martedì 6 febbraio 2018

QUESTO FEDERER É IRRAGGIUNGIBILE

La leggenda svizzera, fresca vincitrice del secondo Australian Open di fila, pare regnare incontrastata. Ecco due motivi utili per comprendere la situazione.




Chissà se il tennis sarebbe mai diventato quello che é oggi senza Joseph Guillotin (1738-1814), medico e politico francese del 18º secolo. Il riferimento, pur sembrando casuale, non lo é, perché quest'uomo ha davvero avuto un'importanza cruciale nello sviluppo dell'attuale sport. Per comprendere meglio il tutto dobbiamo tornare indietro di più di due secoli, per l'esattezza al 20 giugno 1789. In Francia la situazione politica non era delle migliori già da qualche anno: i problemi economici, tra cui la caduta dei prezzi agricoli della viticoltura e la conseguente carestia, avevano causato più di qualche danno al popolo francese, che si ritrovava a vivere ormai in un grave stato di povertà. Ad aumentare ancor di più il malcontento, ci fu nel 1788 la crisi del pane, che arrivò a costare quattro soldi per libbra nella capitale. Popolo in rivolta, famiglia reale rintanata nel Palais de Tuileries, rappresentanti del Primo Stato in fuga. La Rivoluzione Francese vera e propria non era ancora cominciata, ma la "Presa della Bastiglia" era ormai in avvicinamento. 
Il 20 giugno dell'anno 1789, l'Assemblea Nazionale si stava per riunire in una sala di un hotel di Versailles, quando giunse la notizia che il re l'aveva chiusa per manutenzione. Tra borghesi in preda al panico e contadini indemoniati, si levò dal coro la potente voce di Guillotin che con grande solennità gridò: "Alla Pallacorda!". Quel giorno, in cui i partecipanti giurarono di creare una Costituzione francese che potesse liberarli dall'ancien régime, il tennis assunse per la prima volta una certa rilevanza. 

Con il tempo, come accade a ogni elemento della realtà che ci circonda, anche lo sport conosciuto come jeu de paume si é evoluto, ed ha anch'esso conosciuto varie rivoluzione. Una di quelle più impetuose, se non la più funesta, é stata quella di Roger Federer. La "RF Revolution" ha qualche tratto in comune con quella del 18º secolo tra cui la necessità di ribaltare un potere ormai monotono (Sampras e Agassi) e una certa violenza nello spazzar via le sicurezze dei sovrani. 
Federer in realtà é andato oltre il semplice passaggio di testimone, cambiando il tennis in maniera radicale e totale. L'innata eleganza, la maestria mostrata nel colpire la pallina, la tecnica sopraffina che si nota a ogni giocata, unite al killer instinct di un freddo calcolatore (capace di lasciar intravedere le emozioni quando necessario), hanno reso il campione svizzero l'archetipo del tennista perfetto. In chimica, l'aumento di temperatura scioglie il ghiaccio. Nello sport, vedere Federer scioglie tutti i cuori, anche quelli di pietra.

Tuttavia, nonostante la giovinezza sia passata da qualche anno, RF sembra che stia vivendo una rinascita professionale, dopo un momento di declino, tanto da far pensare che in realtà Federer stia vivendo in un momento di eterno presente. Questo é perché da un lato i fenomeni della sua generazione, más o menos, tra cui Djokovic e Murray sono tormentati continuamente dagli infortuni, mentre i talenti della NextGen non sono ancora abbastanza maturi per competere ad altissimi livelli. Ecco perché Roger Federer, in questo momento é ancora irraggiungibile.

Gli acciacchi fermano anche i migliori
26 luglio 2016. Il campione svizzero annuncia che a causa dei problemi fisici, la sua stagione si può considerare terminata. Niente Olimpiadi, niente Us Open, né ATP World Finals: un incubo senza fine. Nel frattempo anche Nadal é in una situazione molto simile, dato che il polso ha fatto da poco crac. Per Rafa non é la prima volta, visto che ha avuto la bellezza di 16 infortuni nel corso della sua carriera che hanno inficiato non di poco le sue possibilità di dominio. Mentre due giganti cadono, altri due accedono al paradiso. Novak Djokovic e Andy Murray sono al settimo cielo. Il serbo si può vantare di aver messo in bacheca l'Australian Open e il Roland Garros, completando il famoso Grande Slam a cui tutti i tennisti aspirano. Tuttavia, la sconfitta nell'ultimo torneo della stagione, non permette a Nole di raggiungere il primo posto nel ranking. Il tennista scozzese invece ha conquistato il tanto ambito Wimbledon e le ATP World Finals, chiudendo in maniera fantastica un anno che gli assegna il primo posto nella classifica tennistica mondiale.

Due anni più tardi, la situazione é completamente capovolta. Murray e Djokovic sono fermi ai box, mentre i due "anziani" del circuito si spartiscono i trofei. Federer ha appena vinto l'Australian Open (due di fila), mentre Nadal si trova ancora in cima alla classifica, nonostante proprio lo svizzero si trovi a soli 200 punti di distanza.

Quello che però sorprende tutti é il fatto che Federer non abbia mai avuto, dopo il tormentato 2016, nessun infortunio rilevante, al contrario degli altri tre "big", che sono stati traditi rispettivamente dal gomito (Djokovic), dal ginocchio (Nadal) e dall'anca (Murray). Una costanza e un livello di salute incredibili per il campione elvetico, che da sempre ha avuto qualche acciacco che gli ha impedito di affrontare al massimo tutte le stagioni. Quest'anno pare invece avere un'integrità fisica inscalfibile, come un vero e proprio diamante. Una similitudine non casuale, dato che la tecnica sopraffina fa brillare RF come la più luccicante tra le pietre preziose. Se Federer dovesse reggere a questi livelli per tutto l'anno e presentarsi a livelli ottimali per i tornei più importanti, ecco che allora sarebbe tra i favoriti in ognuno di essi e potrebbe anche pensare di concludere l'anno solare davanti a tutti nel ranking ATP.

La maturità non é ancora arrivata
Dall'altro lato della medaglia ci sono i ragazzi in rampa di lancio della NextGen, la prossima generazione di fenomeni che invaderà i campi da tennis. I tre più quotati a seguire le orme dei grandi di quest'epoca sono il tedesco Alexander Zverev, il canadese Denis Shapovalov e il sudcoreano Chung Hyeon. L'aspetto che permette a RF di dominare é il fatto che questi tre futuri assi del tennis non sono ancora in grado di competere ad altissimi livelli, pur avendo vinto qualche torneo ATP o comunque pur avendo fatto una gran figura in uno di questi.

