mercoledì 29 giugno 2016

IL FUTBOL NON BAILADO: DENTRO LA CRISI DEL POPOLO CALCIOFILO PER ECCELLENZA






Gli argentini i brasiliani proprio non li sopportano, calcisticamente parlando. E viceversa. Così appena è possibile schernire il rivale, lo si fa, senza mezzi termini. La Mano de Adiós, titolava il 14 giugno il quotidiano argentino Olé, subito dopo la storica sconfitta brasiliana contro il Perú in Copa Ámerica. É vero, il Brasile ha perso per un gol di mano irregolare, ma questo non cambia la sostanza: i verdeoro non sono più quelli di un tempo, non sono più i maestri del Futbol Bailado. Sono una squadra buona, discreta, una squadra di "scappati di casa" con due bravi ragazzi dal cuore grande, Neymar e Thiago Silva, che cercano di riportarli sulla retta via, ma non ci riescono ormai da nove anni. Il 15 luglio 2007 a Maracaibo, all'Estadio José Panchenco Romero, la Seleçao di uno straripante Julio Baptista batteva l'Argentina di Basile. Quello è stato l'ultimo successo, durante il governo Lula, poi cinque occasioni perse come Messi. Nel 2010, in Sudafrica, eliminati ai quarti dagli olandesi poi vice-campioni; nel 2011 ancora fuori ai quarti col Paraguay in Copa; nel 2014 il Mineirazo; nel 2015 ancora i paraguaiani, stavolta ai rigori; nel 2016 il Perú. La critica principale è diretta a Dunga, reo di aver troppo europeizzato la squadra, di averla insomma resa troppo difensiva. Ma l'allenatore non può sempre essere il capro espiatorio. Parte delle colpe ce le ha anche lo Stato. Troppi soldi spesi, ben 13 miliardi, per delle infrastrutture che seppur belle, ora sono diventati "garage" di autobus, come successo a Brasilia. Colpa anche dei club, che prima facevano di tutto per tenere i campioni, mentre ora li svendono al miglior offerente, sperando che in futuro possano guadagnare ancora di più dalla vendita di un'altro giocatore. Venendo continuamente i giocatori, il campionato perde di importanza e competitività, ma questo i dirigenti sembra che non l'abbiano ancora capito.
Il Brasile di oggi è diverso da come ce lo aspettiamo, visto che negli ultimi anni "esporta" più difensori e portieri che attaccanti. La Seleçao di oggi è lo specchio dei suoi giocatori: un gran talento sfruttato nel modo e al momento sbagliato. Come Thiago Silva che si fa ammonire nei quarti del Mondiale contro la Colmbia, lasciando la squadra senza un leader difensivo per la semifinale. Come i vari Coutinho, Willian, Bernard, pieni di talento e risorse, non sfruttate però al momento opportuno. Anche la scelta degli allenatori è contestabile, dato che dal 1983 in poi Parreira, Scolari e Dunga si sono dati il cambio più di una volta. Mai un'allenatore straniero, che ora come ora porterebbe un po' di aria fresca, un cambiamento che faccia tornare i verdeoro sulla retta via. Perché nell'era di Snapchat e Instagram, delle Live su Facebook e di Salvatore Aranzulla, il Brasile scatta ancora le foto con le macchine fotografiche anni '60 in bianco e nero, e quando ha un qualsiasi problema chiede al vicino di casa. Un'iniezione di novità, un'evoluzione, un turn up da questa situazione, serve al Futebol Brasileiro come un corso sulle nuove tecnologie agli over 65.

