venerdì 29 dicembre 2017

THE BEST OF THE YEAR: 20-11

Come tutti gli anni, a fine stagione spunta sempre la classifica dei migliori calciatori: in questo caso dalla 20º alla 11º


#20 De Gea 


Sir Alex Ferguson ha affermato che ha saltato solo due match dello United nella sua vita: una volta per sposarsi, e l'altra per andare a veder giocare un ragazzo spagnolo di nome David de Gea. Il portiere iberico é stato senza ombra di dubbio il miglior goalkeeper della Premier in questo anno solare, chiudendo con 74 parate l'ultima stagione e stabilendo un nuovo record di salvataggi, 14, nel match contro l'Arsenal. Prestazione all'altezza del miglior estremo difensore del mondo, secondo José Mourinho. 

#19 Casemiro


Un incubo ancora vivo per Napoli e Juve, una goduria sconfinata per i tifosi del Real Madrid. Da giocatore secondario con Benitez, Casemiro é stato trasformato da Zidane nel faro del centrocampo dei blancos, quello che si occupa del lavoro sporco a fianco a Modric e Kroos. Il gol che ha rotto gli equilibri in finale è suo, e non poteva che non essere la ciliegina sulla torta di un grande anno. 

#18 Salah


Imprendibile nella Roma, devastante nel Liverpool. Dalla Serie A alla Premier é cambiato poco, Mohamed Salah é infermabile dovunque vada. Se agli 8 gol a Novembre si aggiunge il miracolo che ha compiuto portando l'Egitto ai Mondiali al 94' si può comprendere la grandezza di questo giocatore. 

#17 Cavani


52 gol in 56 partite per ora. Il Matador sembra in forma e con lui tutto il Psg. L'addio di Ibra é stato decisamente utile per dar sfogo a uno dei migliori attaccanti d'Europa, che con i due nuovi compagni d'attacco Neymar e Mbappé sta tentando di portare i titoli che contano sotto la Tour Eiffel. 

#16 Suarez


Dopo un finale di stagione poco splendente, causa la precoce eliminazione dalla Champions, si pensava che la partenza di Neymar avrebbe affossato definitivamente la squadra. Non é successo, e Suarez con i suoi 10 gol in 22 partite lo ha decisamente dimostrato. Per fare ancora meglio dovrà sorprendere anche al Mondiale con l'Uruguay.

#15 Kroos


Metronomo, orologio, pendolo. Chiamatelo come volete ma Toni Kroos é la perfetta sintesi dell'uomo ideale tedesco. Preciso come un orologio, rigido e sempre attento alle regole. Il geometra del Real ha un peso notevole e l'ha fatto notare, a spese del Napoli, soprattutto in Europa, dove conta di più.

#14 Kanté


Il vero motore del Chelsea, l'uomo senza il quale i Blues perdono l'intensità che caratterizza le squadre di Antonio Conte. Uno dei grandi protagonisti della trionfale cavalcata dello scorso anno che ha portato in bacheca una Premier.

#13 Ramos


Il capitano di un'armata invincibile, di uno squadrone che sembra avere pochissimi rivali. L'uomo della Provvidenza, a Madrid, l'uomo che con il suo colpo di testa al Camp Nou ha dato la Liga al Real. Lo stesso calciatore che, però, ha collezionato 19 espulsioni nella sua carriera. 

#12 Dybala


Due grandi momenti in cui Dybala sembrava la nuova stella del calcio mondiale corrispondono al quarto di Champions dello scorso anno e l'inizio di questo. In uno ha distrutto il Barcellona con una doppietta, mentre nell'altro é andato in doppia cifra nei primi due mesi di campionato. Dall'altro lato ci sono, sfortunatamente, anche i momenti bui, come la finale di Cardiff e l'attuale stato di forma. 

#11 Isco


Il gol in semifinale al Vicente Calderón e quello in Supercoppa Europea non rendono giustizia al grande anno di Isco, che da sostituto di Bale si é ritagliato un grande spazio nella macchina perfetta di Zidane. Talento, estro, creatività, qualità che anche l'Italia ha purtroppo capito.


lunedì 11 dicembre 2017

COERENZA E PALLONE D'ORO, DIVISI ALLA NASCITA



Sorride Cristiano Ronaldo, lì in cima alla Tour Eiffel, con in mano il suo Pallone d'Oro numero cinque. É contento ed ha ragione di esserlo, perché chi si aggiudica un riconoscimento tanto importante significa che ha fatto una stagione superlativa. Un anno fantastico per CR7, che si é reso protagonista nella doppietta Liga-Champions, realizzando due gol nell'attesissima finale contro la Juventus lo scorso 3 giugno. In quel momento tutti abbiamo capito che il Pallone d'Oro non poteva che non finire all'asso portoghese. 

Il Balon d'Or, così afferma France Football, é assegnato al calciatore che più si é distinto nel corso dell'anno solare: questo criterio non vale solo per il vincitore, ma per i restanti ventinove atleti che compongono la lista dei trenta finalisti. Perché questo é l'argomento di oggi, altro che Cristiano Ronaldo. 

Ciò che ha fatto storcere il naso a molti sono state le posizioni di Messi, Neymar e Buffon. L'argentino é finito secondo, il brasiliano terzo, e il portiere italiano quarto. Fino ad ora si potrebbe dire che non c'é nulla di strano, finché non si dà un'occhiata ai numeri e ai trofei dello scorso anno. Sia Messi che O'Ney giocavano nel Barcellona dell'allora MSN, ma nonostante ciò non si sono resi protagonisti di un'annata memorabile. Il Barça infatti non ha vinto nessuna delle competizione importanti, né Champions né Liga (entrambe andate al Real), ma si é aggiudicato solo la Copa del Rey, meno rilevante delle altre. Messi ha messo a segno 54 gol, mentre Neymar solo 20, ma questo non basta se poi alla fine non vinci nulla. Per questi motivi, secondo me é stato sbagliato mettere entrambi sul podio: Messi meritava il 5-6º posto, mentre il brasiliano poteva magari chiudere la top 10. 

Altri, che hanno invece disputato una stagione coi fiocchi, come ad esempio Modric, Buffon e Hazard non sono stati gratificati abbastanza. Soprattutto Gigi, campione d'Italia per il sesto anno consecutivo e autore di una grande cavalcata in Champions spentasi solo in finale. Grazie ai suoi interventi la Juve ha superato il Barcellona, mica uno qualunque, arrivando a giocarsi la seconda finale in tre anni. Direi che a 40 anni, dopo una carriera straordinaria, qualche merito in più avrebbero potuto darglielo. 
Anche la stagione di Modric é stata sottovalutata da molti. Nominato migliore centrocampista della stagione scorsa dalla UEFA, il genio croato ha contribuito alla vittoria del Real con l'assist per il secondo gol di CR7 in finale, la rete che ha messo in ghiaccio la partita. 
Ultimo ma non meno importante, Eden Hazard, che con ben 17 gol e 7 assist ha dato il là alla grande vittoria del Chelsea di Antonio Conte in Premier, una squadra che proveniva da un anonimo decimo posto e che grazie anche al belga é riuscita a trionfare in grande stile. 

Questi tre giocatori sono il punto di partenza per una riflessione: dov'è finita la coerenza? Dov'è sparita la meritocrazia? Perché i giornalisti votano sempre gli stessi, rendendo banale la classifica? Si dovrebbe votare oggettivamente basandosi sull'esperienza reale e sulle prestazioni offerte dai calciatori in quell'anno, perché altrimenti si rischia di vedere sempre lo stesso duo che si alterna tra prima e seconda posizione. I voti di Paolo Condò, unico giornalista italiano a votare per il Balon d'Or, sono un esempio che tutti dovrebbero seguire. Non più Ronaldo primo, Messi secondo e Neymar terzo, bensì Ronaldo primo, Modric secondo e Buffon terzo. 

D'altronde ciò che é banale e ripetitivo alla lunga stanca. 

martedì 14 novembre 2017

ITALIA, ANNO ZERO

Dopo la vergognosa qualificazione mancata al Mondiale i colpevoli sono due: Tavecchio e Ventura. Analizziamo le loro colpe, e tentiamo di capire da dove si può ripartire


"La difesa sballata, il centrocampo endemicamente fioco, l'attacco scomposto di gente molto sollecitata a impaurirsi. E dove credevamo di andare?" Così, il grandissimo giornalista sportivo Gianni Brera commentava la sconfitta clamorosa dell'Italia contro la Nord Corea, che aveva di fatto eliminato gli Azzurri dal Mondiale inglese del 1966. Per quanto quella disfatta avesse assunto proporzioni sostanzialmente catastrofiche, per quanto quella sconfitta rappresentava uno dei punti più bassi della nostra storia calcistica, per quanto fossimo stati battuti da un dentista, niente di tutto ciò é lontanamente paragonabile a uno scenario di proporzioni bibliche che non avremmo mai voluto vedere: l'Italia che non si qualifica alla Coppa del Mondo. Prima di lunedì, una sola volta la nostra nazionale non era riuscita ad ottenere il pass che garantiva l'accesso alla competizione calcistica più importante del globo terrestre. Allora, 15 gennaio 1958, riuscimmo a essere eliminati da due gol di due calciatori, Mcllroy e Cush, che hanno avuto una carriera praticamente nulla, eccetto per quel labile momento di effimera gloria. Quegli Azzurri, a dirla tutta, non erano la squadra più forte che il calcio nostrano avesse generato, gli unici degni di nota paradossalmente erano i due oriundi Schiaffino e Ghiggia, e questo é tutt'oggi visto come una delle cause che portarono al "disastro di Belfast". Il ct Alfredo Foni fu considerato inadatto e per questo esonerato, così come il presidente della FIGC, il cui mandato terminò con il commissariamento da parte della Federcalcio. 