Il più esperto e affermato dei tre, nonché #4 del ranking, é Zverev, baby prodigio e figlio d'arte (suo padre Aleksandr rappresentò l'URSS in Coppa Davis) si é fatto conoscere al mondo nel corso dell'ultimo anno, quando si é messo in luce battendo prima Nole Djokovic agli Internazionali di Roma, tra l'altro vincendo, e poi il suo idolo d'infanzia Roger Federer, sconfitto in finale a Montréal.

Shapovalov é invece il miglior tennista canadese sulla piazza dopo il gigante Milos Raonic, e si é fatto un nome proprio nel torneo di casa a Montréal, sconfiggendo Rafa Nadal al terzo turno e arrendendosi in semifinale al coetaneo Zverev. Dotato di un ottimo rovescio a una mano, preso dalla madre ex tennista, e di un eccellente servizio, il canadese é uno di quei tennisti "completi a tutto campo", alla Sampras per intenderci, capace di rispondere in maniera eccellente sia da fondo campo che a rete.

L'ultimo enfant prodige é Chung Hyeon, che si é conquistato il palcoscenico internazionale in ben due occasione. Nella prima vincendo l'edizione numero 1 della "NextGen ATP Finals", l'equivalente delle World ATP Finals per i giovani in rampa di lancio, sconfiggendo il russo Rublev. Nella seconda invece ha battuto Nole Djokovic, non il primo che passa per strada, accedendo così alle semifinali in Australia, dove poi é stato sconfitto da Federer.

É proprio Chung che si collega al discorso del titolo. Il fatto é che questi giovani fenomeni, pur avendo tutte le carte in regole per dominare in futuro, non sono ancora pronti mentalmente ad affrontare le sfide dove la posta in palio é parecchio alta. Lo si é potuto notare molto banalmente nelle semifinali all'Australian Open, quando RF stava conducendo 6-1, 5-2 nel secondo set, prima del ritiro del sudcoreano. Aver battuto Djokovic significava che sicuramente il talento e la determinazione ci sono, ma probabilmente la mente non é ancora pronta per dominare a livelli eccelsi, e la facilità con cui Federer stava distruggendo l'avversario lo dimostra. Una volta compiuto questo necessario step, allora potremmo iniziare a considerare questi tre giovani tra i possibili candidati alla vittoria finale in ognuno dei quattro slam.

Ricordarsi delle sconfitte, fare tesoro di ciò che abbiamo appreso dalle cadute, é una delle cose più importanti per risalire più forti di prima, per rialzarsi e dominare chiunque dovunque. Freud diceva che "niente di ciò che abbiamo posseduto nella mente una volta può andare completamente perduto".
Speriamo che i fenomeni della NextGen, un'occhiata a Freud ogni tanto la diano. Le parole di un uomo austriaco morto 79 anni fa non fanno mai male soprattutto ai giovani d'oggi, erranti come il miglior Ulisse in un mondo che fa di nome incertezza.

domenica 21 gennaio 2018

I "PREMIER LEAGUE GLOBAL GAMES" SONO FATTIBILI?

E se ci fossero i "Premier League Global Games"? Tentiamo di capire la fattibilità di questo show, che nascerebbe sulla falsariga di ciò che già fa l'NBA



In questi mesi in Italia si é aperto un vero e proprio dibattito linguistico, che ha come oggetto di discussione l'apparente eccessivo utilizzo di parole inglesi. L'azione di usare nella propria lingua parole che provengono da altre ha un nome ben preciso, "prestito linguistico". Di esempi se ne possono trovare in quantità, dall'anglosassone baby-sitter al francese chef, ma quello che é importante sottolineare é come questi lemmi entrino successivamente a far parte della lingua che li ha presi in prestito in maniera del tutto naturale. Al giorno d'oggi, poche persone si sognano di chiamare il garage "autorimessa", o la baby-sitter "bambinaia". Questo é perché l'uomo tende ad usare più frequentemente le parole che trova più semplici. 

Anche nel calcio la situazione non é poi così differente, dato che noi italiani diciamo corner al posto di calcio d'angolo oppure manager al posto di allenatore. Volendo poi essere ancora più colti in materia ricorriamo all'uso dello spagnolo, sostituendo "trequartista" con "enganche" e "veronica" con "ruleta". Allontanandosi da questioni linguistiche, ma rimanendo sempre nel campo dei prestiti, si é diffusa da qualche tempo l'idea che la Premier League possa gentilmente copiare un evento creato dai loro cugini d'oltreoceano dell'NBA, vale a dire i "Global Games". 
Che il progetto americano abbia successo già lo si sa, per la partita a Londra i biglietti sono spariti in un'ora, ma avrà la stessa accoglienza se organizzato dagli uomini della Football Association? Tentiamo di capirlo. 

Premier League, un brand globale 
Se andassimo indietro nel tempo di 30 anni, troveremmo uno scenario completamente diverso. Un'Inghilterra calcistica devastata dalle conseguenze dell'Heysel, cinque anni senza competizioni europee, con un appeal europeo ed internazionale pressoché nullo. Pochi giocatori stranieri (di qualità), poca merce da vendere, poche entrate: semplice ragionamento logico. Poi negli anni '90 la nascita della Premier League e i primi grandi contratti con le televisioni permettono al campionato d'oltremanica di iniziare a spiccare il volo. Agli inizi del 2018, la lega inglese si ritrova ad essere il torneo più seguito del mondo, un brand globale la cui affermazione internazionale sembra non volersi arrestare. 8 miliardi di entrate per i diritti tv nazionali, altri 5 per quelli in tutti il mondo. 80 broadcaster in 212 nazioni differenti, con una media spettatori mondiale pari a 12 milioni circa (per intenderci quella del Clasico é di 2 milioni). La maggioranza degli spettatori esteri arriva dalle ex colonie, India e Malesia in testa, ma anche gli Stati europei non si vergognano a guardare la Premier, un marchio che si é ricostruito la nomea nel giro di soli 25 anni. 

