pallone che, dopo il tiro sul palo di Ramos, danzava sulla linea di porta. In questa quasi mezz'ora di dominio dei padroni di casa, il Barcellona era sostanzialmente spaesato, incapace di reagire e di rispondere colpo su colpo ai ripetuti attacchi dei giocatori indossanti la maglia del Madrid. 
L'episodio che ha svegliato il Barça é stato, senza ombra di dubbio, la gomitata di Marcelo sui denti di Messi. Vedere il genio argentino a terra, con la bocca sgorgante di sangue, ha dato la carica agli uomini di Luis Enrique, e soprattutto al suo uomo più intelligente, di nome Leo Messi. Un uomo, che una serpentina tra Modric e Carvajal, e con uno sinistro sotto le braccia di Navas, ha rimesso in carreggiata una squadra spenta e come direbbero in Spagna, desanimada. Negli ultimi 10' il Barcellona ha attaccato, ha creato ma allo stesso tempo sprecato due grandi occasione, tra cui una proprio con l'argentino, a porta vuota dopo un'uscita errata del portiere del Real

2º Tempo: botta Barça, risposta Real, match-winner firmato Leo
Il secondo tempo é stato intensissimo e bellissimo, visto che le due squadre hanno avuto molte occasioni con cui ribaltare a loro favore la partita: ma prima la non freddezza sotto porta, di Piqué al 59' e di Ronaldo al 67', poi le grandi parate dei portieri, Ter Stegen su Benzema al 55' e Navas su Suarez al 69', hanno fatto rimanere bloccata la partita sull'uno pari. 
É stato necessario un lampo eccezionale da fuori di Rakitic al 75' per garantirci un finale di gara scoppiettante: per il croato, che non attraversa un periodo e in generale una stagione positiva, un gol importante sia per il morale che per la classifica. Dopo il gol del nº4 del Barcellona, il match sembrava ormai in mano della squadra di Luis Enrique, dato che neanche i cambi avevano fino a quel momento aiutato Zidane. Ma é stato stavolta Sergio Ramos a stravolgere di nuovo la partita, che con il suo rosso, scaturito da un'entrata assassina su Messi, ha obbligato l'allenatore francese a buttare nella mischia anche James Rodriguez. Il colombiano, da molto tempo sul mercato e praticamente con le valigie in mano, ha impiegato solo otto minuti, dal 77' all'85' a far ricredere tutti, sfruttando una disattenzione difensiva del Barcellona e trasformando in rete il cross di Marcelo. 
A quel punto tutti, me compreso, credevano che il pareggio sarebbe stato in ogni caso il risultato finale, un risultato che comunque non aveva impedito alle due squadre di offrire un grande spettacolo. 
Ma neanche se fossimo stati nel più bel sogno della nostra vita ci saremmo immaginati un'ultima azione del match così emozionante. Da quando Sergi Roberto prende palla nella sua meta campo e inizia l'azione saltando uomo a uomo quelli del Real Madrid, evitando di essere steso da Marcelo, a quando Messi, dopo l'assist di Jordi Alba, confeziona la sua personale doppietta con un tiro spettacolare dove nessun umano può arrivare, ecco in quella manciata di secondi che portano la "Pulce" a mostrare fieramente la sua maglia al Bernabeu, sono rappresentate le emozioni che il calcio é capace di trasmetterci. 

Alla fine di tutto, c'é solo un purissimo sentimento di ammirazione per quel "piccoletto" che domenica sera é contemporaneamente diventato il miglior marcatore del Clásico e raggiunto quota 500 gol in carriera. Meglio di lui hanno fatto solamente Pelé, Puskas e Müller, ma c'é da dire che, pur con tutto il rispetto che si può avere per tre leggende di questo sport, fare mezzo migliaio di gol ora come ora é un lavoro sicuramente più complicato.
Ma come ben si sa, le mansione più complicate, quelle che richiedono più sforzo e più ingegno, vengono sempre affidate ai migliori. E la partita di domenica sera ne é un esempio.

martedì 11 aprile 2017

OBBLIGATI A VINCERE

I risultati parlano da soli: 10 vittorie, 3 pareggi e una sconfitta in 14 match. L'analisi, zona per zona, di una squadra obbligata a vincere 



Sette anni fa un certo Steve Jobs si presentava sul palco del Yerba Buena Center di San Francisco, con il solito pullover nero, i sempre presenti jeans e gli occhiali di una vita. Era lì per presentare l'Ipad, un unione tra lo smartphone ed il computer, che avrebbe da quel momento rivoluzionato per sempre il mondo della tecnologia contemporaneo. Lo stesso anno, ventitré giorni prima, era stato inaugurato a Dubai il grattacielo più alto del mondo, il Burj Khalifa, che con i suoi 829 metri superava il record precedentemente detenuto dal Taipei 101 a Taiwan. Otto giorni più tardi, un terribile terremoto di magnitudo 7 si abbatteva su Haiti causando oltre 200.000 vittime.
Ed é proprio da quell'anno che non vediamo il Brasile guidare orgogliosamente il Ranking FIFA, guardando tutti dall'alto verso il basso. 7 anni difficili, che hanno visto alternarsi momenti di euforia (Confederations Cup 2013 e Olimpiadi 2016) a periodi di forte depressione (Mondiale 2014 e Copa America Centenario). In questo settennio abbiamo visto scambiarsi la panchina ben quattro allenatori: in ordine cronologico, Dunga dal 2006 al 2010, Menezes dal 2010 al 2012, Scolari dal post Olimpiadi di Londra al post Mondiale, poi di nuovo Dunga fino alla Copa America Centenario, ed infine Tite. 
Quest'ultimo, il cui vero nome é Adenor Leonardo Bacchi, é divenuto CT nel giugno dello scorso anno, e fino ad ora é il vero artefice della prematura qualificazione della sua nazionale ai prossimi Mondiali in Russia. Lo score parla chiaro e afferma che il Brasile su 14 match disputati ne ha perso solo uno, pareggiandone tre e vincendo il resto delle partite. Risultati così importanti sono degni di essere menzionati. Ed é quello che andremo a fare: l'analisi zona per zona di una squadra obbligata a vincere. 

