domenica 29 maggio 2016

L'UNDICESIMA SINFONIA REALE: A MILANO VINCONO I BLANCOS 6-4 AI CALCI DI RIGORE


29 Maggio 2016 - Milano



"Audentes fortuna non iuvat", sta probabilmente dicendo Simeone. E mi dispiace dirlo, ma caro Virgilio stavolta il tuo verso lo devo proprio cambiare. Lo devo cambiare perché l'Atletico ha giocato la finale con la solita grinta, mettendoci il cuore. La sfortuna gli è andata incontro, con il rigore di Griezmann, ma niente ha abbattuto i Colchoneros, che sono riusciti a portare il match ai rigori, dove però vince chi ha i piedi migliori. Dall'altro lato il Real, dopo quindici minuti all'arrembaggio, ma soprattutto dopo il gol, si è chiuso in difesa, aspettando il momento giusto per infliggere il colpo di spada decisivo, ma prima di farlo ha dovuto aspettare oltre il 120'.
Prima del match, la cerimonia d'apertura ha visto come protagonisti Alicia Keys, che ha eseguito alcune delle sue canzoni più famose, e Andrea Bocelli, che ha cantato l'inno della Champions, in italiano. Tante stelle alla "Scala", a cominciare da Zanetti e Baresi che hanno portato in campo la coppa, ma anche Capello e Ferguson e molti altri.
Il match inizia con il Real subito aggressivo, con Benzema che dopo appena due minuti spreca un'occasione colossale tirando addosso a Oblak. I Colchoneros tengono, ma soffrono troppo, e al 15' è Sergio Ramos a sbloccare il match: punizione di Kroos, spizzata di Bale e Ramos, in leggero fuorigioco, porta avanti in suoi, siglando il suo secondo gol all'Atletico dopo quello a Lisbona. Il primo tempo si chiude così con i biancorossi che soffrono e tirano poco.
A Simeone&Co bastano però solamente 55 secondi per rientrare in partita, perché Pepe atterra ingenuamente Torres in area: Griezmann si assume la responsabilità, ma l'ansia lo assale e infatti il rigore lo spedisce sulla traversa. L'Atletico non molla, cerca di ripartire con Carrasco, e sfiora il gol con Saul e Savic. É lo stesso Savic a salvare i suoi compagni, al 78', respingendo sulla linea il destro di Bale; sul ribaltamento di fronte, Gabi per Juanfran, palla in mezzo per Carrasco che non sbaglia, e trascina il match ai supplementari.
Supplementari condizionati dalla stanchezza, dal difensivismo delle due squadre, che sembra vogliano andare ai rigori, e infatti ci vanno. Segnano tutti, ma dopo sei rigori, Juanfran la spedisce sul palo. L'ultimo penalty è di Ronaldo, che dopo la finale di Mosca del 2007, ha deciso di non sbagliare più. Perché, pur avendo interpretato il ruolo non al massimo, un grande attore che recita alla Scala, è quello che chiude l'opera. E CR7, il sipario, l'ha chiuso nel migliore dei modi.

Pagelle:

REAL MADRID 

Navas 5.5 : se non avesse subito gol, sarebbe senza voto, ma il gol di Carrasco lo condanna ad un insufficienza.

Carvajal 6 : match più che discreto, fino all'infortunio, che lo costringe a lasciare il campo.

Danilo (sostituisce Carvajal) 6.5 : mezzo voto in più del compagno per la maggior quantità e miglior qualità degli inserimenti.

Ramos 7.5 : rischia il rosso su Griezmann, e per questo non merita 8, ma gioca un match sontuoso, da leader vero.

Pepe 4 : che facesse il macellaio come seconda professione ne eravamo a conoscenza, ma un intervento così ingenuo in finale è proprio da dilettanti.

Marcelo 6 : attento, stranamente, in difesa e discreto in attacco.

Kroos 7 : geometra. Un misto tra un soldato, per l'attenzione nell'eseguire gli ordini, e un orologio svizzero, per la precisione.

Lucas Vàzquez (sostituisce Benzema) 6 : non fa niente di particolare, tranne che segnare il primo penalty della serie.

Isco (sostituisce Kroos) 5.5 : Scialbo, nient'altro.

Modric 6.5 : il voto è soprattutto per i lanci illuminanti che i compagni sprecano. Nella ripresa, soffre infatti la grinta dei colchoneros.