martedì 28 giugno 2016

L'ULTIMO TRISTE TANGO DI MESSI






Due "exit" in una settimana, due popoli totalmente confusi, che se potessero tornerebbero indietro nel tempo per cambiare gli avvenimenti. Messi e la Brexit. Due uscite di scena altamente spettacolare. Meno attesa la prima che la seconda, ma scioccante allo stesso modo. 
26 giugno, East Rutherford, Stati Uniti. Al MetLife Stadium, Argentina e Cile si giocano la finale della centesima edizione della Copa Ámerica. I tempi regolamentari e supplementari sono terminati sullo 0-0 con poche nitide occasione, quella capitata ad Higuain su tutte. Il Tata Martino ha già scelto i suoi tiratori, Messi in primis, e così anche Pizzi che ha come leader Sanchez e Vidal. Sono questi ultimi però a portare il trofeo a casa, lasciando Leo a piangere sul prato americano. 
Distrutto emotivamente e probabilmente anche fisicamente, la Pulce, esce dallo stadio per le dichiarazione post-gara e lancia la bomba:"Creo que es lo mejor para todos, para mí y para mucha gente que lo desea. Se terminó la selección para mí, es una decisión tomada. Lo intenté muchas veces (ser campeón), pero no se dio." 
Io Messi lo capisco. Dopo la terza finale persa in tre anni, prima la Germania a Rio, poi il back-to-back col Cile, capisco che un qualsiasi calciatore possa essere emotivamente distrutto, specialmente Messi, colui che dovrebbe essere il leader in campo della sua nazionale. Le sue parole sono state probabilmente un modo per sfogarsi, ma c'è comunque da recriminare all'Argentina di non essere riuscita a vincere nessuna delle tre finali disputate, pur avendo la nazionale più forte di questi anni. C'è da recriminare invece a Messi di non essere ancora pienamente un leader e neanche il più forte di tutti i tempi. Il più forte di tutti i tempi non vomita in campo per poi non proseguire (Ronaldo "il fenomeno"), il più forte di tutti i tempi guida la sua nazionale fino a in fondo pur avendo sedici anni (Pelé), il più forte di tutti i tempi non si ritira dopo un rigore sbagliato (Baggio). Rispetto al mondiale brasiliano, Messi ha acquisito una fiducia che prima non aveva, capace di farlo scontrare contro la Federazione, ma allo stesso tempo capace di fargli guidare la squadra alla finale. Quella squadra, che basandosi sulle sue parole, non avrà più lui come capitano. Sperando che quello che fino a ieri era il timoniere della nave, ritorni prima o poi per farle finalmente raggiungere la meta.



Le dichiarazioni di Messi (tradotte) :"Penso che lasciare la nazionale sia ciò che è meglio per tutti, per me e per tutti quelli che lo desiderano. É una decisione definitiva. Ho provato più volte a diventare campione, ma ciò non è mai successo." (Fonte TYC Sports)