Portiere e linea difensiva
Alisson, Dani Alves, Miranda, Marquinhos e Marcelo. Questa é l'attuale linea difensiva del Brasile di Tito. Il portiere di riserva della Roma é l'unica vera scelta di qualità, dato che l'era dei vari Dida, Julio Cesar e Rodrigo Ceni é ormai passata. Nei giallorossi non gioca moltissimo, visto che il titolare é Szczesny, ma per ogni volta che ha giocato in Nazionale, per ora non ha deluso. 
Parlando della difesa, possiamo affermare che il talento di questi quattro é indiscutibile. Se poi ci aggiungiamo tutta l'esperienza accumulata in campo continentale e internazionale, ecco che otteniamo una delle difese più forti del momento. Magari non esattamente dal punto difensivo, dato che i due terzini prediligono la fase offensiva piuttosto che quella difensiva, ma dal Brasile é più che lecito aspettarselo.

Centrocampo
Chiariamo subito che il centrocampo non vende qualità di primissimo livello. I tempi di Juninho e compagnia, dai cui piedi trasudava purezza e tecnica, sono passati, e almeno ora si punta più alla quantità che alla qualità. Tutto inizia da Casemiro, che ora come ora é il pilastro, la colonna portante del "corpo" della squadra. Da giovane veniva chiamato Casemarra, soprannome dato dall'unione del suo nome alla parola marrento, che in italiano é traducibile con baldanza, eccessiva sicurezza in sé stessi. Era probabilmente dovuta al fatto che già sapesse all'epoca quali fossero le sue qualità, che gli hanno permesso di approdare al Real Madrid, in cui compone il trio di centrocampo con Modric e Kroos. Al suo fianco Tite ha sostituito Fernandinho e Luiz Gustavo, due giocatori molto europeizzati e quindi attualmente meno inclini al futebol bailado, con Paulinho e Renato Augusto, che pur non giocando in un campionato di primissimo livello come quello cinese, hanno ancora dentro di sé un minimo di DNA brasiliano che permette loro di adattarsi meglio al gioco della squadra. 

Attacco
L'attacco é la parte migliore, in ogni era, della nazionale carioca. Sarà per la qualità degli interpreti, o per il modo di giocare del Brasile stesso, ma l'attacco é sicuramente ciò a cui pensiamo appena sentiamo parlare di Brasile e di calcio. Da Leonidas a Neymar, passando per gente come Pelé, Ronaldo, Ronaldinho e chi più ne ha più ne metta, la gamma di prodotti migliori, i verdeoro ce l'hanno sempre avuta nei calciatori che giocano negli ultimi 20 metri. E dopo un Mondiale 2014 disastroso, che ha visto come punta un vagabondo qual é Fred, il quale sicuramente non può essere considerato un attaccante degno di una maglia come quella brasiliana, sembra che ora Tite, con il trio Neymar-Coutinho-Firmino abbia finalmente trovato la quadratura del cerchio. Certo questo modulo non ha un vero e proprio centravanti di riferimento, ma é ormai da una decina d'anni che molti hanno optato per schierare il falso nueve.
Il Neymar in versione nazionale é stratosferisco: un giocatore totale, universale, dalle qualità tecniche sovrannaturali, che appena prende palla ti mette una paura da farti scappare a gambe levate. Poi, se consideriamo che l'egoismo e l'atteggiamento di superiorità di una volta sono scomparsi, non possiamo che avere l'immagine di un giocatore completo sotto tutti i punti di vista. 
Anche Coutinho e Firmino paiono rigenerati, soprattutto dalla cura Liverpool, che li ha fatti crescere e maturare al punto giusto, rendendoli completi semmai non lo fossero ancora. Le loro qualità tecniche, come quelle del loro compagno di reparto, rimangono indiscutibili, mentre ci sarà da testare la loro maturità in un palcoscenico importante come sarà quello del Mondiale russo. 
Se poi pensiamo che la vera punta del sistema offensivo brasiliano, Gabriel Jesus, é ai box per infortunio, capiamo quale sia la reale potenza di fuoco di questa squadra, che in soli 6 mesi ha cambiato completamente faccia. 

Ma tutti questi aspetti teorici, mentali e psicologici su cui ci stiamo soffermando, già sappiamo come ai brasiliani molto non interessino: a loro importano i fatti, quelli concreti, e scaldare il freddo della Russia con il loro calore carioca, non credo che darebbe loro fastidio. Al contrario, sarebbe un motivo in più per caricare l'ambiente e una squadra, che é da sempre obbligata a vincere.