59 anni più tardi, quasi come se volessimo festeggiare le nozze di diamante, siamo riusciti nell'orribile impresa di farci eliminare ai playoff dalla Svezia, che battendoci potrà bellamente godersi l'esperienza russa del Mondiale. 59 anni dopo siamo riusciti a non qualificarci, ancora una volta contro un avversario dallo spessore nettamente inferiore al nostro. E pensare che la Svezia l'avevamo già battuta, ad Euro 2016, quando in squadra gli scandinavi avevano ancora un campione come Zlatan Ibrahimovic. "Via Ibra, si pensava, tutto é già fatto", "Ma che vuoi che facciano questi svedesi, che hanno solo Forsberg come unico talento", dicevano. Dall'altra parte della barricata c'erano gli scettici, o almeno coloro che pensavano che la Svezia sarebbe stata una squadra particolarmente ostica, dura da fronteggiare, e che avremmo dovuto faticare per passare. Un sondaggio riportato venerdì 10 novembre sulla Gazzetta dello Sport mostrava come il 69% degli intervistati era fiducioso che, nonostante un po' di fatica, avremmo staccato il biglietto per Mosca. Solamente due giorni più tardi, in un'inchiesta online su Gazzetta.it, il 15% si dichiarava ottimista in visto del ritorno. 
Alla fine, i dubbiosi hanno avuto la meglio, hanno avuto ragione, hanno predetto il futuro senza saperlo. L'Italia é fuori, l'Italia non andrà ai Mondiali, il movimento italiano é da rifondare, partendo dalle fondamenta. I colpevoli sono due e sono già stati individuati: Tavecchio e Ventura. In questo articolo analizzeremo cosa hanno fatto di male, dove hanno sbagliato, ma metteremo anche l'accento sul punto di ripartenza, vale a dire da dove e da chi si può ripartire per rifondare il calcio del Bel Paese. 

1. Le colpe di Tavecchio: scegliere e riconfermare Ventura / non occuparsi dei settori giovanili
Il termine colpa in sé contiene un concetto molto semplice: quando sei incolpato di aver fatto qualcosa, significa che quell'azione l'hai commessa, e almeno che ti considerino innocente, passerai il resto della tua vita dietro delle sbarre di ferro. Parlando di Carlo Tavecchio l'idea rimane la stessa, nonostante il contesto sia molto meno cupo e pesante. Ciononostante, l'ex presidente di FIGC ed ex commissario della Lega Serie A é il secondo maggiore imputato, dietro solo a Ventura, del disastro calcistico del Bel Paese. Le colpe, sono di aver scelto e riconfermato l'ex allenatore del Torino e di non essersi occupato abbastanza dei settori giovanili e del problema degli stranieri.

Incomincio con il dire che la scelta di Ventura per guidare la Nazionale nel periodo post-Conte sembrava a molti, incluso il sottoscritto, una scelta parecchio azzardata. Una no-sense choice perché il tecnico ligure é un allenatore le cui idee esigono parecchio tempo per trasformarsi in concreto. La realtà parla chiaro e afferma che per raggiungere risultati importanti l'ex tecnico azzurro ha dovuto lavorare costantemente per quattro anni con un gruppo, il Torino, che ha raggiunto il suo massimo traguardo nel 2014-15 con l'approdo agli ottavi di finale di Europa League. É chiaro che se si vuole partecipare al Mondiale, serve un allenatore che sappia adattarsi velocemente al contesto e che utilizzi il materiale che ha a disposizione, una skill che Gian Piero Ventura ha mostrato di non possedere.
L'errore però più grave in tutto ciò non é stato tanto sceglierlo, i fan del tecnico diranno che era l'unica scelta decente sul mercato, bensì riconfermagli la fiducia nell'agosto di quest'anno. Precisamente il 9 agosto del 2017, Tavecchio annunciava il rinnovo di Ventura fino al 2020, scatenando l'ira di tutti coloro che sono dotati di pensiero razionali. Tutte queste persone si sono infuriate perché a meno che la qualificazione alla Coppa del Mondo sia certa, prima di rinnovare la fiducia a qualsiasi allenatore aspetti di vedere come va a finire la vicenda. Nel caso dell'Italia la situazione é andata di male in peggio, e oggi come oggi ci troviamo fuori dal Mondiale e con un ex CT ancora da stipendiare fino al giugno dell'anno prossimo. Vi sembra possibile compiere una scelta così azzardata? A me sinceramente no, ma si sa che la nostra nazione é piena di soggetti alquanto creativi, e Tavecchio sfortunatamente si é dimostrato uno di questi.

L'altra gravissima pecca commessa dell'ormai ex presidente della FIGC é stata quella di non essersi occupato prima del problema giovani e di quello legato all'eccessivo numero di stranieri che giocano nel nostro campionato. Per centrare meglio la questione, é meglio servirsi di alcuni dati, sempre utili in queste situazioni. All'indomani della catastrofica disfatta azzurra, "La Repubblica" snocciola una serie di numeri sulla situazione giovani e stranieri in Italia, evidenziando che il 73% dei convocati dall'Under 20 tra il 2011 e il 2015 non gioca attualmente in Serie A e che il 38% dei calciatori che hanno disputato la finale dell'ultimo campionato Primavera non erano italiani. Il quotidiano aggiunge che uno dei punti cardine della riforma di Tavecchio erano la creazione di centri federali dove formare i futuri calciatori, prendendo come modello la Germania. Il progetto ne prevede 200, ma al giorno d'oggi quelli attivi sono solo 30 (contro i 390 tedeschi), di cui 10 negli ultimi quaranta giorni. Per ora sono stati stanziati 9 milioni, ma ne serviranno altrettanti annualmente per sostenere il progetto. Il modello tedesco si basa sull'utilizzo di 1600 allenatori di base che formano i ragazzi, in gran parte figli di immigrati tedeschi e "germanizzati" tramite una sorta di Ius Soli. In Italia, tutto questo é pura utopia, e la realizzazione di tutto ciò é ancora lì che vaga nella mente dei grandi capi della Federazione calcistica. Fabio Caressa sostiene che nelle attuali scuole calcio, le chance di vittoria vengono preferite alla tecnica e la qualità, e quindi i ragazzini più forti fisicamente vengono scelti, mentre magari quelli più esili vengono scartati il più delle volte, considerati incapaci di portare alla vittoria squadre con allenatori la cui fama si ferma ai confini comunali. La storia del calcio ci ha dimostrato che anche i bambini gracili possono diventare leggende, Messi su tutti, ma pare che il movimento italiano non abbia una memoria abbastanza lunga per ricordarsi tutto ciò.
Altro aspetto importantissimo da considerare é quello degli stranieri in Italia, e su questo argomento nel corso degli ultimi giorni si sono intromessi anche personaggi che non hanno nulla a che vedere con il calcio, tra cui i politici Matteo Salvini e Giorgia Meloni che hanno chiaramente espresso un giudizio decisamente negativo. Tralasciando questo excursus politico, é chiaro che la questione stranieri é qualcosa che da qualche anno a questa parte ha assunto un'importanza rilevante. Basti pensare che il 23 aprile della scorsa stagione nel match Inter-Udinese, sui 22 giocatori in campo non c'era nessun italiano, fatto da record per quanto riguarda il nostro campionato. In Italia, secondo i dati di Transfermark.it, gli stranieri rappresentano il 53.3% del totale, in Germania sono il 52.7% mentre in Portogallo raggiungono il 57,6%. Questo per dire che nonostante si abbia più della metà dei tesserati non italiani, ciò non significa che il livello del campionato sia basso. Lo dimostra la Germania stessa, che pur avendo così tanti stranieri é campione del mondo e d'Europa (U21) uscente e si trova stabilmente da anni nelle prime posizioni del ranking FIFA. Il grande problema del nostro campionato non é la quantità di extracomunitari, bensì la qualità. Perché, come Ambrosini spiegava nell'immediato post Italia-Svezia, sembra che ci divertiamo a fare giocare i calciatori di altre nazionali, preferendoli ai nostri. Con questa citazione non vogliamo per nulla sminuire la globalizzazione calcistica, senza la quale Messi e Suarez non avrebbero mai potuto giocare assieme, ma vogliamo solamente dire agli allenatore che se devono scegliere tra un italiano e uno straniero di pari livello, dovrebbero scegliere il primo, in primis per il bene della nostra Nazionale. Perché d'altronde, se i nostri ragazzi non giocano e non ricevono fiducia, non accumulano minuti ed esperienza, un deficit che pagano ad un prezzo salatissimo quando scendono in campo in competizioni prestigiose. In questi contesti ciò che conta, oltre alla qualità, é la capacità di reggere alle pressioni e alle aspettative di milioni di persone, le quali vogliono una sola cosa: vincere. Se non riesci a dar loro ciò di cui hanno bisogno verrai bersagliato di fischi, come é successo una settimana fa a San Siro. Coltivare e far giocare i nostri giovani serve anche a questo: a permettere loro di farsi le ossa in campionato per poi reggere al cospetto di palcoscenici da brivido, un concetto che in Italia pare che non abbiamo afferrato del tutto.

2. Le colpe di Ventura: troppo orgoglio e scelte tecniche incomprensibili
Platone afferma che la morte di Socrate ha anche un grande aspetto positivo, vale a dire la rinascita della società, che guidata dai filosofi, deve essere orientata verso il bene. Il paragone tra i giornalisti e il filosofo ateniese non regge, però é possibile scorgere un'analogia tra la situazione nel IV secolo a.C. e quella attuale. Lo si può fare perché anche il sistema calcio in Italia é sostanzialmente morto, ucciso dall'eliminazione ai playoff, e sta tentando di rialzarsi, cacciando via Tavecchio e affidandosi a volti nuovi e propositivi. Ventura é stato messo come secondo imputato, perché se l'ex presidente é la punta dell'iceberg, l'ex CT rappresenta la base del masso ghiacciato: una volta tolta quella, il resto cade in maniera naturale. Evitiamo però di dilungarci troppo su questioni futili, e come si dice nel parlar comune, "passiamo al sodo". Le colpe di Ventura, come ben scritto in neretto sono quelle di aver avuto troppo orgoglio e di aver fatto scelte tecniche indecifrabili.