Una parata di stelle 
L'altro aspetto che c'é da considerare é la presenza di giocatori di qualità che con la loro popolarità e fama possano attirare l'attenzione degli stranieri, anche di coloro che magari non conoscono fino in fondo il campionato in questione. Di questo aspetto, la Football Association non deve preoccuparsi, dato che le prime sei squadre hanno giocatori e tecnici di fama internazionale. Ibrahimovic, Pogba, Agüero, Hazard, Ozil, Salah e Kane sono tutti calciatori top, che giocano le competizioni internazionali da protagonisti. Per non parlare poi degli allenatori, a cominciare dal trio Guardiola-Mourinho-Conte, tre dei grandi coach del quadro calcistico europeo e non solo. Uno conosciuto per la sua rivoluzione (Guardiola), l'altro per i suoi titoli e per il trash-talking (Mourinho), e l'ultimo per il suo carisma (Conte). Uno discreto insieme di luce stellare, direi. 

L'interesse é reciproco?
L'ultima questione che la FA si deve porre riguarda l'interesse degli americani per il soccer, e se l'attenzione che hanno gli europei per il basketball può essere paragonata a quella degli statunitensi per il calcio. La crescita di questo sport nella Trumpland é nota in tutta Europa: l'MLS ha più spettatori medi della Serie A (21.692 vs 21.069), ha franchigie le cui entrate sono aumentate del 400% negli ultimi 10 anni, con ricavi incrementati del 25% nelle ultime tre annate. I diritti tv, nonostante non siano stati venduti a peso d'oro (solo 800 milioni in 8 anni), sono un primo passo verso l'espansione della lega al di fuori della madrepatria. Ciò che però manca al calcio negli Stati Uniti é l'interesse generale, anche da parte dei tifosi sportivi non esperti in materia di futbol: se vogliamo fare un esempio, 3 americani su 4 tra una partita di poco conto di baseball e una di calcio di grande livello sceglierebbero la prima opzione, non tanto per il livello, ma per la cultura sportiva che c'é nel Paese. In Inghilterra, sebbene la basketball culture sia pressoché nulla, c'é un certo interesse per l'NBA, soprattutto tra i giovani, qualcosa che oltreoceano avviene raramente. 

Insomma ciò che potrebbe frenare l'avvento dei "Premier League Global Games" potrebbe essere lo scarso appeal del calcio internazionale all'interno dei confini statunitensi. Il progetto, che nascerebbe sulla falsariga di quello che già il basket fa, non é per nulla brutto, e ha più di una possibilità di essere preso in considerazione dal pubblico americano, che in fatto di sport é molto esigente. L'idea di fare un pre-sondaggio, magari a livello nazionale, per vedere quale sarebbe l'impatto di un tale evento sulle menti degli americani sarebbe una buona azione da compiere. 
Speriamo che i vertici della FA lo capiscano prima di mettere in moto la macchina. 







lunedì 1 gennaio 2018

THE BEST OF THE YEAR: 10º-1º

Come tutti gli anni, a fine stagione spunta sempre la classifica dei migliori calciatori: in questo caso dalla 10º alla 1º

#10 Lewandowski


53 gol in 54 partite e 16 reti nelle qualificazioni mondiali sono il suo bottino di quest'anno, a cui si aggiunge la solita Bundesliga. Robert Lewandowski é una macchina da gol e qualsiasi allenatore ci sia, lui il suo mestiere lo farà dando il 100%. 

#9 Buffon


Un anno completo, quello di Gigi, fatto di più di una delusione ma anche di molte gioie. Il sesto scudetto consecutivo lo aveva consacrato tra i più grandi a livello nazionale, malgrado poi la consacrazione europea con la sconfitta a Cardiff, e quella mondiale con la vergognosa eliminazione contro la Svezia. Sarebbe stato il suo sesto mondiale consecutivo. Non lo sarà, ma la leggenda rimarrà scolpita nella storia di questo sport. 



#8 Modric


Con che regalo CR7 l'avrà ringraziato per l'assist valevole per l'1-3 in finale di Champions? Magari un orologio, o forse qualcosa di più, fatto sta che il croato ha avuto un ruolo significativo nella conquista dell'accoppiata Liga-Champions. Se a questo aggiungiamo che si é qualificato anche per i Mondiali, ecco che otteniamo il ritratto di un top player. 


#7 Hazard


Si racconta che l'ultima partita al Lille, Hazard la giocò da ubriaco. Quest'anno gli unici ad essere ubriachi erano i suoi avversari, quelli che scherniva con il pallone. 16 gol in Premier hanno dato il là alla cavalcata di Conte per la conquista della Premier. Questa volta, a tentare Eden c'é il Real, sogno di una vita. Vedremo come andrà a finire.

#6 Kane


Il vero bomber dell'anno é lui. Non Messi, non Ronaldo, ma Harry Kane, uomo copertina di quella macchina chiamata Tottenham. 56 reti nell'anno solare l'hanno consacrato come uno dei centravanti più prolifici del panorama europeo, mentre altre 39 come il miglior 9 d'Inghilterra. Per ascendere a livello mondiale, manca solo un ultimo tassello, che si chiama Russia 2018. 



#5 Mbappé


Una delle più importanti sorprese di quest'anno é un ragazzo che a 18 anni punta a conquistare il mondo. Qualcosa che ha già conquistato sono la Francia, prendendosi la Ligue 1 da protagonista col Monaco, e le attenzioni delle big, in particolare del Psg che se lo é assicurato per 180 milioni. 38 reti in 65 partite sono un bottino importante, notevole se parliamo di uno che é appena maggiorenne. Il futuro é suo e dei suoi coetanei, ma soprattutto é in buone mani. 


#4 De Bruyne


Che fosse un talento di livello mondiale ce n'eravamo accorti da un paio di stagione. Che Mourinho avesse fatto un gran errore a mandarlo via dal Chelsea pure. Il 2017 é stato l'anno della definitiva consacrazione di KDB a livello mondiale. Merito in parte suo, ma soprattutto di quel genio di Guardiola che, adattandolo a mezz'ala lo ha fatto rendere come non mai. Giocatore completo, tecnica sublime, umiltà invidiabile. Il perfetto genero. 

#3 Neymar


In due dei più emozionanti momenti dell'anno c'é lui protagonista. Prima guida la rimonta catalana ai danni del Psg, poi in estate decide di trasferirsi lì, a Parigi, per un cifra incredibile, cioè 222 milioni di euro. Riscrive il calcio dal punto di vista tecnico, perché il Psg diventa una potenza, ma soprattutto da quello economico, perché mai il calcio si era spinto oltre. Solo che Neymar non é il primo che passa: é una stella, é l'uomo che dominerà il mondo negli anni a venire. E ai fenomeni é concesso tutto. 