domenica 26 giugno 2016

ÁNGEL DI MARIA, "EL FIDEO", IL BAMBINO VENDUTO PER 25 PALLONI DIVENTATO STELLA






25 palloni. Solitamente la quantità presente in un sacco ad un allenamento, non il modo di pagare un bambino di 8 anni. Quel niño, soprannominato El Fideo (lo spaghetto in spagnolo) per via del suo fisico, era stato appena ceduto dal presidente del Torito, Jorge Cornejo, al più blasonato Rosario Central. Alla fine, come ammise più tardi lo stesso Jorge, Di Maria venne venduto senza ricevere alcun pallone. 
L'infanzia dell'attuale stella dell'Argentina è stata molto complicata. Cresciuto in uno dei quartieri più difficili di Rosario, di giorno aiutava il padre Miguel a trasportare i sacchi di carbone in miniera, mentre di sera giocava a calcio, tutti i giorni, a volte anche in casa. La madre Diana disse in un'intervista che il più delle volte suo figlio Ángel rompeva oggetti con le pallonate, e per questa presunta iperattività il medico gli consiglio di esprimere tutta questa energia nel calcio. 
L'unico campo che la famiglia poteva economicamente permettersi era appunto quello del Torito, dove le divise per i ragazzi erano più o meno un sogno. La leggenda dice che il bambino, che si presentava agli allenamenti con la maglia Oranje in onore dell'Olanda di Cruyff, segnò 64 gol in cinque anni prima di trasferirsi alle Canallas. A 17 anni Di Maria, colui che si presentava in spogliatoio con le mani sporche di carbone, diventa titolare e in un anno si fa notare dalle squadre europee: il Benfica si assicura le sue prestazioni per soli 2 milioni. Tre anni fantastici, 15 gol in 125 presenze, che fanno sì che il CT Batista lo porti all'Olimpiade cinese, dove segna il gol vittoria in finale con la Nigeria. Le" big" non si fanno aspettare e a soli 22 anni, Ángel viene acquistato dalle Merengues per 36 milioni, dove lo aspettano campioni del calibro di Cristiano Ronaldo, Kaká e Higuain. I paragoni però non lo scomodano, anzi, fa innamorare di sé Mourinho, che lo aveva comprato per la sua completezza in entrambe le fasi. Tre anni, 137 partite, 25 gol. Poi l'arrivo di Ancelotti e la definitiva esplosione con 11 gol nell'anno della Champions. Dopo un buon Mondiale, dove segna il gol del passaggio agli ottavi ma salta la finale per un infortunio, passa allo United di Van Gaal per la cifra record di 78.5 milioni. Il feeling però con l'allenatore non è dei migliori, e la stagione ne risente, con solo 4 gol in 32 partite. In estate dopo un'altra delusione, stavolta in Copa Ámerica, passa al Psg qatarioto per 63 milioni. La stagione è più che buona con 15 gol in 47 partite, e soprattutto con la vittoria sia del campionato sia della Coppa di Lega. Ora la Copa Ámerica Centenario, negli Stati Uniti, dove Ángel ha segnato un gol nella vittoria sul Cile, arrivata nella fase a gironi, prima di infortunarsi contro Panamá. É rientrato in tempo per la finale, la seconda contro la Roja in due anni, ed è pronto stanotte, al MetLife Stadium di East Rutherford, a riportare, assieme a Messi, il trofeo in patria dopo 23 anni d'attesa. Sanchez, Vidal e compagni sono avvisati.

sabato 25 giugno 2016

FOOTBALL BREXIT: L'IMPATTO DELL'ADDIO ALL'UE SULLA PREMIER LEAGUE





60 milioni di persone lasciano l'Unione Europea. Sia chiaro, non c'è nessuna guerra o persecuzione, però la questione non è da poco, dato che il problema riguardava la permanenza o meno del Regno Unito nell'UE. David Cameron, che votava di rimanere, aveva detto alla sua rielezione che prima o poi avrebbe indetto un referendum sull'argomento è così è stato, solo che non è andata nel verso in cui sperava. Ha vinto infatti Nigel Farage, capo del partito che voleva uscire dall'Europa, con il 51.9% dei voti. Per il suo successo, e per il conseguente annuncio di dimissioni da parte di Cameron, hanno contribuito tutta l'Inghilterra eccetto Londra e il Galles. Ma oggi non voglio né occuparmi di politica né di economia. Oggi scopriremo quali effetti ha Brexit sulla Premier League, il campionato di calcio più seguito al mondo.

  1. Effetto economico: con questo "abbandono", i club inglesi hanno minore potere d'acquisto, quindi se prima pagavano un giocatore 35 milioni, ora lo dovranno pagare 37. Gravi conseguenze sulla Premier, che perderebbe parte dell'appeal, del valore commerciale accumulato negli scorsi anni. Quindi meno spettacolo, meno campioni, meno soldi per le squadre nella categoria diritti tv, e quindi anche meno competitività nelle competizioni europee.
  2. Problema tesserati: più di 400 giocatori infatti, tra Scozia e Inghilterra, non soddisfano i requisiti per lavorare nel Regno Unito. Calciatori quindi come Kanté e Payet, ma anche gli stessi Cristiano Ronaldo e Cantona, non avrebbero potuto giocare Oltremanica. Ciò ovviamente avvantaggia la crescita dei settori giovanili delle squadre locali, in primis delle "big" quali Manchester United e Chelsea.
  3. Articolo 19: L'articolo 19 della "Costituzione FIFA", vieta il trasferimento dei minorenni, a meno che siano tra Paesi facenti parte dello Spazio Economico Europeo (SEE). Quindi cari top club, niente più acquisti come Fabregas e Pogba.