Partiamo dalla prima affermando che mai un CT nella storia del nostro Paese aveva anteposto ciò in cui crede a ciò che é necessario. La prima cosa che ti insegnano da bambino quando sbagli qualcosa é di rialzarti e fare in un altro modo, di cercare una nuova via da percorrere. A dirla tutta non so come sia stata l'infanzia di Ventura, ma sicuramente crescendo non ha ben compreso quest'ultimo concetto. Non solo non l'ha compreso, l'ha sentito e ha tirato avanti come se niente fosse, incurante anche dei consigli che gli avevano dato i calciatori, i quali proponevano di cambiare modulo. L'ex tecnico di Bari e Torino, dopo aver affermato addirittura di volersi dimettere, ha ovviamente continuato a battere sempre la stessa strada, con l'obiettivo di dimostrare che le sue idee e principi tattici ci avrebbero portato tranquillamente in Russia. Una mancata qualificazione più tardi abbiamo compreso che questo atteggiamento si chiama presunzione o eccesso di orgoglio, scegliete voi qual é il migliore. Parlando in maniera generica, non é possibile che a questi livelli si facciano determinate scelte in base a criteri inesistenti, come il patriottismo personale e l'orgoglio. Non é ammissibile che un CT scelga in questa maniera, soprattutto se vuoi vincere. Se vuoi passare il turno e noti che le tue idee steccano, la prima cosa da fare é adattarsi al materiale a disposizione trovando il sistema di gioco più funzionale. Il 3-4-3 o il 4-3-3 sarebbero stati dei moduli efficienti, capaci di esaltare le qualità dei nostri singoli, Insigne su tutti, ma Ventura non ha voluto ascoltare, e la situazione attuale é figlia del suo menefreghismo. Pare averlo fatto apposta: piuttosto che adattarsi, meglio farsi esonerare. Caro Gian Piero, prima di fare di nuovo il bravo alunno pensaci due volte la prossima volta.

Il secondo punto é probabilmente ancora peggio, dato che é quello che più ha fatto infuriare il popolo calcistico italiano. Il problema in realtà si riduce a pochi uomini: Insigne, Gabbiadini e Candreva. Partiamo al contrario, dall'ala dell'Inter a quella del Napoli. Il grande errore di Ventura é stato quello di schierare Candreva al ritorno, quando sai che lo svedese più basso é 1.85 m e che la principale caratteristica del numero 87 interista sono i cross. Le gran pecche di Candreva sono che mette troppi cross, difatti con la Svezia é risultato l'uomo che ha crossato di più, e che soprattutto la maggior parte dei suoi cross non finiscono agli attaccanti, bensì contro i corpi dei suoi marcatori. Contro la Svezia si é visto che il suo continuare a mettere traversoni su traversoni non ha fruttato niente, tranne che rabbia, fischi e rammarico.
Con Gabbiadini il problema é ancora più semplice, perché non ci vuole Einstein per capire che un calciatore che nell'ultimo anno in Nazionale ha giocato 46 minuti non può essere messo in campo nel match più importante della stagione. Ventura invece, da gran menefreghista qual é, ha fatto di testa sua é ha sbagliato, dato che Gabbiadini si é limitato a fare qualche sponda ma niente di più.
La pecca più grossa però, l'ex CT l'ha fatta con Insigne, che ha giocato solamente 15 minuti in totale nelle due sfide. Come é possibile che il calciatore più talentuoso, creativo e forte di quest'Italia venga relegato così facilmente in panchina? É chiaro che questo discorso si ricollega a quello di prima sull'ostinazione di Ventura, che ora viene del tutto a galla. Il sacrificio di Insigne é il culmine dell'orgoglio venturiano, il punto più alto di un atteggiamento sbagliato fin dal principio. Non é possibile sacrificare l'estro del ragazzo napoletano per un modulo solo apparentemente corretto. Ventura, però, é riuscito sfortunatamente anche a fare questo.

3. Da dove ripartire: Ancelotti e presidente della FIGC non telecomandato
Arriviamo finalmente, dopo 2425 parole negative, a parlare degli aspetti da cui dobbiamo ripartire per rifondare interamente il movimento calcistico italiano. Il nome da cui tutto deve rinascere é Carlo Ancelotti e vi spiego semplicemente il perché. Allenatore ben visto in Italia, considerato un grande da tutti fuori e dentro la penisola, grandissima esperienza, palmares più che ricco di trofei, capacità di adattamento ai giocatori a disposizione, capacità di relazionarsi con spogliatoi di un certo livello, Milan e Real Madrid a dimostrazione di tutto ciò, voglia di ripartire in grande stile, disponibilità solo con un progetto serio. Quest'ultimo punto é probabilmente il più importante nell'opera di convincimento di uno dei manager più qualificati al mondo. Per avere Carlo Ancelotti dobbiamo avere progetti seri, idee chiare e ben fissate in testa, soluzioni attuabili per risolvere i problemi che affliggono la Federazione. Una volta chiarito tutto ciò, una volta che all'ex allenatore del Bayern sarà garantito tutto questo, sarà dura che rifiuti la chiamata della sua Nazionale, nonostante lo stipendio sarà leggermente più basso del solito.

L'altro punto é il bisogno di avere una faccia nuova come capo della FIGC, una persona che sia qualificata ed adatta a svolgere questo importantissimo incarico. Una persona che sia capace di farsi valere, di non farsi sottomettere dalla volontà di nessun presidente di club, indifferentemente che esso guidi la Lazio o la Juve. Una persona infine che abbia gli attributi di fare veramente dei cambiamenti, di prendere decisioni che possano scuotere il terreno fin dalle fondamenta, cambiando ciò che deve essere cambiato, stavolta veramente, é migliorando ciò che già di buono é stato fatto. Con queste poche righe faccio i miei più sinceri auguri al nuovo presidente, chiunque esso sarà, con la speranza che il mondo del calcio italiano diventi d'ispirazioni per altri.

Chiudo con una nota decisamente patriottica, destinata al popolo italiano in generale: nel 1945 eravamo un Paese sull'orlo della catastrofe, e grazie agli aiuti ma soprattutto alle nostre idee, ne siamo usciti fuori e abbiamo creato un decennio di boom economico. Tentiamo anche nel calcio di rialzarci, come il popolo d'Italia é sempre abituato a fare. D'altronde, é nel nostro DNA. 

sabato 4 novembre 2017

IL FUTURO É DI DELE ALLI

Infanzia difficile, dominio in patria, e futuro da campione. Siamo certi: Dele Alli diventerà una star. 


Se provate a cercare Milton Keynes sulla Bibbia 2.0 (Wikipedia), non aspettatevi che vi compaia molto davanti agli occhi. Gli unici paragrafi presenti che riguardano la città sono l'evoluzione demografica, la geografia fisica e le persone legate a Milton Keynes. Nell'introduzione si afferma che la città inglese é sede della Red Bull (la scuderia di F1), del Museo Nazionale dell'elaborazione e di Bletchely Park, famosa per aver ospitato Alan Turing durante la Seconda Guerra Mondiale. Negli ultimi due anni, però, Milton Keynes ha qualcosa in più di cui vantarsi: é infatti il luogo di nascita di una dei calciatori più in ascesa nel panorama calcistico mondiale, ossia Dele Alli. 

Nascere negli anni '90 in questa città del sud dell'Inghilterra, caratterizzata da mulini a vento e case perlopiù del 1970, non doveva essere semplice, ma era ancora peggio se dietro di te non avevi il supporto famigliare adeguato, come accade al piccolo Bamidele. La madre, Denise, é una donna fragile che soffre di gravi problemi come la depressione e la dipendenza da alcool. Con il padre del ragazzo si era conosciuta in discoteca, e la nascita del futuro calciatore non era stata che un errore dovuto alla situazione dei due giovani, in quel momento decisamente poco sobri. Il padre, un multimilionario nigeriano, appena saputa la nascita del figlio, decide che la situazione non fa per lui, e dopo appena una settimana prende il primo volo e atterra negli Stati Uniti. 
La scuola inizia ma non nel migliore dei modi, dato che il ragazzo é spesso coinvolto in risse con altri alunni: il fare a botte lo aiuterà soprattutto a sviluppare un carattere forte, che gli verrà in soccorso nelle situazioni difficili. 

A 8 anni la sua vita cambia completamente: il padre torna dagli Usa e decide di portare il figlio con sé in Nigeria per un lustro. All'età di 13 anni, Bamidele fa ritorno nella sua città natale, ma la madre, vittima ancora una volta dell'alcol, non può accudirlo secondo il parere degli assistenti sociali, che decidono per questo motivo di affidarlo ad una famiglia adottiva. 
Il contesto famigliare é nettamente migliore e Dele può finalmente concentrarsi sulla sua vera passione, il calcio. Un anno più tardi viene tesserato dall'MK Dons, e nel 2012 fa il suo esordio con la maglia della città natale. Dopo 74 presenze e 22 reti, tra cui una al Manchester United in League Cup nell'agosto 2014, il ragazzo da Milton Keynes firma con il Tottenham per una cifra attorno ai 5 milioni. 