#2 Messi 


Il secondo posto é solamente dato dalla mancanza di trofei in bacheca. L'anno di Messi é un mix tra un 6.5 nella prima metà e un 8.5 nella seconda. Umano e battibile negli ultimi mesi di Luis Enrique al Barça, divino e infermabile nella seconda metà, rigenerato dal lavoro di un sant'uomo di nome Valverde. Ha steso il Real due volte, entrambe a casa sua, esultando sotto la curva blanca solo come una divinità si può permettere. Ha portato l'Argentina ai Mondiali, segnando una tripletta a 3000 metri d'altezza, quando tutto sembrava perduto. Ci ha reso ancora una volta partecipi di uno show che ci incanta da 12 anni a questa parte. 

#1 Ronaldo


Sua Maestà Cristiano Ronaldo, Cristiano o CR7, decidete voi come chiamarlo. Per il secondo anno consecutivo si ritrova in cima a questa classifica, e anche stavolta come nel 2016 non poteva essere altrimenti. Champions League, Liga, Mondiale per Club, Supercoppa UEFA, Supercoppa Spagnola, The Best, Pallone d'Oro: questo é il ricchissimo bottino di uno dei giocatori più forti della storia del calcio. Un altro anno magnifico per un ragazzo che partito da Madeira ha conquistato tutti, anche i più scettici, anche quelli che non avrebbero scommesso un euro su di lui. A suon di gol, di doppi passi e di record li ha fatti inchinare tutti. Ave Cristiano, mi rey. 

venerdì 29 dicembre 2017

THE BEST OF THE YEAR: 20-11

Come tutti gli anni, a fine stagione spunta sempre la classifica dei migliori calciatori: in questo caso dalla 20º alla 11º


#20 De Gea 


Sir Alex Ferguson ha affermato che ha saltato solo due match dello United nella sua vita: una volta per sposarsi, e l'altra per andare a veder giocare un ragazzo spagnolo di nome David de Gea. Il portiere iberico é stato senza ombra di dubbio il miglior goalkeeper della Premier in questo anno solare, chiudendo con 74 parate l'ultima stagione e stabilendo un nuovo record di salvataggi, 14, nel match contro l'Arsenal. Prestazione all'altezza del miglior estremo difensore del mondo, secondo José Mourinho. 

#19 Casemiro


Un incubo ancora vivo per Napoli e Juve, una goduria sconfinata per i tifosi del Real Madrid. Da giocatore secondario con Benitez, Casemiro é stato trasformato da Zidane nel faro del centrocampo dei blancos, quello che si occupa del lavoro sporco a fianco a Modric e Kroos. Il gol che ha rotto gli equilibri in finale è suo, e non poteva che non essere la ciliegina sulla torta di un grande anno. 

#18 Salah


Imprendibile nella Roma, devastante nel Liverpool. Dalla Serie A alla Premier é cambiato poco, Mohamed Salah é infermabile dovunque vada. Se agli 8 gol a Novembre si aggiunge il miracolo che ha compiuto portando l'Egitto ai Mondiali al 94' si può comprendere la grandezza di questo giocatore. 

#17 Cavani


52 gol in 56 partite per ora. Il Matador sembra in forma e con lui tutto il Psg. L'addio di Ibra é stato decisamente utile per dar sfogo a uno dei migliori attaccanti d'Europa, che con i due nuovi compagni d'attacco Neymar e Mbappé sta tentando di portare i titoli che contano sotto la Tour Eiffel. 

#16 Suarez


Dopo un finale di stagione poco splendente, causa la precoce eliminazione dalla Champions, si pensava che la partenza di Neymar avrebbe affossato definitivamente la squadra. Non é successo, e Suarez con i suoi 10 gol in 22 partite lo ha decisamente dimostrato. Per fare ancora meglio dovrà sorprendere anche al Mondiale con l'Uruguay.

#15 Kroos


Metronomo, orologio, pendolo. Chiamatelo come volete ma Toni Kroos é la perfetta sintesi dell'uomo ideale tedesco. Preciso come un orologio, rigido e sempre attento alle regole. Il geometra del Real ha un peso notevole e l'ha fatto notare, a spese del Napoli, soprattutto in Europa, dove conta di più.

#14 Kanté


Il vero motore del Chelsea, l'uomo senza il quale i Blues perdono l'intensità che caratterizza le squadre di Antonio Conte. Uno dei grandi protagonisti della trionfale cavalcata dello scorso anno che ha portato in bacheca una Premier.

#13 Ramos


Il capitano di un'armata invincibile, di uno squadrone che sembra avere pochissimi rivali. L'uomo della Provvidenza, a Madrid, l'uomo che con il suo colpo di testa al Camp Nou ha dato la Liga al Real. Lo stesso calciatore che, però, ha collezionato 19 espulsioni nella sua carriera. 

#12 Dybala


Due grandi momenti in cui Dybala sembrava la nuova stella del calcio mondiale corrispondono al quarto di Champions dello scorso anno e l'inizio di questo. In uno ha distrutto il Barcellona con una doppietta, mentre nell'altro é andato in doppia cifra nei primi due mesi di campionato. Dall'altro lato ci sono, sfortunatamente, anche i momenti bui, come la finale di Cardiff e l'attuale stato di forma. 

#11 Isco


Il gol in semifinale al Vicente Calderón e quello in Supercoppa Europea non rendono giustizia al grande anno di Isco, che da sostituto di Bale si é ritagliato un grande spazio nella macchina perfetta di Zidane. Talento, estro, creatività, qualità che anche l'Italia ha purtroppo capito.


lunedì 11 dicembre 2017

COERENZA E PALLONE D'ORO, DIVISI ALLA NASCITA



Sorride Cristiano Ronaldo, lì in cima alla Tour Eiffel, con in mano il suo Pallone d'Oro numero cinque. É contento ed ha ragione di esserlo, perché chi si aggiudica un riconoscimento tanto importante significa che ha fatto una stagione superlativa. Un anno fantastico per CR7, che si é reso protagonista nella doppietta Liga-Champions, realizzando due gol nell'attesissima finale contro la Juventus lo scorso 3 giugno. In quel momento tutti abbiamo capito che il Pallone d'Oro non poteva che non finire all'asso portoghese. 

Il Balon d'Or, così afferma France Football, é assegnato al calciatore che più si é distinto nel corso dell'anno solare: questo criterio non vale solo per il vincitore, ma per i restanti ventinove atleti che compongono la lista dei trenta finalisti. Perché questo é l'argomento di oggi, altro che Cristiano Ronaldo. 

