lunedì 29 febbraio 2016

ACADEMY AWARDS 2016: DI CAPRIO VINCE COME MIGLIOR ATTORE PROTAGONISTA, MORRICONE PER LA MIGLIORE COLONNA SONORA. IL RACCONTO DI QUESTA NOTTE D'ORO



29 Febbraio 2016- Los Angeles, CA

Chissà quale sarà stato lo stato d'animo di Leo dopo aver ricevuto quest'Oscar tanto desiderato. Certo dopo cinque nomination, qualcuno sui social gli ha consigliato ironicamente di cambiare professione, ma Di Caprio ha continuato ad interpretare in modo eccellente i suoi personaggi, e ne è valsa la pena.
L'attore americano, di origini italiane, vince grazie alla sua interpretazione in The Revenant, film ambientato negli Stati Uniti del 19º secolo, in cui l'attore interpreta un cacciatore di pelli.
Il premio alla miglior regia se lo aggiudica invece il regista Alejandro Inárritu, che bissa il successo dello scorso anno quando vinse con Birdman.
Il caso Spotlight, che ci racconta dell'inchiesta che nel 2001 pose fine alla pedofilia minorile da parte dei sacerdoti di Boston, vince come miglior film, ottenendo un altro grande riconoscimento dopo il Premio Pulitzer.
Mark Rylance trionfa come miglior attore non protagonista, grazie alla sua interpretazione in Ponte delle Spie di Steven Spielberg.
L'Academy premia anche due stelle in rampa di lancio come Brie Larson, che vince nella categoria della miglior attrice non protagonista con Room, e Alicia Vikander: la svedese è la miglior attrice protagonista grazie alla sua interpretazione in The Danish Girl.
La Grande Scommessa vince la statuetta come miglior sceneggiatura non originale, mentre The Revenant vince ancora, stavolta per la miglior fotografia.
Mad Max: Fury Road fa incetta dei premi "tecnici" vincendone sei tra cui migliori costumi e scenografia, mentre ad Ex Machina l'Oscar per i miglior effetti speciali.
L'attesissimo Inside Out della Pixar, vince come miglior lungometraggio d'animazione.
Bear Story come miglior cortometraggio d'animazione.
Il figlio di Saul, dell'ungherese László Nemes trionfa come miglior film straniero.
Il regista Banjamin Clearly, vince nella categoria miglior cortometraggio, grazie a Stutterer
Ennio Morricone festeggia il 1º Oscar grazie alla colonna sonora da lui composta per il film The Hateful Eight di Quentin Tarantino.
Amy, prodotto da Asif Kapadia, vince la statuetta come miglior documentario.
Sam Smith, con la sua canzone Writing's on the wall, tratta dallo 007 Spectre, vince il premio come miglior canzone originale.
Tanta musica dal vivo per questa cerimonia, con protagonisti i The Weeknd, Lady Gaga e Dave Grohl.
Molto importanti anche i discorsi, tra cui quello del regista di Spotlight, che chiede al Papa di proteggere i bambini; quello di Di Caprio che parla del rispetto dell'ambiente e del riscaldamento globale; infine quello del vicepresidente americano Joe Biden, che dice basta alle violenze sessuali nelle scuole.
Chiude la serata il comico Chris Rock, che con la sua ironia parla del caso afroamericani agli Oscar, dicendo che comunque almeno 15 li ha trovati andando alla cerimonia.
"Che creino una categoria per i neri", ha concluso.
Si chiude con le risate l'88º magica serata degli Oscar. Chissà cosa avrebbe detto zio "Oscar", se avesse partecipato...

Marco Ghilotti









giovedì 25 febbraio 2016

#GIGIO17: IL RAGAZZO CHE É PIÚ MATURO DELLA SUA ETÁ


25 Febbraio 2016- Milano



17 anni. A distanza di un anno patente e maturità. Per Donnarumma, i 17 anni rappresentano il prolungamento triennale del contratto.
Debutta il 25 ottobre 2015 contro il Sassuolo, e da lì inanella solo ottime prestazioni, facendo scalare con le sue parate la classifica al Milan. Ma "Gigio" stupisce ancora tutti per la sua maturità e sicurezza in tutti le situazioni.
Ecco qui i 5 motivi per cui i suoi 17 anni non li dimostra affatto...