Nel giro di quattro anni diventa uno dei giocatori più brillanti del panorama calcistico inglese ed europeo, totalizzando 45 gol e 41 assist in 142 match disputati. La buonissima stagione che sta per finire senza un minimo dubbio l'aumento di ingaggio che gli Spurs sono pronti ad offrirgli: si parla di un raddoppio, dagli attuali 4 milioni ai probabili 8. Più volte paragonato a Gerrard, suo idolo, Dele Alli é un centrocampista decisamente moderno, "box to box", capace di ricoprire la maggior parte dei ruoli del centrocampo, aspetto che lo rende un vero jolly. Abile negli spazi stretti, ottimo colpitore di testa, e spettacolare negli inserimenti e nelle conclusioni da fuori, il numero 20 del club della comunità ebrea di Londra incarna tutte le caratteristiche che ci si aspetta da un centrocampista fantastico nel 2017, ed é quello che anche i top club stanno iniziando a capire. 

Mentre il futuro é decisamente roseo, tra Mondiale e sogni di Premiership, il passato é un capitolo decisamente grigio, con la madre Denise che cerca di nuovo il contatto, mentre Dele per ora chiude la porta. Quello che più conta per lui per ora é solamente il suo numero di maglia e il pallone tra i piedi, con tutto il resto che vale decisamente nulla.
Per i tifosi del football, basta e avanza. 


lunedì 25 settembre 2017

COSA NON HA ANCORA CAPITO MONTELLA

La sconfitta di ieri contro la Sampdoria per 2-0 ha evidenziato due situazioni che Montella pare ancora non aver capito: giocare con Zapata titolare e continuare a cambiare giocatori ogni partita. 


Nel calcio, come nella guerra, puoi essere sconfitto in due maniere diverse: o perdi con onore combattendo coraggiosamente oppure subisci una disfatta totale, per intenderci Caporetto. 
Eccezion fatta per questo esempio, el fútbol e le battaglie hanno tra di loro davvero poco in comune, in primis perché quando giochi a calcio non vai incontro alla morte, e in secondo luogo perché i soldati che combattono sulle montagne dell'Afghanistan non ricevono in cambio qualche milione di euro. 

Il calcio, come sostiene Max Allegri (uno che si intende dell'argomento), é un'arte e per questo motivo non può e non deve essere né meccanizzato, tramite eccessive statistiche, né brutalizzato, dipingendo i match come delle faide. É quello che probabilmente non ha ancora compreso Mihajlovic, che ogni anno commette sempre lo stesso errore di caricare troppo la squadra, con il risultato che quasi ogni derby termina la partita in dieci uomini (Baselli docet). 

Ma questo articolo, come avete inteso già dal titolo, non parla del Torino bensì di Montella, ed é ciò di cui disquisiremo nelle prossime righe. L'allenatore campano ieri é stato infatti vittima di una vera e propria débâcle a Marassi contro la Sampdoria, dove ha subito un secco 2-0. Fassone e lo stesso Montella hanno detto che l'atteggiamento visto a Genova non é da Milan, ma ciò che nessuno ha osato chiedere é: perché Zapata ha giocato titolare? Ma soprattutto, perché la squadra scesa in campo contro la Samp era ancora diversa dall'ultima giornata?

Il mistero di Zapata titolare
Grandi gioie alle proprie tifoserie Cristian Zapata, classe 1986 nativo di Padilla (Colombia), non ne ha mai regalate, in primis perché é un difensore e non ha un particolare feeling con il gol ed in secondo luogo perché ha giocato più match negativi che positivi. Anche lui però ha qualcosa di cui vantarsi, perché é grazie al suo gol di stinco al 97' che il Milan ha pareggiato il primo derby cinese e ha raggiunto l'accesso all'Europa League. Il grande problema del difensore colombiano é senza il minimo dubbio la continuità, la capacità di inanellare prestazioni positive una di seguito all'altra. Sembra non essere predisposto a ciò, perché a un match giocato senza sbavature segue sempre una partita da mani nei capelli. 

Il punto però di questo paragrafo é in realtà un mistero, ed é il mistero su cui molti tifosi milanisti ancora si stanno interrogando. Perché in un match così ostico Montella ha voluto cambiare all'ultimo idea e scegliere Zapata al posto di Mateo Musacchio, dato titolare fino al sabato? Con tutto il rispetto per Zapata, ma il difensore ex Villareal é una spanna sopra per quanto concerne la qualità. É più solido, tecnicamente più forte, riesce a star concentrato lungo tutto l'arco del match, ed inoltre é stato pagato 18 milioni per farne uno dei perni della difesa. Invece no, Vincenzo Montella, pur sapendo che la retroguardia titolare conta anche sull'argentino, ha deciso di far giocare il colombiano, ed il risultato si é visto in maniera netta. Un errore più che grave, una molle respinta di testa in mezzo alla sua area, e uno scivolone sono state le due condizioni che hanno portato ai due gol della Sampdoria firmati Duvan Zapata e Ricky Alvarez. Due errori che in Serie A non sono accettabili, men che meno ammissibili da parte di un giocatore che indossa la maglia di un club importante come il Milan. 
Visto il risultato poco felice ottenuto con Zapata speriamo che, per il suo bene, Montella si decida contro la Roma a schierare quella che in origine doveva essere la difesa titolare ed inamovibile, composta dal trio Bonucci-Romagnoli-Musacchio. Quella che in estate era stata indicata dai principali quotidiani come un pezzo importante del nuovo Milan. Poi Montella ha voluto cambiare idea e ne ha pagato le conseguenze. 

Chi sono i titolari? Tra André Silva, Calhanoglu, Bonaventura e Suso
Le altre importanti questioni che l'allenatore campano deve risolvere riguardano i cambi di modulo e i titolari. Ogni allenatore, come ben si sa, nel calcio ha le sue idee, le sue teorie e di conseguenza i suoi schemi. Sarri predilige il 4-3-3, Allegri il 4-2-3-1, Gasperini il 3-5-2. Sappiamo già che il modulo congeniale a Montella é il 4-3-3 ma quest'anno con l'arrivo di Bonucci si sapeva già che avrebbe virato su un più consono 3-5-2, data l'abitudine del difensore ex Juve a giocare con questo schema. Prima però di arrivare a scegliere definitivamente la difesa a 3, l'ex tecnico del Catania ha giocato per tutti i preliminari, e anche nelle prime tre di campionato, con il 4-3-3, un modulo non del tutto adatto al nuovo Milan. Non consono perché sia Rodriguez che Conti non sono abituati a fare tutta la fascia, perché Bonucci ha le sue difficoltà ben note con lo schieramento a quattro. A questo punto c'é da chiedersi, "perché non ha subito imposto la difesa a tre, che era ed é la più adatta a questo gruppo? Perché prima di arrivarci i tifosi hanno dovuto attendere la metà di settembre? Se avesse fin da subito giocato con il 3-5-2, o al massimo con il 3-4-3, ora i giocatori avrebbero molta più fiducia e conoscenza dei movimenti da fare e la squadra girerebbe probabilmente (e sottolineo probabilmente) meglio. 

L'altro dilemma irrisolto riguarda i titolari, perché all'alba del 25 settembre, Montella pare non sapere ancora chi schierare la domenica e chi il giovedì. Tolta la difesa, che a parte il caso Zapata quella é, il resto della formazione é sempre tra coloro che stan sospesi. A partire dal centrocampo, dove c'é il continuo dubbio su chi mandare in campo tra Bonaventura e Calhanoglu. La scelta é semplice: parte titolare chi é più in forma al momento, nient'altro. Ed in questo momento il migliore é il turco, che lo ha ampiamente dimostrato sia in Europa League, sia in campionato. Ma il tecnico rossonero, per non so quale motivo, sembra riluttante all'idea di togliere Bonaventura dai titolari, nonostante l'ex Atalanta non sia realmente in forma. Passiamo quindi all'attacco dove la questione si fa ancora più complicata, perché a giocarsi un posto ci sono tre calciatori, vale a dire Suso, André Silva e Cutrone. L'idea di base é che non puoi pagare un giocatore 38 milioni per farlo giocare il giovedì una volta ogni due settimane. Se paghi una cifra così e se lo chiedi con insistenza, e soprattutto se quest'ultimo é in forma smagliante, non é possibile lasciarlo a poltrire in panchina come una qualsiasi seconda linea. É meglio piuttosto far giocare nei gironi europei Cutrone, che accumulando minuti accumula esperienza essendo giovane, e lasciare a Silva la chance in campionato. C'é poi Suso, che come Bonaventura non vive un gran momento, dato in particolare dal ruolo che si trova a fare. Per caratteristiche di gioco infatti, lo spagnolo predilige la fascia destra, così da poter rientrare sul sinistro per calciare o crossare. I risultati li ha fatti vedere lo scorso anno, con la felicità dei tifosi rossoneri che hanno potuto ammirare Suso in tutto il suo potenziale. Quest'anno invece il cambio di modulo ha portato Montella a schierarlo da seconda punta dietro a Kalinic, e peggio di così non si poteva fare. Lo spagnolo, soprattutto con la Samp, ha vagato per il campo, in cerca di una posizione stabile in cui stare, finendo più e più volte per pestare i piedi a Bonaventura, spaesato anche lui. Sarebbe meglio, per il bene di entrambi, che il tecnico rossonero concedesse loro un attimo di riposo, per adattarsi e riprendere al massimo. 

Oltre che il bene dei giocatori farebbe anche bene al Milan e probabilmente alla sua classifica. Qualcosa che non dispiacerebbe né alla dirigenza né ai tifosi. 

martedì 12 settembre 2017

PRONTI AD ALZARLA

Stasera il via della competizioni per club più importante del mondo. L'analisi gruppo per gruppo, per capire chi festeggerà sotto il cielo di Kiev


 

Le nozze d'argento, in ambito matrimoniale, certificano che la relazione tra moglie e marito é ormai consolidata. Passato il fatidico momento del matrimonio, tra lacrime, riso e festeggiamenti, la luna di miele e probabilmente il primo anno, gli sposi iniziano a capire che sono fatti l'uno per l'altro e che al 99% dei casi passeranno il resto della loro vita insieme. 