Ciò che ha fatto storcere il naso a molti sono state le posizioni di Messi, Neymar e Buffon. L'argentino é finito secondo, il brasiliano terzo, e il portiere italiano quarto. Fino ad ora si potrebbe dire che non c'é nulla di strano, finché non si dà un'occhiata ai numeri e ai trofei dello scorso anno. Sia Messi che O'Ney giocavano nel Barcellona dell'allora MSN, ma nonostante ciò non si sono resi protagonisti di un'annata memorabile. Il Barça infatti non ha vinto nessuna delle competizione importanti, né Champions né Liga (entrambe andate al Real), ma si é aggiudicato solo la Copa del Rey, meno rilevante delle altre. Messi ha messo a segno 54 gol, mentre Neymar solo 20, ma questo non basta se poi alla fine non vinci nulla. Per questi motivi, secondo me é stato sbagliato mettere entrambi sul podio: Messi meritava il 5-6º posto, mentre il brasiliano poteva magari chiudere la top 10. 

Altri, che hanno invece disputato una stagione coi fiocchi, come ad esempio Modric, Buffon e Hazard non sono stati gratificati abbastanza. Soprattutto Gigi, campione d'Italia per il sesto anno consecutivo e autore di una grande cavalcata in Champions spentasi solo in finale. Grazie ai suoi interventi la Juve ha superato il Barcellona, mica uno qualunque, arrivando a giocarsi la seconda finale in tre anni. Direi che a 40 anni, dopo una carriera straordinaria, qualche merito in più avrebbero potuto darglielo. 
Anche la stagione di Modric é stata sottovalutata da molti. Nominato migliore centrocampista della stagione scorsa dalla UEFA, il genio croato ha contribuito alla vittoria del Real con l'assist per il secondo gol di CR7 in finale, la rete che ha messo in ghiaccio la partita. 
Ultimo ma non meno importante, Eden Hazard, che con ben 17 gol e 7 assist ha dato il là alla grande vittoria del Chelsea di Antonio Conte in Premier, una squadra che proveniva da un anonimo decimo posto e che grazie anche al belga é riuscita a trionfare in grande stile. 

Questi tre giocatori sono il punto di partenza per una riflessione: dov'è finita la coerenza? Dov'è sparita la meritocrazia? Perché i giornalisti votano sempre gli stessi, rendendo banale la classifica? Si dovrebbe votare oggettivamente basandosi sull'esperienza reale e sulle prestazioni offerte dai calciatori in quell'anno, perché altrimenti si rischia di vedere sempre lo stesso duo che si alterna tra prima e seconda posizione. I voti di Paolo Condò, unico giornalista italiano a votare per il Balon d'Or, sono un esempio che tutti dovrebbero seguire. Non più Ronaldo primo, Messi secondo e Neymar terzo, bensì Ronaldo primo, Modric secondo e Buffon terzo. 

D'altronde ciò che é banale e ripetitivo alla lunga stanca. 

martedì 14 novembre 2017

ITALIA, ANNO ZERO

Dopo la vergognosa qualificazione mancata al Mondiale i colpevoli sono due: Tavecchio e Ventura. Analizziamo le loro colpe, e tentiamo di capire da dove si può ripartire


"La difesa sballata, il centrocampo endemicamente fioco, l'attacco scomposto di gente molto sollecitata a impaurirsi. E dove credevamo di andare?" Così, il grandissimo giornalista sportivo Gianni Brera commentava la sconfitta clamorosa dell'Italia contro la Nord Corea, che aveva di fatto eliminato gli Azzurri dal Mondiale inglese del 1966. Per quanto quella disfatta avesse assunto proporzioni sostanzialmente catastrofiche, per quanto quella sconfitta rappresentava uno dei punti più bassi della nostra storia calcistica, per quanto fossimo stati battuti da un dentista, niente di tutto ciò é lontanamente paragonabile a uno scenario di proporzioni bibliche che non avremmo mai voluto vedere: l'Italia che non si qualifica alla Coppa del Mondo. Prima di lunedì, una sola volta la nostra nazionale non era riuscita ad ottenere il pass che garantiva l'accesso alla competizione calcistica più importante del globo terrestre. Allora, 15 gennaio 1958, riuscimmo a essere eliminati da due gol di due calciatori, Mcllroy e Cush, che hanno avuto una carriera praticamente nulla, eccetto per quel labile momento di effimera gloria. Quegli Azzurri, a dirla tutta, non erano la squadra più forte che il calcio nostrano avesse generato, gli unici degni di nota paradossalmente erano i due oriundi Schiaffino e Ghiggia, e questo é tutt'oggi visto come una delle cause che portarono al "disastro di Belfast". Il ct Alfredo Foni fu considerato inadatto e per questo esonerato, così come il presidente della FIGC, il cui mandato terminò con il commissariamento da parte della Federcalcio. 

59 anni più tardi, quasi come se volessimo festeggiare le nozze di diamante, siamo riusciti nell'orribile impresa di farci eliminare ai playoff dalla Svezia, che battendoci potrà bellamente godersi l'esperienza russa del Mondiale. 59 anni dopo siamo riusciti a non qualificarci, ancora una volta contro un avversario dallo spessore nettamente inferiore al nostro. E pensare che la Svezia l'avevamo già battuta, ad Euro 2016, quando in squadra gli scandinavi avevano ancora un campione come Zlatan Ibrahimovic. "Via Ibra, si pensava, tutto é già fatto", "Ma che vuoi che facciano questi svedesi, che hanno solo Forsberg come unico talento", dicevano. Dall'altra parte della barricata c'erano gli scettici, o almeno coloro che pensavano che la Svezia sarebbe stata una squadra particolarmente ostica, dura da fronteggiare, e che avremmo dovuto faticare per passare. Un sondaggio riportato venerdì 10 novembre sulla Gazzetta dello Sport mostrava come il 69% degli intervistati era fiducioso che, nonostante un po' di fatica, avremmo staccato il biglietto per Mosca. Solamente due giorni più tardi, in un'inchiesta online su Gazzetta.it, il 15% si dichiarava ottimista in visto del ritorno. 
Alla fine, i dubbiosi hanno avuto la meglio, hanno avuto ragione, hanno predetto il futuro senza saperlo. L'Italia é fuori, l'Italia non andrà ai Mondiali, il movimento italiano é da rifondare, partendo dalle fondamenta. I colpevoli sono due e sono già stati individuati: Tavecchio e Ventura. In questo articolo analizzeremo cosa hanno fatto di male, dove hanno sbagliato, ma metteremo anche l'accento sul punto di ripartenza, vale a dire da dove e da chi si può ripartire per rifondare il calcio del Bel Paese. 