Bale 7 : Prima la spizzata per Ramos, poi le accelerazioni continue, infine il rigore segnato. Meritava il gol, ma comunque dimostra i 100 milioni per lui spesi.

Benzema 4.5 : non si muove, non conclude, non segna, e sbaglia un'occasione colossale che avrebbe spezzato le gambe all'Atletico.

Ronaldo 6.5 : causa guai muscolari, si muove poco. In compenso regala la Undecima ai blancos.

Zidane 7 : azzecca tutto nel primo tempo, soffocando la manovra cholista. Nel secondo, però, sbaglia completamente i cambi, concedendo all'Atletico più spazio.

ATLETICO MADRID

Oblak 5.5 : non ne azzecca praticamente neanche una. Nè sul gol di Ramos, ne sui rigori. Salva però su Benzema, dando respiro ai suoi.

Juanfran 6.5 : senza il rigore sbagliato, meriterebbe di più. Grande prestazione, resa ancora migliore dall'assist per Carrasco.

Godin & Savic 6 : non fanno niente di speciale, limitandosi a chiudere i varchi in difesa, senza creare alcun pericolo in attacco.

Filipe Luis 6 : esegue il suo compito, senza nessun acuto.

Gabi & Koke 6 : per loro, bandiere del cholismo, una serata buttata al vento.

Saùl 7 : martella la difesa madridista, sfiorando anche il gol. In continuo crescendo, la sua annata europea.

Augusto Fernandez 4 : un bufalo zoppo tra undici leoni affamati. Osceno.

Ferreira Carrasco (sostituisce Fernandez) 8 : l'MVP di serata, semina il panico tra tutti i reparti del Real. Nella serata più importante unisce alla velocità supersonica, un tocco di palla e un dribbling sopraffino. Celestiale.

Thomas & Hernandez (sostituiscono Koke e Filipe Luis) s.v. : non fanno niente, anzi peggiorano la situazione.

Griezmann 6.5 : la traversa gli impedisce di meritarsi un sette. Gioca bene, crea situazioni pericolose, realizza poi il rigore durante la "lotteria".

Torres 6 : fa il minimo indispensabile, niente di più. La sufficienza arriva in virtù del rigore che si procura, da vera volpe.

Simeone 7 : soffre durante il primo tempo, ma il secondo tempo della sua squadra è opera sua. Il Real pare la sua bestia nera, ma non credo si farà abbattere da ciò. Dice che è tempo di riflettere, e in effetti la riflessione serve, probabilmente per capire che ora è il momento di iniziare un nuovo viaggio.













Marco Ghilotti

sabato 21 maggio 2016

RENATO SANCHES: L'EDGAR DAVIDS PORTOGHESE


21 Maggio - Lisbona



Treccine rasta, grinta da vendere e piedi buoni. Chi non pensa ad Edgar Davids, l'olandese diventato famoso con le maglie di Ajax e Juventus? Il soggetto in questione, Renato Sanches non è tanto lontano. Cambiano la nazionalità, portoghese, e le maglie indossate, Benfica e, da luglio Bayern Monaco. Sembra uno scherzo, ma è stato recentemente acquistato dal club bavarese per la cifra di 35 milioni di euro più 45 di bonus in caso di raggiungimento di certi obiettivi. Tutti questi soldi per un ragazzo di appena 18 anni, che fino all'anno scorso giocava nel Benfica B. Nato a Lisbona il 18 agosto 1997, ha iniziato a giocare a 11 anni per i biancorossi, dopo essersi distinto nel club precedente, l'Aguias Musgueiras. Da lì è iniziata la sua storia che lo ha visto fare tutta la trafila nelle giovanili, parallelamente a quella in nazionale, dove ha trascinato il Portogallo Under 17 alla fase finale degli Europei. Due anni fa ha esordito in Youth League, dove si è messo in mostra con quattro assist in cinque match. Il 30 ottobre dello scorso anno ha debuttato in campionato contro il Tondela, mentre il 25 del mese successivo in Champions nel match contro i kazaki dell'Astana, soffiando poi definitivamente il posto a Bryan Cristante. Centrocampista duttile, può ricoprire qualsiasi ruolo a centrocampo: nel Benfica gioca "alla Pirlo", ma può anche fare il trequartista o l'interno di centrocampo. Coniuga alla grinta da mediano, la tecnica da fantasista, il che lo rende impressionante negli spazi stretti e negli strappi brevi: a ciò aggiunge un ottimo tiro dalla distanza e una buona visione di gioco che lo aiuta a scegliere tra il passaggio e il tiro. Più che con Davids, il paragone è da fare con Vidal: li accomunano il modo di giocare, la grinta, la squadra, e ora anche il programma dell'estate, perché se Arturo trascorrerà giugno negli Usa pronto a giocarsi la Copa América Centenario, Renato non se la passerà male, con la Ville Lumière sullo sfondo. 


