Finita questa parentesi matrimoniale introduttiva, é importante ricordare a tutti i tifosi di calcio che quest'anno ricorrono i 25 anni dalla nascita della Uefa Champions League e non possiamo che non essere felici. La creazione della competizione per club più importante al mondo ha avuto un'importanza cruciale nel quadro calcistico continentale, perché ha segnato il definitivo passaggio tra il mondo antico e il mondo moderno, non diversamente da quanto ha fatto il Rinascimento nella Storia dell'uomo. 

Con la nascita della "Lega dei Campioni", il calcio europeo ha definitivamente abbandonato l'ormai obsoleta vecchia formula, che prevedeva l'accesso al torneo solo in caso di vittoria del campionato, per accogliere a braccia aperta quella nuova, che apriva le porte a tutte quelle big d'Europa come Barcellona, Arsenal e Inter, che il più delle volte avevano dovuto disputare la Coppa Uefa a causa della mancata vittoria in campionato. La Champions League inoltre rappresentava l'approdo alla democrazia calcistica, al traguardo che in molti avevano sperato, vale a dire il fatto di garantire anche alle federazioni più piccole e meno importanti il diritto di entrare a far parte delle migliori 32 d'Europa. Ora dal 1992 a oggi parecchie cose sono cambiate, i gironi da trentadue squadre e non più da otto, la finale si svolge il sabato e non il mercoledì, ma nonostante ciò, la competizione per club voluta dalla UEFA ha ancora un fascino irresistibile. Saranno gli stadi esauriti, i canti dei tifosi, la presenza di campioni di altissimo livello guidati da grandi allenatori: insomma, quando c'é la Champions, tutto il resto passa in secondo piano. 

E così, ridendo e scherzando, l'inizio della "Liga de Campeones" si sta avvicinando man mano sempre di più, e ormai all'avvio manca pochissimo. Per prepararci al meglio, ecco qui l'analisi gruppo per gruppo e i pronostici per ogni girone. Tutti dettagli per capire chi il 26 maggio alzerà la coppa "dalle grandi orecchie" nel cielo di Kiev. 

GRUPPO A (MANCHESTER UNITED, BENFICA, BASILEA, CSKA) *
Quando questo gruppo é stato sorteggiato, molti tifosi hanno gridato rumorosamente allo scandalo, parlando di girone facilitato, di assenza di competitività, ecc. A vedere i club sulla carta, non possiamo che non dar loro ragione, perché tra lo United e le altre sembra apparentemente esserci un vero e proprio abisso. La distanza appare così netta poiché a livello di organico é impossibile che i vari Jonas, Van Wolfswinkel e Samuel possano minimamente competere con un attaccante dallo spessore internazionale qual é Romelu Lukaku. Il centravanti belga é la stella del mercato estivo del club di José Mourinho, che assieme a lui ha portato ad Old Trafford calciatori del calibro di Lindelof e Matic, ai quali si aggiunge il ritorno di Ibrahimovich, pronto a comporre un duo d'attacco fantastico assieme all'ex Everton. Per il resto, i giocatori non sono cambiati: c'é De Gea in porta, Darmian in difesa, Pogba a centrocampo, Mkhitaryan e Martial in attacco. É rimasto come ci si aspettava anche José Mourinho, da cui i tifosi dello United si aspettano quel salto di qualità che potrebbe portare nuovi titoli in bacheca, nonostante il gioco non sia proprio tra i più esaltanti. 

Rimangono poi le altre tre, Benfica, Basilea e Cska. Partiamo dai portoghesi dicendo che nonostante la vittoria del 36º titolo nazionale ai danni del Porto, l'unico acuto del mercato, se così si può chiamare, é stato l'arrivo in prestito dall'Inter di Gabigol che approda a Lisbona in cerca di riscatto dopo una stagione più che deludente. Il resto dei "pezzi grossi" é rimasto, a cominciare dal bomber Jonas, proseguendo con i veterani Julio Cesar e Luisão e terminando con Eliseu e El Toto Pizzi, centrocampista classe 1990. C'é poi l'allenatore, Rui Vitoria, che siede da due anni sulla panchina dei Rossi di Lisbona, e che anche quest'anno tenterà di raggiungere la fase ad eliminazione diretta. 
Chiudono il girone Basilea e Cska, che hanno storie europee simili. La squadra svizzera vanta una semifinale di Europa League e il privilegio di aver eliminato proprio lo United, all'epoca allenato da Ferguson, dalla Champions League nella stagione 2012-13. Quest'anno le speranze sono riposte nel giovane difensore Balanta, seguito a lungo dalla Fiorentina, nel nazionale albanese Taulant Xhaka (fratello di Granit, che gioca nell'Arsenal) e nel bomber Van Wolfswinkel, appena arrivato dal Vitesse. 

Per quanto riguarda la squadra storicamente appartenuta alle Armate Rosse, é importante ricordare che in Europa non ha mai raggiunto grandi traguardi, se non i quarti di finale di Europa League nel 2009. La squadra rispetto agli scorsi anni non é cambiata un granché, e per questo motivo i tifosi rossoblu si affidano alla tecnica di Alan Dzagoev, all'esperienza di Akinfeev e alla solidità difensiva dei fratelli Berezuckij. Seduto in panchina, Viktar Hancarenka, passato alla storia per aver portato il Bate Borisov in Champions League, diventando così il più giovane allenatore a esordire nella massima competizione europea. 

GRUPPO B (PARIS SAINT-GERMAIN, BAYERN MONACO, CELTIC, ANDERLECHT)
Parto con il dire che questo girone, assieme al girone D e al gruppo G, é il più equilibrato dell'annata 2017-18. Puro, purissimo equilibrio sia per il primo posto sia per il terzo posto, che concede l'accesso all'Europa League. 

Iniziamo le presentazioni dal Psg, che sulla carta é la squadra favorita per la vittoria del girone. Questo favore dei pronostici non può che non essere dato dalla campagna monstre messa in atto quest'estate dal numero 1 del Qatar, Nasser Al Khelaifi, che sborsando ben 402 milioni si é accaparrato Neymar e Mbappé, non proprio due che vengono dal nulla. L'arrivo del brasiliano ha creato un notevole scalpore, soprattutto per l'enorme cifra spesa, ma l'acquisto dell'enfant prodige francese ha fatto saltare i nervi a molta gente, infuriata perché i parigini hanno aggirato il Fpf prendendo Mbappé in prestito con obbligo di riscatto. In questo modo l'arrivo di Mbappé non rientra a bilancio quest'anno ma l'anno prossimo, e così facendo il Psg pensa di riuscire a rimanere all'interno dei paletti imposti dalla UEFA. Con l'arrivo di due star di questo calibro, gente come Lucas e Di Maria, per non dimenticare Draxler, finisce in panchina, ma nonostante ciò, questa situazione può avvantaggiare Emery, in quanto il coach spagnolo avrà a disposizione riserve in grado di spaccare il match in qualsiasi momento. Tra l'entusiasmo generale qualcuno si é forse scordato di Cavani, ma il Matador ha subito fatto vedere la sua presenza segnando 5 gol in 5 match ufficiali, un discreto biglietto da visita per le squadre avversarie. Per il resto la squadra non cambia molto: a centrocampo, partito Matuidi, le chiavi sono state affidate al genio di Verratti, mentre la difesa ha aggiunto, oltre ai soliti Thiago Silva, Marquinhos e Kurzawa, anche l'esperienza e il savoir-faire calcistico di Dani Alves, che in fatto di titoli ne sa parecchio. In porta é stato promosso Aréola, considerato da Emery capace di reggere la pressione da Champions. Di pressione ne sa qualcosa proprio il tecnico spagnolo, che lo scorso anno ha deluso molti, sembrando incapace di gestire lo spogliatoio di una squadra che punta ogni anno al bottino più importante. Quest'anno con una squadra che ha il dovere di vincere, non potrà più sbagliare. 

Passiamo quindi al Bayern, condotto anche quest'anno da Carlo Ancelotti. Quando Ancelotti é stato preso dai tedeschi, l'estate scorsa, ciò che i dirigenti gli avevano chiesto era di riuscire dove Guardiola aveva fallito, vale a dire di vincere in Champions. Un anno dopo e un'eliminazione ai quarti più tardi, la situazione é cambiata del tutto. Müller, nato e cresciuto nel Bayern, si lamenta dei pochi minuti giocati, la stampa se la prende per il gioco poco spettacolare, i tifosi per la mancata vittoria in Europa. A quest'ultimi é importante ricordare che prima che Kassai, durante i quarti Real-Bayern, diventasse completamente pazzo convalidando due gol in fuorigioco dei Blancos, il club tedesco era in semifinale di Champions. Nonostante tutto ciò però, i bavaresi restano senza ombra di dubbio una corazzata devastante, con una rosa di giocatori di altissimo livello. Partendo dall'attacco, con il trio Robben-Ribery-Lewandowski, passando per il centrocampo formato da James Rodruguez, Thiago, Vidal e Tolisso, concludendo con la difesa, composta da Kimmich, Süle, Rudy, Hummels, Alaba e Neuer, senza dimenticare un fenomeno come Boateng, attualmente indisponibile. Questa é la rosa che si trova tra le mani Carletto, e siamo sicuri che con la sua solita pacatezza, riuscirà a portare i risultati che tanto sperano i tifosi. 

Il terzo posto se lo giocano Celtic e Anderlecht. La squadra scozzese, dall'importante tradizione europea, si presenta quest'anno con i soliti volti noti. Il leggendario capitano Scott Brown, il difensore costaricense Gamboa, e il duo d'attacco Roberts-Dembelé, promettono di regalare emozioni al pubblico del Celtic Park. 
Passiamo infine all'Anderlecht, la squadra belga con i tifosi più esigenti. Onestamente quest'anno non si possono aspettare molto in Europa, perché il girone é troppo complicato e perché la squadra non é attrezzata. Detto ciò, le speranze dei supporter sono riposte nei centrocampisti Stanciu e Bruno, mentre Onyekuru sarà l'incaricato di buttare il pallone in porta nella maggior parte delle situazioni. 