1. Le colpe di Tavecchio: scegliere e riconfermare Ventura / non occuparsi dei settori giovanili
Il termine colpa in sé contiene un concetto molto semplice: quando sei incolpato di aver fatto qualcosa, significa che quell'azione l'hai commessa, e almeno che ti considerino innocente, passerai il resto della tua vita dietro delle sbarre di ferro. Parlando di Carlo Tavecchio l'idea rimane la stessa, nonostante il contesto sia molto meno cupo e pesante. Ciononostante, l'ex presidente di FIGC ed ex commissario della Lega Serie A é il secondo maggiore imputato, dietro solo a Ventura, del disastro calcistico del Bel Paese. Le colpe, sono di aver scelto e riconfermato l'ex allenatore del Torino e di non essersi occupato abbastanza dei settori giovanili e del problema degli stranieri.

Incomincio con il dire che la scelta di Ventura per guidare la Nazionale nel periodo post-Conte sembrava a molti, incluso il sottoscritto, una scelta parecchio azzardata. Una no-sense choice perché il tecnico ligure é un allenatore le cui idee esigono parecchio tempo per trasformarsi in concreto. La realtà parla chiaro e afferma che per raggiungere risultati importanti l'ex tecnico azzurro ha dovuto lavorare costantemente per quattro anni con un gruppo, il Torino, che ha raggiunto il suo massimo traguardo nel 2014-15 con l'approdo agli ottavi di finale di Europa League. É chiaro che se si vuole partecipare al Mondiale, serve un allenatore che sappia adattarsi velocemente al contesto e che utilizzi il materiale che ha a disposizione, una skill che Gian Piero Ventura ha mostrato di non possedere.
L'errore però più grave in tutto ciò non é stato tanto sceglierlo, i fan del tecnico diranno che era l'unica scelta decente sul mercato, bensì riconfermagli la fiducia nell'agosto di quest'anno. Precisamente il 9 agosto del 2017, Tavecchio annunciava il rinnovo di Ventura fino al 2020, scatenando l'ira di tutti coloro che sono dotati di pensiero razionali. Tutte queste persone si sono infuriate perché a meno che la qualificazione alla Coppa del Mondo sia certa, prima di rinnovare la fiducia a qualsiasi allenatore aspetti di vedere come va a finire la vicenda. Nel caso dell'Italia la situazione é andata di male in peggio, e oggi come oggi ci troviamo fuori dal Mondiale e con un ex CT ancora da stipendiare fino al giugno dell'anno prossimo. Vi sembra possibile compiere una scelta così azzardata? A me sinceramente no, ma si sa che la nostra nazione é piena di soggetti alquanto creativi, e Tavecchio sfortunatamente si é dimostrato uno di questi.

L'altra gravissima pecca commessa dell'ormai ex presidente della FIGC é stata quella di non essersi occupato prima del problema giovani e di quello legato all'eccessivo numero di stranieri che giocano nel nostro campionato. Per centrare meglio la questione, é meglio servirsi di alcuni dati, sempre utili in queste situazioni. All'indomani della catastrofica disfatta azzurra, "La Repubblica" snocciola una serie di numeri sulla situazione giovani e stranieri in Italia, evidenziando che il 73% dei convocati dall'Under 20 tra il 2011 e il 2015 non gioca attualmente in Serie A e che il 38% dei calciatori che hanno disputato la finale dell'ultimo campionato Primavera non erano italiani. Il quotidiano aggiunge che uno dei punti cardine della riforma di Tavecchio erano la creazione di centri federali dove formare i futuri calciatori, prendendo come modello la Germania. Il progetto ne prevede 200, ma al giorno d'oggi quelli attivi sono solo 30 (contro i 390 tedeschi), di cui 10 negli ultimi quaranta giorni. Per ora sono stati stanziati 9 milioni, ma ne serviranno altrettanti annualmente per sostenere il progetto. Il modello tedesco si basa sull'utilizzo di 1600 allenatori di base che formano i ragazzi, in gran parte figli di immigrati tedeschi e "germanizzati" tramite una sorta di Ius Soli. In Italia, tutto questo é pura utopia, e la realizzazione di tutto ciò é ancora lì che vaga nella mente dei grandi capi della Federazione calcistica. Fabio Caressa sostiene che nelle attuali scuole calcio, le chance di vittoria vengono preferite alla tecnica e la qualità, e quindi i ragazzini più forti fisicamente vengono scelti, mentre magari quelli più esili vengono scartati il più delle volte, considerati incapaci di portare alla vittoria squadre con allenatori la cui fama si ferma ai confini comunali. La storia del calcio ci ha dimostrato che anche i bambini gracili possono diventare leggende, Messi su tutti, ma pare che il movimento italiano non abbia una memoria abbastanza lunga per ricordarsi tutto ciò.
Altro aspetto importantissimo da considerare é quello degli stranieri in Italia, e su questo argomento nel corso degli ultimi giorni si sono intromessi anche personaggi che non hanno nulla a che vedere con il calcio, tra cui i politici Matteo Salvini e Giorgia Meloni che hanno chiaramente espresso un giudizio decisamente negativo. Tralasciando questo excursus politico, é chiaro che la questione stranieri é qualcosa che da qualche anno a questa parte ha assunto un'importanza rilevante. Basti pensare che il 23 aprile della scorsa stagione nel match Inter-Udinese, sui 22 giocatori in campo non c'era nessun italiano, fatto da record per quanto riguarda il nostro campionato. In Italia, secondo i dati di Transfermark.it, gli stranieri rappresentano il 53.3% del totale, in Germania sono il 52.7% mentre in Portogallo raggiungono il 57,6%. Questo per dire che nonostante si abbia più della metà dei tesserati non italiani, ciò non significa che il livello del campionato sia basso. Lo dimostra la Germania stessa, che pur avendo così tanti stranieri é campione del mondo e d'Europa (U21) uscente e si trova stabilmente da anni nelle prime posizioni del ranking FIFA. Il grande problema del nostro campionato non é la quantità di extracomunitari, bensì la qualità. Perché, come Ambrosini spiegava nell'immediato post Italia-Svezia, sembra che ci divertiamo a fare giocare i calciatori di altre nazionali, preferendoli ai nostri. Con questa citazione non vogliamo per nulla sminuire la globalizzazione calcistica, senza la quale Messi e Suarez non avrebbero mai potuto giocare assieme, ma vogliamo solamente dire agli allenatore che se devono scegliere tra un italiano e uno straniero di pari livello, dovrebbero scegliere il primo, in primis per il bene della nostra Nazionale. Perché d'altronde, se i nostri ragazzi non giocano e non ricevono fiducia, non accumulano minuti ed esperienza, un deficit che pagano ad un prezzo salatissimo quando scendono in campo in competizioni prestigiose. In questi contesti ciò che conta, oltre alla qualità, é la capacità di reggere alle pressioni e alle aspettative di milioni di persone, le quali vogliono una sola cosa: vincere. Se non riesci a dar loro ciò di cui hanno bisogno verrai bersagliato di fischi, come é successo una settimana fa a San Siro. Coltivare e far giocare i nostri giovani serve anche a questo: a permettere loro di farsi le ossa in campionato per poi reggere al cospetto di palcoscenici da brivido, un concetto che in Italia pare che non abbiamo afferrato del tutto.