domenica 15 maggio 2016

PAUL POGBA: L'ENNESIMO FUORICLASSE FORGIATO DALLA STRADA


15 Maggio 2016 - Torino


La strada forgia i fuoriclasse. Questa affermazione non è nuova perché se Pelé, Maradona, e Ronaldo (il Fenomeno), sono diventati quello che sono, lo devono a stracci e lacci. Perché, come ormai si sa, chi viene dalla strada gioca solitamente scalzo e il tocco di palla deve essere eccellente se vuoi evitare di farti del male.
Anche Paul inizia a giocare su questa "superficie", a sei anni nella squadra del Roissy-en-Brie, che prende il nome dalla banlieu dove il ragazzo è cresciuto. Il Le Havre capisce le sue enormi potenzialità e lo porta a giocare in Alta Normandia fino al 2009, quando si trasferisce a 830 km da casa, al Manchester United di Ferguson. Tre anni, pochi apparizioni, e arrivederci. Passa alla Juve a parametro zero, pronto a ricoprire il ruolo di alter ego del "Maestro" Andrea Pirlo. Esordisce il 22 settembre nella vittoria contro il Chievo, mentre un mese dopo mette a segno il suo primo gol nel 2-0 contro il Napoli, mentre l'esordio in Champions c'era giá stato, il 2 dello stesso mese, contro lo Shaktar. Chiude la stagione con trentasette presenze e cinque gol, a cui si aggiunge la vittoria dello secondo scudetto targato Conte.
La seconda stagione vede Pogba diventare titolare in una Juve che in Italia non ha rivali, ma che in Europa (Europa League, ndr) si ferma in semifinale contro i portoghesi del Benfica. La stagione per il francese è più che positiva, visto che le presenze salgono a cinquantuno e i gol a nove e visto che l'enfant prodige vince, al termine dell'anno solare, il premio come European Golden Boy.
L'anno 2014-15 è sfortunato per Paul, che a causa di un infortunio nel corso del ritorno degli ottavi di finale di Champions League a Dortmund, perde due mesi, non riuscendo a festeggiare sul campo il suo terzo scudetto di fila. Riesce comunque a recuperare per la finale di Coppa Italia, vinta 2-1 ai danni della Lazio, e per la finale di Champions, persa 1-3 contro il Barcellona a Berlino il 6 giugno.
In questa stagione porta a casa il quarto scudetto consecutivo, contribuendo alla rimonta magistrale dei bianconeri. Con la Champions persa, ha ancora due grandi obiettivi a portata di mano, che sono la finale di Coppa Italia contro il Milan, e l'Europeo a "casa sua".
Tutti si aspettano grandi cose da lui, lui che è già un grande a soli ventitré anni. L'unica cosa non "grande" è il suo look, ma questo è soggettivo. Soggettivo non è il suo talento, ma questo non lo sarà mai.