GRUPPO C (CHELSEA, ATLETICO MADRID, ROMA, QARABAG)
A guardarlo così, il pronostico appare fin troppo banale. Chelsea e Atletico che lottano per la prima posizione, Roma condannata all'Europa League, Qarabag cenerentola del girone, ed in effetti ora come ora la previsione pare proprio azzeccata. Il Chelsea, nonostante un'estate tormentata a causa del mercato e dei risultati di inizio stagione, si é ripreso vincendo le ultime tre di campionato, una di cui contro il Tottenham. Conte, inizialmente stressato, inizia ad essere soddisfatto del gruppo, e la squadra inizia a girare. L'impatto di Morata é stato fantastico (3 gol in 4 partite), l'acquisto di Rüdiger garantisce solidità, e il resto della squadra ha iniziato a carburare. A partire da Courtois e Kanté, che nonostante un'estate sottotono stanno ritornando prepotentemente. Hazard é appena rientrato, ma già contro il Leicester ha fatto intravedere sprazzi di grande classe. Willian si sta riconfermando ad alti livelli e il fatto di essere titolare sicuramente lo aiuta. Gli arrivi di Drinkwater e Zappacosta negli ultimi giorni di mercato daranno quella spinta in più che serve alla squadra quando ci sono in calendario più match ravvicinati. Conte inizia ad essere soddisfatto della sua squadra, dopo aver passato un'intera estate a lamentarsi del mercato sostanzialmente inesistente e delle partenze troppo affrettati di calciatori utili per il turnover, ed il risultato si vede eccome. Abramovich dovrebbe esserne contento. 

Passiamo quindi all'Atletico, e partiamo con il dire che il rinnovo di Simeone é la cosa più importante dell'estate assieme alla permanenza del "Petit Diable" Antoine Griezmann. Il mercato non é stato fatto, non tanto per mancanza di soldi o per altro, ma perché la FIFA aveva imposto un blocco ai Colchoneros. La rosa è quindi rimasta la stessa, con la solita e solida coppia di centrali Godin-Gimenez, con i soliti Gabi, Saul e Koke a garantire sotanza e qualità, con i soliti Torres e Griezmann a finalizzare. Anche il Cholo ha deciso di risposare il progetto, attaccato com'é al popolo rojoblanco. C'é la qualità per fare bene, o magari benissimo. L'orgoglio e la passione ci sono sempre stati. 

Ora é invece il turno della Roma, che si presenta a questa Champions non proprio nel migliore dei modi. Vittima del Fpf e della politica economica del vendi-compra di James Pallotta, la squadra della Capitale ha passato un'estate al quanto tribolata. Iniziata con la vendita di Rüdiger, proseguita con gli addii di Salah e Paredes, e conclusasi con l'arrivo di Patrick Shick, la sessione estiva della Roma non é stata grandiosa, e ciò ha deluso parecchi tifosi. Neanche l'acquisto dell'ex Sampdoria, di Kolarov e dell'ex Lione Maxime Gonalons sono riusciti a riavvivare una piazza che dopo l'addio di Totti si sente scoraggiata. I primi risultati, tra cui la netta sconfitta con l'Inter, e l'inesperienza nelle grandi squadre di Eusebio Di Francesco, hanno nettamente ampliato i malumori. Accedere all'Europa che conta sarà più dura quest'anno. 

Chiudiamo infine con il Qarabag, considerata la Juventus dell'Azerbaijan per il fatto di aver vinto quattro campionati di fila dal 2014 ad oggi. Il tasso tecnico della rosa non é elevato ma la squadra può contare sulla tecnica dei due centrocampisti spagnoli Michel e Quintana, e sui gol del bosniaco Sehič. L'allenatore, recordman di gol nella nazionale del Paese, é Gurban Gurbanov, che quest'anno tenterà di fare bella figura in un palcoscenico così importante. 

GRUPPO D (JUVENTUS, BARCELLONA, SPORTING LISBONA, OLYMPIAKOS)
Come già detto precedentemente questo gruppo é tra più equilibrati di questa stagione europea. Lotta serratissima per il primo posto, battaglia difficile da prevedere per l'accesso all'Europa League. Iniziamo dalla Juve, che delle quattro é la squadra al momento più in forma, dato che dopo la sconfitta di Supercoppa ha saputo solamente vincere. Il mercato é stato di alto livello ma non altisonante, non spettacolare come invece si aspettavano i tifosi bianconeri. I grandi giocatori sono arrivati, a partire da Douglas Costa, passando per Bernardeschi e finendo con Matuidi, ma nessuno di questi ha infiammato la piazza più di quanto aveva fatto Gonzalo Higuain lo scorso anno. Secondo molti tifosi manca il vero top player in difesa, perché dopo l'addio di Bonucci, Allegri si é voluto affidare a ciò che già aveva tra le mani. Come ulteriori rinforzi sono arrivati De Sciglio e Höwedes in difesa e Szczesny come sostituto di Buffon. La sensazione é che però le partenze di Bonucci e Dani Alves abbiano recato un grosso danno alla Juve, sia dal punto di vista tecnico ma soprattutto dal punto di vista caratteriale. I due ex erano i veri e propri leader assieme a Buffon dello spogliatoio, e il fatto che Dani abbia fatto il discorso pre-partita a Cardiff lo certifica. Allegri é infine atteso da una prova del nove non da poco: riuscirà a portare a Torino la coppa?

Passiamo al Barcellona, e iniziamo col dire che il secondo posto é vittima del mercato. Vittima del mercato perché con i soldi ricevuti dalla cessione di Neymar, Bartomeu e i suoi collaboratori sono stati capaci solamente di strapagare Dembelé e Paulinho, spendendo 190 milioni in totale. É arrivato anche Semedo, ma l'acquisto del terzino portoghese non basta. Con quella montagna di denaro, si potevano raggiungere obiettivi più importanti, come Verratti, a lungo inseguito ma mai preso. Con 222 milioni si poteva rinforzare veramente la squadra, migliorarla, renderla più profonda. Bartomeu ha invece deciso di inimicarsi definitivamente la piazza e così facendo rischia di non essere rieletto o nel peggiore del caso di doversi dimettere. La squadra, cambiato allenatore, non ha realmente cambiato sistema di gioco. Anche con Valverde si predilige il gioco in verticale al posto di quello in orizzontale, con Messi che ormai é uno spirito libero senza più una posizione fissa. Il tecnico ex Bilbao dovrà essere bravo a tirare fuori il meglio da ciascuno dei suoi per evitare che una stagione iniziata male, con la netta sconfitta in Supercoppa, finisca ancora peggio, vale a dire senza titoli.  

Rimangono quindi Olympiakos e Sporting Lisbona. Per i greci quarantaquattro volte campioni nazionali si profila un'annata europea difficile ma non impossibile, in cui l'obiettivo é chiaramente l'Europa League. La rosa guidata da Besnik Hasi vede come stelle indiscusse l'attaccante nigeriano Emenike, che dopo aver girato il mondo é arrivato anche in Grecia, e l'ormai ex promessa calcistica tedesca Marko Marin, che in Italia conosciamo per il suo passato alla Fiorentina. I portoghesi si affidano invece alla sostanza di William Carvalho, oltre che chiaramente ai gol del super-bomber Bas Dost, l'anno scorso tra i migliori realizzatori europei. A guidarli Jorge Jesus, passato dall'altra parte della barricata di Lisbona solamente due anni fa. 

GRUPPO E (LIVERPOOL, SIVIGLIA, SPARTAK MOSCA, MARIBOR)
Il Liverpool di Klopp non é cambiato molto, ma nonostante ciò fa comunque paura. L'arrivo di Salah e Oxlade-Chamberlain hanno garantito quella profondità e quell'incisività che a volte mancava lo scorso anno. L'attacco é definitivamente classificabile come atomico, la difesa un po' meno. Klopp dovrà lavorare soprattutto su questo se vuole garantire un minimo di futuro ai suoi ragazzi, tra i quali c'é ancora Coutinho. Il brasiliano dopo un tira e molla infinito, e dopo anche le parole di Neymar sul non andare a Barcellona, ha deciso assieme alla società di rimanere, e per questa ragione quest'anno avrà da dimostrare se vale la cifra offerta dai catalani. 

Restano le altre tre. Partendo dal Siviglia, dalla squadra dei ritorni, dei rientri a casa di Banega e Nolito, dell'addio di Sampaoli e dell'arrivo di Berizzo. La rosa non é cambiata sostanzialmente di una virgola, se non si considera l'arrivo di Muriel. C'é sempre Rami in difesa, N'Zonzi a centrocampo, Vazquez e Ganso a inventare. E poi c'é quella bolgia di nome Sanchez Pizjuán. 

C'é poi lo Spartak Mosca di Carrera, allievo prediletto di Conte, vincitore come lui al primo anno. Quest'anno per dare un minimo di dignità al cammino europeo potrà contare sulla vena realizzativa di Luiz Adriano, sulla qualità di Promes e sulle geometrie di Fernando, oltre che sull'esperienza di Kombarov. 

Qualità su cui sicuramente non può puntare Darko Milanic, allenatore degli sloveni del Maribor, che hanno ottenuto l'acceso vincendo il campionato nazionale e qualificandosi tramite playoff. Le reti passeranno sull'asse Ahmedi-Tavares, gli unici due realmente degni di nota in una squadra che non ha come principale caratteristica la qualità. 