2. Le colpe di Ventura: troppo orgoglio e scelte tecniche incomprensibili
Platone afferma che la morte di Socrate ha anche un grande aspetto positivo, vale a dire la rinascita della società, che guidata dai filosofi, deve essere orientata verso il bene. Il paragone tra i giornalisti e il filosofo ateniese non regge, però é possibile scorgere un'analogia tra la situazione nel IV secolo a.C. e quella attuale. Lo si può fare perché anche il sistema calcio in Italia é sostanzialmente morto, ucciso dall'eliminazione ai playoff, e sta tentando di rialzarsi, cacciando via Tavecchio e affidandosi a volti nuovi e propositivi. Ventura é stato messo come secondo imputato, perché se l'ex presidente é la punta dell'iceberg, l'ex CT rappresenta la base del masso ghiacciato: una volta tolta quella, il resto cade in maniera naturale. Evitiamo però di dilungarci troppo su questioni futili, e come si dice nel parlar comune, "passiamo al sodo". Le colpe di Ventura, come ben scritto in neretto sono quelle di aver avuto troppo orgoglio e di aver fatto scelte tecniche indecifrabili.

Partiamo dalla prima affermando che mai un CT nella storia del nostro Paese aveva anteposto ciò in cui crede a ciò che é necessario. La prima cosa che ti insegnano da bambino quando sbagli qualcosa é di rialzarti e fare in un altro modo, di cercare una nuova via da percorrere. A dirla tutta non so come sia stata l'infanzia di Ventura, ma sicuramente crescendo non ha ben compreso quest'ultimo concetto. Non solo non l'ha compreso, l'ha sentito e ha tirato avanti come se niente fosse, incurante anche dei consigli che gli avevano dato i calciatori, i quali proponevano di cambiare modulo. L'ex tecnico di Bari e Torino, dopo aver affermato addirittura di volersi dimettere, ha ovviamente continuato a battere sempre la stessa strada, con l'obiettivo di dimostrare che le sue idee e principi tattici ci avrebbero portato tranquillamente in Russia. Una mancata qualificazione più tardi abbiamo compreso che questo atteggiamento si chiama presunzione o eccesso di orgoglio, scegliete voi qual é il migliore. Parlando in maniera generica, non é possibile che a questi livelli si facciano determinate scelte in base a criteri inesistenti, come il patriottismo personale e l'orgoglio. Non é ammissibile che un CT scelga in questa maniera, soprattutto se vuoi vincere. Se vuoi passare il turno e noti che le tue idee steccano, la prima cosa da fare é adattarsi al materiale a disposizione trovando il sistema di gioco più funzionale. Il 3-4-3 o il 4-3-3 sarebbero stati dei moduli efficienti, capaci di esaltare le qualità dei nostri singoli, Insigne su tutti, ma Ventura non ha voluto ascoltare, e la situazione attuale é figlia del suo menefreghismo. Pare averlo fatto apposta: piuttosto che adattarsi, meglio farsi esonerare. Caro Gian Piero, prima di fare di nuovo il bravo alunno pensaci due volte la prossima volta.

Il secondo punto é probabilmente ancora peggio, dato che é quello che più ha fatto infuriare il popolo calcistico italiano. Il problema in realtà si riduce a pochi uomini: Insigne, Gabbiadini e Candreva. Partiamo al contrario, dall'ala dell'Inter a quella del Napoli. Il grande errore di Ventura é stato quello di schierare Candreva al ritorno, quando sai che lo svedese più basso é 1.85 m e che la principale caratteristica del numero 87 interista sono i cross. Le gran pecche di Candreva sono che mette troppi cross, difatti con la Svezia é risultato l'uomo che ha crossato di più, e che soprattutto la maggior parte dei suoi cross non finiscono agli attaccanti, bensì contro i corpi dei suoi marcatori. Contro la Svezia si é visto che il suo continuare a mettere traversoni su traversoni non ha fruttato niente, tranne che rabbia, fischi e rammarico.
Con Gabbiadini il problema é ancora più semplice, perché non ci vuole Einstein per capire che un calciatore che nell'ultimo anno in Nazionale ha giocato 46 minuti non può essere messo in campo nel match più importante della stagione. Ventura invece, da gran menefreghista qual é, ha fatto di testa sua é ha sbagliato, dato che Gabbiadini si é limitato a fare qualche sponda ma niente di più.
La pecca più grossa però, l'ex CT l'ha fatta con Insigne, che ha giocato solamente 15 minuti in totale nelle due sfide. Come é possibile che il calciatore più talentuoso, creativo e forte di quest'Italia venga relegato così facilmente in panchina? É chiaro che questo discorso si ricollega a quello di prima sull'ostinazione di Ventura, che ora viene del tutto a galla. Il sacrificio di Insigne é il culmine dell'orgoglio venturiano, il punto più alto di un atteggiamento sbagliato fin dal principio. Non é possibile sacrificare l'estro del ragazzo napoletano per un modulo solo apparentemente corretto. Ventura, però, é riuscito sfortunatamente anche a fare questo.