Fortunatamente per lo sport britannico, non solo per il calcio ma anche per cricket e rugby, ci vorranno più o meno due anni prima che il "Leave" diventi definitvo. Intanto divertitevi e soprattuto fate divertire.

giovedì 23 giugno 2016

LEBRON, È TUO L'ANELLO! A TRE ANNI DAL SUO ULTIMO TRIONFO, RIPERCORRIAMO LA STORIA DEL "PRESCELTO"






Lebron James è uno dei tanti ragazzi cresciuti nei "ghetti", nei quartieri poveri delle città americane. E in questi luoghi ci sono due sole vie percorribili: o diventi un delinquente oppure inizi a praticare uno sport che ti sottragga dalla criminalità. Il ragazzo, viste le difficili condizioni economiche in cui versava la famiglia, decide che un giorno dovrà ripagare la madre Gloria, e per questo inizia a giocare a pallacanestro, iscrivendosi alla St. Vincent-St. Mary High School. A 15 anni è così devastante che vince per due anni consecutivi il titolo di MVP, supportato da 16.000 persone che assistono a ogni sua partita. 
Nel 2003 si dichiara eleggibile al Draft, e viene chiamato alla "uno" dai Cleveland Cavaliers. La prima stagione è più che discreta, con 20.9 punti, 5.9 rimbalzi e 5.5 assist di media. Nello stesso anno, realizzando 41 punti contro i New Jersey Nets, diventa il più giovani a segnare più di 40 punti in un match. La stagione successiva è fallimentare con i Cavs che non si qualificano per la postseason, ma con un Lebron in miglioramento, che oltre a stabilire il suo nuovo career-high con 56 punti a Toronto, mette a referto 27.2 punti, 7.4 rimbalzi e 7.2 assist di media. L'anno dopo, il ragazzo di Akron supera i 30 punti di media, portando Cleveland ai playoff fino al secondo turno dove escono in gara 7 con i futuri vice-campioni, i Detroit Pistons. Il 2006-07 è il primo importante anno nella storia di Lebron perché è la stagione delle sue prime Finals, raggiunte dopo aver sconfitto Washington, New Jersey e Detroit; la sconfitta è però totale con San Antonio che si impone con un netto 4-0 nella serie. 
I due anni successivi vedono la franchigia dell'Ohio raggiungere in entrambe le annate la postseason, senza però arrivare in fondo, dato che il primo anno vengono eliminati al secondo turno dagli Orlando Magic, futuri vice-campioni, e successivamente dai Boston Celtics in semifinale.
Dopo la cocente eliminazione, James capisce che a 26 anni è arrivato il momento di iniziare a vincere : decide quindi di dichiararsi free agent. Pronti ad accoglierlo ci sono i New York Knics, che hanno liberato spazio apposta per offrirgli un ricco contratto, mentre i Miami Heat sono alla finestra speranzosi. L'8 luglio 2010 durante lo speciale di un'ora trasmesso da ESPN, Lebron annuncia di aver scelto South Beach come sua prossima destinazione. Agli Heat trova oltre a Wade anche Chris Bosh, appena prelevato dai Toronto Raptors, con cui va a formare i cosiddetti Big Three. L'ex di Cleveland inoltre rinuncia al massimo salariale per permettere a Miami di tenere le altre due stelle della squadra. In Ohio, la decisione è presa più che male, a cominciare dal proprietario Gilbert che afferma che Cleveland vincerà un titolo prima che The King ne vinca uno. I tifosi bruciano le maglie nº 23, lo minacciano di morte, etichettandolo come un traditore. Anche Michael Jordan ha parole dure nei suoi confronti, affermando che alla sua epoca non avrebbe mai cambiato squadra per giocare assieme a Magic e Bird, anzi sarebbe rimasto dov'era per batterli. 
La prima stagione in Florida è più che buona, con Lebron che realizza 26.7 punti, 7 assist e 7.5 rimbalzi di media trascinando Miami, prima al secondo posto in regular season e successivamente alle Finals contro i Dallas Mavericks di Novitzki. Pur essendo avanti 2-1 nella serie, i Big Three cedono e lasciano la vittoria ai texani, che vincono il primo titolo della loro storia.
I due anni successivi sono gli anni della consacrazione di James allo status di campione. Nella stagione 2011-12 mette a referto 27.1 punti, 6.9 assist e 7.2 rimbalzi di media, vincendo anche il premio di MVP stagionale e soprattutto trasportando ancora una volta alle Finals i suoi compagni contro i giovani ma temibili Thunder, che vengono però sconfitti in cinque gare. A fine anno viene inoltre eletto miglior atleta statunitense. L'anno successivo vede Miami dominare, grazie anche alla striscia di 27 partite vinte consecutivamente. Ancora una volta le finali vengono raggiunte, stavolta dopo aver superato Bucks, Bulls e Pacers. Lebron vince il secondo anello contro gli Spurs in una serie leggendaria, protrattasi fino a gara 7, in cui il Prescelto mantiene una media di 25.3 punti, 10.9 rimbalzi e 7 assist. 
Nell'ultimo anno alla corte di Erick Spolestra, l' head coach, il King raggiunge le sue quinte Finals consecutive, perdendole però malamente dai San Antonio Spurs per 4-1.
Nel 2015 decide di tornare a Cleveland per indossare di nuovo la nº 23 che aveva lasciato e grazie ai suoi compagni, tra cui spiccano Irving e Love, e ai suoi 25.3 punti di media, porta Cleveland fino a in fondo ai Playoff, dopo nove anni di attesa. Qui pur essendo in vantaggio 2-1 su Golden State, e complice l'infortunio di Irving, Lebron non riesce nell'impresa di vincere il suo terzo anello, cedendo solamente in gara 6, dopo una serie da 35.8 punti di media.
Quest'anno, dopo aver firmato un biennale da $23 milioni, è pronto per il suo terzo titolo. James conduce la squadra alle Finals senza faticare troppo. Rincontra gli Warriors, reduci da una stagione fenomenale, con 73 vittorie su 82 partite. In una serie spettacolare, in cui "The Chosen One" mantiene la media di 29.7 punti, 8.9 assist e 11.3 rimbalzi, Cleveland, sotto 3-1, riesce a rimontare, portando Golden State fino a gara 7. Alla Oracle Arena di Oakland, Lebron gioca gli ultimi quattro minuti del 4º quarto in modo sublime, stoppando il tentativo di sottomano di Igoudala in quello che sarà definito The Block, e chiudendo i conti con il libero che fissa il risultato sul 93-89. Per LBJ il terzo anello della carriera oltre al terzo titolo di MVP delle Finals. 
Al momento non sappiamo come il Prescelto passerà le vacanze, visto che non andrà alle Olimpiadi di Rio: probabilmente godendosi la meritata vittoria, o magari pensando già alla prossima stagione, che potrebbe essere l'ultima in Ohio (si vocifera un interesse dei Lakers). Sia che resti o che vada via, Lebron ha già chiaro il suo prossimo obiettivo, che ha nome e cognome; Larry O'Brien Trophy, o più semplicemente quarto anello.