GRUPPO F (MANCHESTER CITY, NAPOLI, SHAKTHAR, FEYENOORD)
I due maestri del bel calcio assieme, nello stesso girone. Sarri e Guardiola, il City e il Napoli: migliore sorte non poteva capitare. Il City si presenta ai blocchi di partenza dopo una vera e propria campagna difensiva, che ha visto l'arrivo di Ederson, Mendy, Danilo e Walker, tutti giocatori appartenenti al pacchetto difensivo. In avanti, dove l'abbondanza regna sovrana, é giunto Bernardo Silva, giusto per alzare l'asticella. Si riparte dagli schemi ancora più rodati, da De Bruyne, dalla coppia Agüero-Jesus, da capitan Kompany, e perché no, anche da Pep, centro nevralgico e filosofo di ogni sua squadra. 

C'é quindi il Napoli di Sarri che quest'anno, sperando nella benevolenza del sorteggio, punta ad andare più in là dei quarti di finale. L'organico é rimasto sostanzialmente lo stesso: c'é ancora Reina, é rimasto e rimarrà a vita Hamsik, sono ancora presenti i tre "piccoletti" Insigne, Callejon e Mertens, mentre si sono aggiunti Ounas, Inglese e Mario Rui. Pur se non lo sembrano, questi ultimi tre sono degli arrivi che hanno una grande importanza, perché danno alla squadra la profondità che tante volte era mancata lo scorso anno e che aveva portato a un momento di flessione nel mese di febbraio. É rimasto chiaramente anche Sarri, lo spettacolare artista che ha creato e forgiato questa squadra, che ha per ora il miglior gioco d'Italia e forse d'Europa. Mancano solo i trofei. 

Passiamo quindi allo Shakthar, che come d'abitudine, quest'anno ha riconfermato la squadra dello scorso anno. Rimangono quindi Pyatov, rimane il bomber Facundo Ferreyra, rimane la colona brasiliana, da sempre uno dei punti di forza della squadra. Marlos, Fred e Taison, i tre giocolieri della squadra ucraina, saranno sotto gli ordini di Paulo Fonseca, che a Donetsk é una sorta di idolo, dato che ha portato la squadra a vincere il double campionato-coppa lo scorso anno, e quest'anno ci ritenterà. Per quanto riguarda la Champions, l'obiettivo é sicuramente un terzo posto più che abbordabile. 

Chiudiamo infine con il Feyenoord, che vorrà certamente evitare di fare lo sparring partner del girone, e al contrario di come molti pensano, sarà un club ostico. La squadra allenata da Giovanni Van Bronckhorst, leggendario terzino olandese, viene da un anno fantastico, chiuso con la vittoria del campionato all'ultima giornata e con il conseguente ritiro di Dirk Kuyt dal calcio giocato. Quest'anno, per evitare brutte figure, il pubblico si affida al nazionale peruviano Tapia, faro del centrocampo, alla qualità di Vilenha, oltre che ai gol di Boëtius e all'esperienza del portiere Kenneth Veermer. La speranza? Che non vengano in Italia a devastare Napoli come l'anno scorso hanno fatto con Roma. 

GRUPPO G (MONACO, PORTO, LIPSIA, BESIKTAS)
Gruppo equilibrato, equilibratissimo, al limite del noioso. Il Monaco, nonostante le partenze dei big, Mbappé, Silva, Mendy e Bakayoko, si é rifatto prendendo Tielemans e Keita, oltre all'aggiunta di Jovetic. Jardim é rimasto, e questo non può che non essere un bene per una squadra così giovane. L'ambizione? Ritornare dove ci si era fermati lo scorso anno. 

Tutte le altre sono possibile insidie per il primo posto, che per i bookies é del Monaco. Il Porto si riconferma con il trio Brahimi, Aboubakar, Hernani, oltre che con l'esperienza di Casillas. Il Lipsia si presenta con i suoi gioelli, Keita e Forsberg, ben in mostra e in rampa di lancio. Il Besiktas, guidato dai veterani Medel, Pepe e Quaresma, é pronto a superare i gironi. 

GRUPPO H (REAL MADRID, BORUSSIA DORTMUND, TOTTENHAM, APOEL)
Nel parlare dell'ultimo girone non potevamo non partire dall'ultima vincitrice della Uefa Champions League, il Real Madrid. Real Madrid che quest'estate più che un mercato ha fatto un richiamo, un richiamo alla base. Sono tornati Vallejo, Dani Ceballos, Marcos Llorente e Borja Majoral, mentre l'unico vero acquisto é stato il terzino Theo Hernández in arrivo dall'Alaves. Le cessioni invece sono state oggetto di forte critica. James é andato via per necessità, per cambiare aria e giocare titolare, mentre il resto dei partiti (Morata, Danilo e Pepe) sono stati salutati a malincuore dalla tifoseria. Tutti e tre, in maniera differente, erano più che utili alla causa, e nonostante il minutaggio fosse basso, permettevano alla squadra di avere la profondità che ha permesso di mettere in bacheca Liga e Champions. Morata in particolare é rimpianto da queste parti, perché con i suoi gol era un buon sostituto di Benzema. Ora che il francese é infortunato e Bale non é in condizione, uno con il suo fiuto del gol servirebbe realmente come il pane agli affamati. Pepe invece era il sostituto perfetto del fragile Varane, mentre ora con Vallejo in panchina, si ha un po' meno di sicurezza, non tanto per il talento del giovane spagnolo, ma per la sua capacità a giocare sotto pressione. Per il resto ritroviamo sempre i soliti. A partire da Navas, che anno dopo anno sta riducendo gli errori e aumentando le parate, passando per Ramos e Marcelo, capitani in campo e nello spogliatoio, oltre che giocatori di livello mondiale, per il trio Casemiro-Kroos-Modric, un bagaglio di quantità e qualità a livelli mai visti, finendo con l'attacco, che vede due geni offensivi come Isco e Asensio, tra i migliori prodotti della nuova generazione di fenomeni spagnola, a supporto di quel mostro sacro di CR7, che pur accentrandosi e giocando di meno, non sbaglia mai un match di alto livello, e anche se lo volesse fare non ci riuscirebbe. E poi c'é Zidane, entrato in sordina lo scorso anno, ma diventato l'artefice del back-to-back madridista. Per lui, criticato all'inizio, ora ci sono solo complimenti ed elogi. 

Passiamo poi a Borussia Dortmund e Tottenham, che saranno quelle che al 99% si giocheranno il secondo posto. La squadra tedesca, allenata dall'ex Ajax Peter Bosz, può contare su giovani di grande talento, che uniti a giocatori di esperienza, formano una squadra obbligata a puntare almeno agli ottavi. Le stelle della squadra sono senza il minimo dubbio Reus e Aubameyang, ma accanto a loro ci sono altri calciatori non da meno. A partire da Götze, che ritorna dopo svariati mesi di malattia, passando per Guerreiro, Julian Weigl e Dahoud (cercato anche dal Milan) e finendo con Christian Pulisic, la stella emergente del calcio statunitense, su cui il Paese ripone le sue speranze mondiali. 
Il mix é più che buono e Bosz é l'allenatore perfetto, come già dimostrato in Olanda, per squadre di questo genere.  

C'é poi il Tottenham di Pochettino, Alli e Kane, che oltre ad essere una squadra giovane é un club che arriva alla seconda partecipazione consecutiva in Champions. Quest'anno si é aggiunto alla compagine Llorente, che sarà la riserva di Harry Kane, e Serge Aurier, arrivato dal Psg dopo un periodo fuori dal campo non semplice. Per il resto la squadra non é cambiata. Sempre Lloris in porta, sempre la coppia Alderweireld-Vertonghen in difesa, sempre il trio delle meraviglie Alli-Son-Eriksen a supporto di Kane. Anche Pochettino é rimasto, e nonostante ciò c'é qualcosa che preoccupa i tifosi: questa cosa si chiama "Maledizione di Wembley" e viene dal fatto che il Tottenham in Champions non ha ancora vinto un match nella sua "casa" temporanea. Sarà compito dei ragazzi del tecnico argentino sfatare questo tabú, e anche al più presto, se si vuole continuare il cammino europeo. 

L'ultima squadra dell'ultimo girone é probabilmente la squadra più famosa di Cipro, vale a dire l'Apoel di Nicosia. Il club allenato da Giorgos Donis é formato perlopiù da nomi sconosciuti al grande calcio, ma non per questo motivo non vuole disputare dei buoni gironi. A guidare tecnicamente ed emotivamente la squadra c'é il portoghese classe '84 Nuno Morais, alla decima stagione sull'isola. Morais, che é una sorta di leggenda a Cipro, é diventato famoso per aver segnato il gol che ha dato nel 2012 l'accesso ai quarti di finale alla squadra cipriota, facendo così la storia del club più titolato della nazione. Tra gli altri nomi di spicco ci sono Carlao, in prestito dal Torino, Ebecilio, centrocampista ex Anzhi e Ajax, e l'attaccante cipriota Miras Antoniou. 


Introdotti e analizzati i gironi, non ci resta che attendere con ansia la pubblicità della Gazprom e la scritta "Uefa Presents". A quel punto sarà solo questione di minuti, e poi di secondi, prima che la competizione per club più importante e migliore del mondo inizi. Tutti l'attendono, i tifosi di ogni generazione, provenienti da ogni parte del mondo, aspettano tre mesi per sentire l'inno più conosciuto del panorama calcistico. Questo inno, che ormai conosciamo a memoria dopo averlo sentito per 25 anni di fila, si conclude con la fatidica frase "The Champions". Tutti pronti a scoprire chi saranno i campioni, il 26 maggio, sotto il cielo di Kiev? Se rispondete sì, basta sintonizzarvi sul canale appropriato. Se rispondete no, state certi che non sapete cosa vi state perdendo. 