3. Da dove ripartire: Ancelotti e presidente della FIGC non telecomandato
Arriviamo finalmente, dopo 2425 parole negative, a parlare degli aspetti da cui dobbiamo ripartire per rifondare interamente il movimento calcistico italiano. Il nome da cui tutto deve rinascere é Carlo Ancelotti e vi spiego semplicemente il perché. Allenatore ben visto in Italia, considerato un grande da tutti fuori e dentro la penisola, grandissima esperienza, palmares più che ricco di trofei, capacità di adattamento ai giocatori a disposizione, capacità di relazionarsi con spogliatoi di un certo livello, Milan e Real Madrid a dimostrazione di tutto ciò, voglia di ripartire in grande stile, disponibilità solo con un progetto serio. Quest'ultimo punto é probabilmente il più importante nell'opera di convincimento di uno dei manager più qualificati al mondo. Per avere Carlo Ancelotti dobbiamo avere progetti seri, idee chiare e ben fissate in testa, soluzioni attuabili per risolvere i problemi che affliggono la Federazione. Una volta chiarito tutto ciò, una volta che all'ex allenatore del Bayern sarà garantito tutto questo, sarà dura che rifiuti la chiamata della sua Nazionale, nonostante lo stipendio sarà leggermente più basso del solito.

L'altro punto é il bisogno di avere una faccia nuova come capo della FIGC, una persona che sia qualificata ed adatta a svolgere questo importantissimo incarico. Una persona che sia capace di farsi valere, di non farsi sottomettere dalla volontà di nessun presidente di club, indifferentemente che esso guidi la Lazio o la Juve. Una persona infine che abbia gli attributi di fare veramente dei cambiamenti, di prendere decisioni che possano scuotere il terreno fin dalle fondamenta, cambiando ciò che deve essere cambiato, stavolta veramente, é migliorando ciò che già di buono é stato fatto. Con queste poche righe faccio i miei più sinceri auguri al nuovo presidente, chiunque esso sarà, con la speranza che il mondo del calcio italiano diventi d'ispirazioni per altri.

Chiudo con una nota decisamente patriottica, destinata al popolo italiano in generale: nel 1945 eravamo un Paese sull'orlo della catastrofe, e grazie agli aiuti ma soprattutto alle nostre idee, ne siamo usciti fuori e abbiamo creato un decennio di boom economico. Tentiamo anche nel calcio di rialzarci, come il popolo d'Italia é sempre abituato a fare. D'altronde, é nel nostro DNA. 

sabato 4 novembre 2017

IL FUTURO É DI DELE ALLI

Infanzia difficile, dominio in patria, e futuro da campione. Siamo certi: Dele Alli diventerà una star. 


Se provate a cercare Milton Keynes sulla Bibbia 2.0 (Wikipedia), non aspettatevi che vi compaia molto davanti agli occhi. Gli unici paragrafi presenti che riguardano la città sono l'evoluzione demografica, la geografia fisica e le persone legate a Milton Keynes. Nell'introduzione si afferma che la città inglese é sede della Red Bull (la scuderia di F1), del Museo Nazionale dell'elaborazione e di Bletchely Park, famosa per aver ospitato Alan Turing durante la Seconda Guerra Mondiale. Negli ultimi due anni, però, Milton Keynes ha qualcosa in più di cui vantarsi: é infatti il luogo di nascita di una dei calciatori più in ascesa nel panorama calcistico mondiale, ossia Dele Alli. 

Nascere negli anni '90 in questa città del sud dell'Inghilterra, caratterizzata da mulini a vento e case perlopiù del 1970, non doveva essere semplice, ma era ancora peggio se dietro di te non avevi il supporto famigliare adeguato, come accade al piccolo Bamidele. La madre, Denise, é una donna fragile che soffre di gravi problemi come la depressione e la dipendenza da alcool. Con il padre del ragazzo si era conosciuta in discoteca, e la nascita del futuro calciatore non era stata che un errore dovuto alla situazione dei due giovani, in quel momento decisamente poco sobri. Il padre, un multimilionario nigeriano, appena saputa la nascita del figlio, decide che la situazione non fa per lui, e dopo appena una settimana prende il primo volo e atterra negli Stati Uniti. 
La scuola inizia ma non nel migliore dei modi, dato che il ragazzo é spesso coinvolto in risse con altri alunni: il fare a botte lo aiuterà soprattutto a sviluppare un carattere forte, che gli verrà in soccorso nelle situazioni difficili. 

A 8 anni la sua vita cambia completamente: il padre torna dagli Usa e decide di portare il figlio con sé in Nigeria per un lustro. All'età di 13 anni, Bamidele fa ritorno nella sua città natale, ma la madre, vittima ancora una volta dell'alcol, non può accudirlo secondo il parere degli assistenti sociali, che decidono per questo motivo di affidarlo ad una famiglia adottiva. 
Il contesto famigliare é nettamente migliore e Dele può finalmente concentrarsi sulla sua vera passione, il calcio. Un anno più tardi viene tesserato dall'MK Dons, e nel 2012 fa il suo esordio con la maglia della città natale. Dopo 74 presenze e 22 reti, tra cui una al Manchester United in League Cup nell'agosto 2014, il ragazzo da Milton Keynes firma con il Tottenham per una cifra attorno ai 5 milioni. 

Nel giro di quattro anni diventa uno dei giocatori più brillanti del panorama calcistico inglese ed europeo, totalizzando 45 gol e 41 assist in 142 match disputati. La buonissima stagione che sta per finire senza un minimo dubbio l'aumento di ingaggio che gli Spurs sono pronti ad offrirgli: si parla di un raddoppio, dagli attuali 4 milioni ai probabili 8. Più volte paragonato a Gerrard, suo idolo, Dele Alli é un centrocampista decisamente moderno, "box to box", capace di ricoprire la maggior parte dei ruoli del centrocampo, aspetto che lo rende un vero jolly. Abile negli spazi stretti, ottimo colpitore di testa, e spettacolare negli inserimenti e nelle conclusioni da fuori, il numero 20 del club della comunità ebrea di Londra incarna tutte le caratteristiche che ci si aspetta da un centrocampista fantastico nel 2017, ed é quello che anche i top club stanno iniziando a capire. 

Mentre il futuro é decisamente roseo, tra Mondiale e sogni di Premiership, il passato é un capitolo decisamente grigio, con la madre Denise che cerca di nuovo il contatto, mentre Dele per ora chiude la porta. Quello che più conta per lui per ora é solamente il suo numero di maglia e il pallone tra i piedi, con tutto il resto che vale decisamente nulla.
Per i tifosi del football, basta e avanza.