domenica 11 dicembre 2016

IN PASTO AGLI EUROPEI

Un torneo che ormai rappresenta il miglior esempio della disparità tecnica ed economica tra Europa e Sudamerica. Una formula che il nuovo chief della Fifa vuole cambiare



Il calcio diciamo, può assomigliare alla Firenze dantesca, all'epoca di Bonifacio VII, all'era della guerra tra fazioni, tra guelfi bianchi e neri. A dirla tutta, per niente sanguinolenta, ma l'idea di due "partiti" contrapposti persiste. Ed ecco che si parla di risultatisti o giocolieri, ma anche e soprattutto di tradizionalisti e innovatori. Platini é un esponente dei primi; Infantino é un chiaro rappresentante dei secondi. L'ultima grande questione a cui l'attuale presidente della FIFA si é affezionato é stata quella riguardante il Mondiale per Club. Una competizione che dal 2005, ossia da quando ha aperto a tutte le vincitrici continentali, ha visto trionfare le europee 8 volte su 11, che in tutti i casi hanno giocato la finale. Quando, raramente sono state sconfitte, é successo sempre per mano delle sudamericane: il San Paolo ha sconfitto il Liverpool nel 2005, l'Internacional ha battuto il Barça nel 2007, ed infine il Corinthians ha trionfato sul Chelsea di Di Matteo ben tre anni fa.
Solo due volte all'atto decisivo sono arrivate due squadre di altri continenti, più precisamente africane vale a dire il TP Mazembe nel 2010, che prima di essere sconfitto dall'Inter di Benitez aveva battuto un fragile Internacional, e il Raja Casablanca nel 2013, sconfitto in finale dal Bayern ma capace di affossare l'Atletico Mineiro di un Ronaldinho in fase decisamente calante.

Differenze che passione
In undici edizioni neanche le superpotenze messicane, arabe, giapponesi e ultimamene cinesi sono minimamente riuscite ad impensierire i club del Vecchio Continente, contro i quali vincere, é praticamente impossibile, sia dal punto di vista della pecunia sia dal punto di vista sportiva.
Solamente dando un'occhiata al valore della rosa si capisce quanto la differenza sia abissale. L'America, squadra messicana che affronterà il Real in semifinale ha un valore di rosa pari a 40.5 milioni di euro ed il giocatore più costoso, la punta centrale Romero, é valutato 3.5 milioni. La vincitrice della Libertadores, quell'Atletico Nacional una volta di proprietà di Escobar, vale solo 23.5 milioni, e anche le varie "superpotenze" continentali, ovvero River e Boca, non superano gli ottanta.
I Blancos invece hanno una rosa che complessivamente costa 775.8 milioni, con il solo Ronaldo che ne porta con sé ben 110. Per non parlare di ricavi annuali: Madrid guadagna praticamente dieci volte tanto Medellin (630 per le Merengues, 75 per i colombiani).
Passando al lato sportivo, la faccenda non cambia: il Real conta venti nazionali, l'Atletico Nacional 1/5 (4 cafeteros e un venezuelano). E tra i colombiani solo Torres, con 46 presenze, può vantare un numero di cap discreto mentre gli altri, Berrio, Borja e Diaz, non hanno ancora fatto grandi esperienze.

Tra vecchio e nuovo
Prima di tutto ciò, prima del 2005, c'era la semplice ed eterna sfida tra la migliore europea e la migliore sudamericana, con la formula andata-ritorno. Nelle 43 edizioni, 22 volte hanno vinto le squadre dell'Emisfero Sud, dimostrando come l'equilibro, fino agli anni '90 ci fosse eccome. Poi, negli ultimi 10 anni della Coppa Intercontinentale, solo tre successi latinos firmati Boca e Velez Sarsfield. 
Ed ecco che per interrompere la monotonia, arriva l'idea di Infantino, che pensa ad una competizione dal 10 al 30 giugno con le 32 migliori squadre del mondo, con cadenza biennale, in un'unica sede (magari a rotazione). 
Che poi questa formula non entusiasmi tutti i tre miliardi di calciofili sulla Terra, può anche essere giusto. Ma che sia meglio dei continui viaggi interoceanici, e di competizioni stancanti e praticamente inutili, su questo non c'é dubbio. 



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