giovedì 12 maggio 2016

KD: L'ETERNO SECONDO PRONTO A TRASFORMARSI NEL PRIMO DELLA CLASSE



9 Maggio 2016 - Oklahoma City





Quando si é affezionati ad una persona, ed essa muore, ognuno ha degli oggetti che la ricordano. Per l'uomo in questione, Kevin Durant, l'oggetto é il numero di maglia, il 35, in onore del suo allenatore del college Big Chuck morto all'età di 35 anni, freddato con tre colpi di pistola alla schiena. Un esempio per tutti i giovani, visto che aiutava la madre a portare a casa qualche dollaro in più facendo sì che lui e i suoi quattro fratelli potessero crescere in una situazione dignitosa. Dopo solo un anno di college, alla University of Texas, nel 2007 si dichiara eleggibile al Draft, ma Portland decide di scartarlo preferendogli Greg Odom, in quel momento non la miglior scelta. Durant finisce quindi a Seattle, in una squadra però povera di talento che quell'anno aveva venduto l'unica stella, Ray Allen, a Boston. La stagione, come possibile immaginarsi, va male, dato che i Supersonics vincono solo venti gare: Durante riesce comunque a guadagnarsi il premio come Rookie of the Year.
La stagione successiva, vede il cambio di proprietà e il conseguente spostamento alla Cheesapeake Energy Arena di Oklahoma City. Anche in questo caso la stagione non va nel migliore dei modi (23-59), ma nonostante ciò Durant risulta il terzo miglior marcatore della lega con 25.3 punti. 
Le due stagioni successive vedono i Thunder approdare ai Playoffs, dove vengono eliminati dai futuri campioni, prima dai Lakers e poi dai Mavericks.
Il 2011-2012 sembra l'anno buono per la franchigia: Okc diventa la seconda miglior squadra ad Ovest (47-19, a causa del lockout) e arriva alle Finals sconfiggendo nell'ordine Memphis Grizzlies, Los Angeles Lakers e San Antonio Spurs: ad aspettarli in finale ci sono i Miami Heat di Lebron James. I Thunder vincono gara 1 in cui KD segna 36 punti ma perdono le successive quattro dicendo addio all'anello. Una sconfitta causata oltre che dall'inesperienza di un gruppo stellare ma ancora troppo giovane, anche da un James in formato "monster".
Nei due anni successivi vengono eliminati prima, tra lo stupore generale, dai Memphis Grizzlies in semifinale di Conference, e poi da San Antonio, futura campione, con il punteggio di 4-2, dopo aver rimontato i texani da 0-2 a 2-2. 
Tralasciato lo scorso anno in cui Kevin gioca solo 27 partite, quest'anno sembra l'anno buono: 28.06 punti di media e terzo posto nella Western Conference. I playoff sono iniziati bene, con i Thunder che hanno liquidato i discreti Mavericks con un 4-1 sul velluto, e ora hanno il match point di gara 6 per volare in finale di Conference, eliminando ancora una volta San Antonio. Per KD, vincere l'anello avrebbe un sapore speciale, perché da quando gioca da professionista, l'unico riconoscimento importante vinto è stato il titolo di MVP della stagione. Vincendo farebbe capire che nell'era di Lebron, lui è comunque riuscito a ottenere lo status di campione, un po' come Magic con Jordan. "You are the real MVP", disse due anni fa alla madre alla consegna del premio; il primo step l'ha già fatto, ora mancano gli altri due, con cui di diritto avrebbe accesso all'Eden, al Janna, al Dilmun sumerico, nomi che il basket traduce in Hall of Fame.

venerdì 6 maggio 2016

STILL I RISE: LEWIS HAMILTON, L'UOMO OLTRE IL PILOTA


6 Maggio 2016- Montecarlo



"Still I rise" è molto più che una semplice frase, per Lewis Hamilton è una sorta di motto: non importa che difficoltà devi affrontare, devi sempre rialzarti. Massima per antonomasia di qualcuno che un anno perde un mondiale all'ultima gara per poi vincerlo nelle stesse condizioni l'anno successivo.
La carriera di Lewis inizia molto presto e già a 12 anni è messo sotto contratto dalla McLaren di Ron Dennis, che lo guida nella scalata verso la F1. L'esordio arriva nella stagione 2007, che vede Hamilton vincere in Spagna e in Ungheria, salvo poi perdere il campionato all'ultima gara in Brasile in favore del pilota della Ferrari, Kimi Raikkonen.
L'anno successivo è l'anno del primo titolo iridato, che a soli 23 anni lo rende il più giovane vincitore fino a quel momento. La vittoria comporta anche sei milioni di dollari di bonus, che la McLaren avrebbe dato al britannico in caso di successo: questi soldi si aggiungono al contratto da 17 milioni che Hamilton firma quell'anno, che lo lega alla scuderia inglese fino al 2012. Il quadriennio successivo non è dei migliori, visto che Lewis non va oltre il quarto posto finale.
L'arrivo alla Mercedes, annunciato il 28 settembre 2013, fa ben sperare tutti, ma Hamilton non riesce a combattere per la vittoria finale e conclude l'anno quarto con 189 punti.
Il biennio 2014-15 è perfetto sia per lui che per il team: il primo anno Lewis, salvo tre ritiri, vince undici gare, laureandosi per la seconda volta campione del mondo con un totale di 384 punti, mentre la Mercedes vince con 701 punti la Classifica Costruttori. Il secondo lo vince totalizzando 381 punti, mentre la Mercedes ne totalizza due in più dell'anno precedente.
Non si fa comandare da nessuno, non sopporta di essere rimproverato sul Galateo, non gli piace essere sobrio. Ma tutto ciò diventa comprensibile se si parla di un tre-volte Campione del Mondo...
Per chiudere alcune curiosità:
- Nel 2008 è diventato Membro dell'Ordine dell'Impero Britannico
- Il suo idolo è Ayrton Senna, tanto che non sopporta che venga criticato
- Possiede una speciale Pagani Zonda, che in suo onore si chiama "Zonda 760 LH"
- Dal 2007 al 2015 è stato fidanzato con la cantante Nicole Scherzinger
- Possiede un Bombardier Challenger CL-600, da $20 milioni, che usa per i suoi spostamenti
"I come from nothing, I'm here to take everything". Ladies and Gentlemen, Lewis Hamilton.