venerdì 17 giugno 2016

EDER PORTA L'ITALIA AGLI OTTAVI; 1-0 SULLA SVEZIA E QUALIFICAZIONE




L'uomo forse più criticato della Nazionale ci porta agli ottavi. Il calcio è veramente strano, come il match di Tolosa. Le due squadre iniziano la partita con i due CT che confermano le formazioni viste in campo nella prima giornata. Conte sostituisce lo Darmian con Florenzi, mentre Hamren cambia Lustig con Lindelof.
Il primo tempo è veramente noioso, con l'Italia che avendo a disposizione due risultati su tre, lascia giocare la Svezia. L'unico pericolo è creato proprio dal terzino sinistro gialloblù Olsen che con un tiro-cross mette in difficoltà Buffon.
Il secondo tempo non è da meno, Candreva non azzecca due cross, Ibra si divora un gol a porta vuota seppur in fuorigioco. La partita cambia con l'inserimento di Thiago Motta, Sturaro, ma soprattutto Zaza che accende la partita. All'82' la prima grande occasione con un cross di Giaccherini che Parolo "stampa" sulla traversa. Ma il gol non tarda ad arrivare, e al minuto 88, Eder sblocca il match con un tiro a giro sul secondo palo. Partita sofferta, ma vinta, e ottavi raggiunti. Adesso andremo ad affrontare l'Irlanda senza nessun timore. Anche il timore, che c'era all'inizio degli Europei, è sparito.