* Le squadre sono ordinate in base al loro probabile piazzamento finale

sabato 26 agosto 2017

IN ROTTA DI COLLISIONE

Dalla Germania arriva una vera e propria bomba: Abramovich sarebbe in rotta di collisione con Conte, a causa del caso Costa, degli ultimi risultati e dell’insistenza sul mercato. Nonostante ciò, un cambio in panchina è inutile


Si dice di Abramovich che quando qualcuno non gli va a genio, non attenda molto a licenziarlo o comunque a mandarlo lontano dalla sua vista. Questo è dovuto al fatto che il miliardario russo è un uomo molto esigente, che però talvolta esagera e smette di ragionare. Nei tredici anni da supreme leader del Chelsea, molti allenatori sono già passati attraverso questo periodo, che il più delle volte era poi coinciso con il loro licenziamento. Ancelotti fu il primo, nella stagione 2010-11, a subire il comportamento poco ortodosso del patron, che lo cacciò ad un solo anno di distanza dalla vittoria del double (Premier + FA Cup), con l’accusa di non aver vinto la Champions. Un anno più tardi fu il turno di André Villas-Boas, il “nuovo Mourinho”, che venne esonerato a marzo dopo una prima parte di campionato deludente. A sostituirlo venne chiamato il suo assistente nonché ex calciatore Blues, Roberto di Matteo, che in soli tre mesi portò la squadra alla vittoria della Champions ai danni degli avversari e ospitanti del Bayern Monaco, sconfitto ai rigori. L’idillio tra il russo e il manager italiano però non durò moltissimo e, a causa degli inizi in campionato e in Europa non brillanti, il nativo di Sciaffusa fu licenziato, appena cinque mesi dopo aver alzato nel cielo di Monaco la coppa “dalle grandi orecchie”.

In questi giorni, il tema del difficile rapporto tra Abramovich e i suoi coach sta riemergendo prepotentemente. Come afferma SportBild, noto quotidiano sportivo tedesco, in questi ultimi giorni la tensione tra Conte, il miliardario russo e i dirigenti del Chelsea sta aumentando in maniera esponenziale e la probabilità di un addio del tecnico leccese sta aumentando ogni ora di più, con l’ex allenatore del Dortmund Tuchel pronto a sostituirlo.
Il cambio in panchina non è qualcosa d’inaspettato, inatteso e nemmeno di clamoroso perché è dall’inizio della sessione di mercato che in casa Blues l’ambiente è tossico e la stabilità di Conte non poteva che non risentirne. I motivi, o per meglio dire le cause del possibile e probabile licenziamento dell’ex allenatore della Nazionale sono sostanzialmente tre: il caso Costa, gli ultimi deludenti risultati e l’insistenza sul mercato del tecnico salentino. In questo pezzo vi spieghiamo come un cambio di panchina sia inutile.

1.    Il difficile rapporto Antonio-Diego
Tutto inizia il 13 gennaio. Il quotidiano britannico Daily Mail riporta che tre giorni prima, durante la sessione di allenamento, Conte e il suo attaccante di punta avrebbero litigato. La causa scatenante della lite sarebbero stati dei problemi fisici del brasiliano, che si sarebbe lamentato di un forte mal di schiena, problema non condiviso però dall’equipe dei fisioterapisti del Chelsea, che lo ha subito riferito all’allenatore, il quale è ovviamente andato su tutte le furie. Il litigio porta alla fine a due importanti conseguenze: Diego Costa non viene convocato per il match successivo, mentre i suoi agenti volano in Cina per trattare la cessione del loro assistito al Tianjin Quanjin di Fabio Cannavaro. Da lì a pochi giorni la questione viene risolta, i due fanno pace, lo spagnolo rimane in squadra e aiuta il club a mettere in bacheca la seconda Premier in quattro anni. 
Il 9 luglio, come un fulmine a ciel sereno, l'ex attaccante dell'Atletico Madrid, svela che il suo manager gli ha comunicato via sms che non lo considera più parte del progetto dei Blues. L'azione intrapresa dal tecnico leccese provoca un polverone nel mondo calcistico, con i tifosi di tutto il mondo che si dividono in due fazioni, i "pro-Conte" e i "pro-Costa". La società inglese condanna il comportamento del tecnico italiano, mentre nelle sedi dei top club europei si inizia a ragionare su quale possa essere la destinazione adatta per il centravanti. Si va avanti il Milan, che arriva ad offrire una cifra pari a 56 milioni di euro, ma più che il club é il giocatore a rifiutare, affermando di aspettare la proposta dell'Atletico, destinazione più che gradita sebbene possa giocarci solo per sei mesi dato il blocco del mercato imposto agli spagnoli. Nonostante le continue pressioni provenienti proprio da Costa, al 99.9% l'attaccante ritornerà in quella Madrid che l'ha lanciato nel grande calcio. 
A mio parere, lo scontro Antonio-Diego era pressoché inevitabile, per il semplice motivo che tutti e due sono due persone che non si fanno mettere i piedi in testa da nessuno, e il litigio di inizio anno chiaramente lo dimostra. Con il probabile addio di Costa, la squadra perde un grande attaccante, con carattere forte (a volte un po' troppo) e con una vena realizzativa invidiabile, uno capace di segnare più di venti gol a stagione: un trascinatore nel vero senso della parola. 

2. Un'estate tormentata, in campo e sul mercato
Già avere una giornata tormentata é qualcosa che si trova nella linea che divide il sopportabile dall'insopportabile, figuratevi passare tutta un'estate così. Sfortunatamente Antonio Conte da Lecce ci é dovuto passare in mezzo, e le conseguenze non sono state per niente piacevoli. Ma, come per ogni buona analisi, dobbiamo come sempre partire dalle cause. La prima ragione che balza alla mente é il mercato, mentre la seconda riguarda le amichevoli estive e l'inizio di campionato. 

Parlando di calciomercato, é lecito affermare che il transfer market dei Blues é classificabile come una mezza pazzia. Una sorta di follia intanto perché la dirigenza ha deciso di assecondare la decisione di Matic e venderlo al Manchester United per 50 milioni, mandando su tutte le furie Conte, che lo vedeva al centro del progetto oltre che del centrocampo. Gli acquisti, invece, hanno convinto l'allenatore ma non la piazza, che dopo l'arrivo di Rüdiger non era sicuramente contenta, visto che arrivava per sopperire al ritiro di Terry e che non é considerato un difensore di prima fascia. Anche Bakayoko é stato accolto tra l'indifferenza generale, per poi essere subito criticato alla prima da titolare contro il Tottenham, match nel cui per molti fan il francese correva a vuoto. Morata, chiamato invece a sostituire Diego Costa, ha deluso in Community Shield sbagliando il suo rigore, ma si é subito rifatto segnando alla prima giornata contro il Burnley. Ciò che però ha lasciato esterefatti sia Conte che i tifosi sono state le partenze di Zouma e Aké, due difensori di riserva che potevano essere utilissimi alla causa, visto che la squadra quest'anno parteciperà alla Champions. La mancanza di vere alternative ai titolarissimi é sostanzialmente la vera pecca del mercato dei Blues, ed é anche la ragione che spiega le continue chiamate di Conte alla dirigenza. Per questo motivo, e per evitare altri screzi, Abramovich, pur non essendo troppo felice, sta pensando di mettere a disposizione altri 200 milioni, al fine di acquistare almeno tre giocatori, tra cui il difensore del Southampton Van Djik, il centrocampista del Leicester Drinkwater e l'ala dell'Arsenal Oxlade-Chamberlain. 
Ad aumentare ancora di più il tormento di Conte si sono aggiunte poi le amichevoli estive, nelle quali il Chelsea ha messo in fila prestazioni disastrose, vincendo con l'Arsenal, ma perdendo con Bayern e Inter, match in cui i Blues si sono svegliati troppo tardi per rimontare. 
Giusto perché perdere in International Champions Cup non bastava, anche l'inizio della stagione ufficiale é stato insoddisfacente, visto che i Blues hanno prima perso ai rigori il Community Shield contro l'Arsenal, per poi essere sconfitti pure alla prima di campionato contro il Burnley, che con tutto rispetto é un club da parte destra della classifica. La vittoria a Wembley nel derby con il Tottenham ha ridato morale, ma il vero esame sarà questo weekend contro l'Everton di Rooney, capace lunedì di fermare il Manchester City in casa sua. 

Tutto questo insieme di ragioni sono alla base della presunta voglia di Roman Abramovich di esonerare dalla carica di allenatore Antonio Conte. Come detto già precedentemente, il patron russo non é uno che sta molto attento all'opinione pubblica, in quanto al calcio, e se vuole fare qualcosa lo fa senza problemi. 
La mossa però di chiamare Tuchel al posto del tecnico italiano, mi dispiace dirlo, é sostanzialmente inutile, perché a stagione ormai cominciata l'arrivo di un nuovo allenatore scombinerebbe i piani, dato che ormai i giocatori sono abituati a giocare un certo tipo di calcio con certi tipi di moduli imposti da Conte. Il gioco del coach tedesco, si basa infatti su un mix esplosivo tra il gegenpressing ereditato da Klopp e il juego de posición di matrice guardiolista. 
Il gioco di Conte vede invece tra le sue armi migliori pressing e contropiede, favoriti da un recupera-palloni come Kanté e da due velocisti quali sono Hazard e Pedro. 
Insomma due modi di vedere e interpretare il calcio differente, che avrebbero come principale conseguenza il rallentamento della squadra sia in campo nazionale che in campo continentale, con importanti ripercussioni sulla difesa del titolo in Inghilterra e sull'assalto alla Champions in Europa. 
La scelta di cambiare guida tecnica avrebbe poi un'importante risvolto morale perché andrebbe ad influire sull'umore sia dei tifosi ma soprattutto su quello dei calciatori. Potrebbe capitare infatti che alcuni calciatori non si trovino a loro agio con l'allenatore tedesco, e che per questo motivo giochino sottotono e al di sotto delle aspettative.   

Se é questo che Mister Abramovich vuole, che faccia pure.