Marco Ghilotti


martedì 3 maggio 2016

LEICESTER CAMPIONE, LA FAVOLA CALCISTICA DEL 21º SECOLO


3 Maggio 2016 - Leicester




Ogni epoca ha la sua favola calcistica. Negli anni '70 il Nottingham Forest di Brian Clough capace in tre anni, dal 1978 al 1980, di vincere due Coppe Campioni e un campionato. Negli anni '80 Bagnoli e il Verona vinsero lo Scudetto davanti al Napoli di Maradona e alla Juventus di Platini. Nel 1998 il Kaiserslautern, che da neo-promossa batté il Bayern Monaco di Trapattoni. Negli anni '2000, prima il Montpellier nel 2012, che ha sconfitto il Psg degli sceicchi, ed ora il Leicester di Ranieri che pur essendo quotato 5000:1, ha sorpreso tutti rendendo vero the big dream.
Una cavalcata memorabile, iniziata con un 4-2 al Sunderland e chiusa con un 1-1 ad Old Trafford, non a caso il Teatro dei Sogni. Un sogno, appunto, iniziato il 24 maggio 2015 con la salvezza raggiunta all'ultima giornata. Rispedito a casa Nigel Pearson, arriva come allenatore Ranieri reduce dall'infelice esperienza vissuta come CT della Grecia. 25 milioni spesi sul mercato, 1/8 della spesa del Manchester City, per fare un esempio. L'esordio è positivo, seppur le prime squadre non siano di altissimo livello; la prima sconfitta arriva in casa per 2-5 contro l'Arsenal alla settima giornata. Prima della seconda sconfitta altre undici partite, tra cui la bella vittoria sul Chelsea costata il posto a Mourinho. La sconfitta ad Anfield costa il primo posto che però non abbatte le Foxes, che le vincono tutte fino al 14 febbraio, data dell'ultima sconfitta all'Emirates Stadium. Pensavamo che la sconfitta li avrebbe fatti cadere, ma no, non hanno mollato e hanno vinto.
Devono ringraziare Vardy, 22 gol in stagione, uno che fino a cinque anni fa guadagnava quanto un operaio, e che ora stabilisce nuovi record.
Il grazie va detto anche a Mahrez, pagato 400.000 sterline due anni fa, ma che con il suo sinistro magico ha fatto sognare tutti.
Devono ringraziare Kanté, l'uomo con quattro polmoni, che combina qualità a quantità, che prima di arrivare a Leicester giocava nel Caen, Ligue 2.
Un ringraziamento va fatto anche a Huth e Morgan, i due centrali che prima di questa stagione erano poco più che sconosciuti.
E infine c'é Kasper Schmeichel, il figlio di Peter, che a 29 anni si è preso una rivincita su tutti quelli che pensavano non fosse degno di essere figlio di un fenomeno.
Ringraziamo per la collaborazione anche tutti gli altri, da sempre figli di un Dio Minore, ma non in questo caso. Ringraziamo infine il presidente, Vichai Srivaddhanaprahba, magnate del duty-free, che pur spendendo poco ha creato un gran gruppo.
Perché nelle fiabe, si ricordano sempre il protagonista e l'antagonista, ma senza l'aiutante, il principe non sposa la principessa.

Marco Ghilotti