martedì 14 giugno 2016

MAGICA ITALIA: GLI AZZURRI STENDONO IL BELGIO 2-0





Alle 22.50 del 13 giugno 2016, il popolo italiano era in festa. Era in festa perché avevamo appena battuto il Belgio nella partita inaugurale di Euro 2016. Una squadra sulla carta più forte degli Azzurri, che poteva schierare tra le sue fila fenomeni del calibro di Hazard, De Bruyne e Courtois. Ma questi giovani talentuosi, non hanno potuto niente contro un gruppo compatto e quadrato, guidato da Conte, un vero motivatore. Perchè la Nazionale, contestata sempre e comunque, se ha un grande condottiero, riesce a ribaltare i pronostici, come dimostra il Mondiale 2006.
A Lione, il Belgio si presenta con un 4-2-3-1, a cui Conte risponde con il solito e collaudato 3-5-2. L'inizio di partita non è dei più semplici perché il Belgio attacca con insistenza rendendosi pericoloso soprattutto con Nainggolan, che al minuto 11 spaventa Buffon con un tiro da fuori.
Al 29' si sveglia l'Italia con Pellé che tenta la conclusione a giro dai 20 metri, che però si spegne a lato. Al 32' si sblocca il match: lancio "alla Pirlo" di Bonucci, stop e destro a battere Courtois da parte di Giaccherini. Dopo il gol i ragazzi di Conte, continuano a giocare sull'onda dell'entusiasmo, mandando in confusione i belgi. Infatti in quattro minuti gli Azzurri hanno due buonissime occasioni, prima con Candreva, il cui tiro viene respinto prontamente dal portiere avversario, e poi con Pellé che per pochi centimetri non raddoppia di testa. Il primo tempo si chiude con il Belgio che attacca senza però trovare il pareggio con Witsel.
Il secondo tempo inizia subito con un brivido: da calcio d'angolo Darmian perde palla a centrocampo, innescando il contropiede belga, incredibilmente sprecato da Lukaku, che si divora il pareggio.
Un minuto dopo risponde Pellé con un gran colpo di testa salvato da un ottimo Courtois. La partita da lì in poi si acquieta per venti minuti circa in cui entrambi i CT esauriscono i cambi: nel Belgio esce Nainggolan per Mertens, Ciman per Carrasco e Lukaku per il più giovane Origi. Per quanto riguarda l'Italia escono Eder, Darmian, e De Rossi, che lasciano spazio a Immobile, De Sciglio e Thiago Motta.
Al 81' ricomincia l'assalto dei belgi con Origi che da pochi passi spreca di testa, dopo il cross di Alderweireld. Tre minuti dopo è Ciro Immobile che cerca il colpo del KO, sfiorato solo a causa di un Courtois fenomenale. All'89' il brivido più grande, nella nostra area piccola, con la palla che sbatte sul corpo di Barzagli e finisce in mano a Buffon.
Il Belgio ormai è stanco, e gli spazi che ci concede lo fanno capire visto che al 93', dopo un batti e ribatti in area italiana, la palla finisce a Immobile, che da il via al contropiede; "Ciruzzo" la apre per Candreva, che intelligentemente non tira, bensì crossa per Pellé, che appostato sul secondo palo la chiude in mezza rovesciata, come se fosse in copertina sulle figurine Panini.

FORMAZIONI 

Belgio

Courtois; Ciman, Alderweireld, Vermaelen, Vertonghen; Nainggolan, Witsel; Fellaini, De Bruyne, Hazard; Lukaku

Italia

Buffon; Barzagli, Bonucci, Chiellini; Candreva, Parolo, De Rossi, Giaccherini, Darmian; Pellé, Eder