1) Lo sguardo
I suoi coetanei sono spaventati da latino e greco, dai professori, dai controllori dell'autobus. "Gigio" è più freddo dei lapponi. Uno che dopo aver preso gol da Berardi all'esordio, dice "non fa niente, tanto la partita va avanti." Facile no?

2) Apertura alare
La gente alla Bobo Vieri, con l'ignoranza e la delinquenza come segni particolari sulla carta d'identità, lo paragonerebbe ai "ciccioni" del calcetto, quelli che stanno in porta perché con la loro stazza la occupano tutta. Anche il 17enne in questione occupa tutta la porta ma i suoi parametri sono l'opposto: 196cm di altezza, 48 di piede e apertura alare paragonabile a quella dei cestisti NBA.

3) Ciò che pensa di se stesso
Quando lo si sente dire che è mentalmente più avanti dei coetanei perché all'esordio non era agitato, pensi sia uno sbruffone, ma Gigio è solamente sicuro di sé. Non pensa alle ragazze, e la pazzia più grande che pensa di fare è andare in Piazza Duomo con gli amici. Giura inoltre che non leggerà la biografia di Cassano...

4) I suoi estimatori
Mijahilovič, Galliani e lo stesso Berlusconi, oltre alla sua famiglia e agli amici, sono i suoi più grandi fan. Anche all'estero ci sono "grandi" fan, i cui nome e cognome sono Barcellona e Manchester United. Si avvisano gli Angeli di Victoria's Secret di rispettare la fila...

5) Curiosità e statistiche
- É il secondo più giovane ad esordire in Serie A.
- Alla sua età Baresi e Maldini avevano fatto rispettivamente 0 e 1 presenza in Serie A.
- In un anno il suo valore è salito da 300 mila a 5 milioni di euro.
- Ha più presenze in Serie A (18) che anni (17).
- A 14 anni è arrivato al Milan e per i primi tre giorni pensava solo al momento giusto per scappare
- Essendo minorenne può firmare solo contratti fino a tre anni. Tra un anno firmerà un quinquennale da 2 milioni a salire.



QUANDO SI DICE FARE DI TUTTO PER VINCERE: ABRAMOVICH E L'ESTATE 2016 DEL CHELSEA


25 Febbraio 2016- Londra 

Ma Changsan, esperto di aforismi cinese, parlando del denaro sostiene che "il problema con la vita è che, non tutte le stagioni sono buone per fare soldi, ma tutte le stagioni sono buone per spenderli." Ecco, leggendo questa citazione, penso che la persona che la rappresenti al meglio sia Roman Abramovich, proprietario del Chelsea. Il miliardario russo, con un patrimonio di 18.2 miliardi di dollari è il 137esimo uomo più ricco del mondo. Nel 2004 ha acquistato il club londinese per sole 60 milioni di sterline, e in dodici anni lo ha portato a vincere quattro Premier League ed una Champions League, anche grazie a centinaia di milioni spesi ogni anno. Per il mercato in arrivo, Abramovich non si è risparmiato, visto che il Sun parla di 130 milioni di sterline (165 milioni di euro), stanziati per quest'estate. Con tutti questi soldi, e con Conte in arrivo (triennale a 6 milioni a stagione), gli obiettivi sarebbero di primissimo livello.
In difesa a sostituire Terry pronto all'addio ci sarebbe John Stones classe 1994 dell'Everton, che il Chelsea aveva tentano di comprare l'estate scorsa per 50 milioni, ricevendo un secco no.
A centrocampo gli obiettivi sono solo top player: il più quotato per ora è Nainggolan, per cui l'offerta del Chelsea supera i 20 milioni. Assieme al belga, l'altro giocatore a formare il nuovo duo di centrocampo sarebbe un certo Arturo Vidal, causa della presenza di Michael Emenalo, dirigente del Chelsea, allo Juventus Stadium martedì. Ma il vero grande sogno resta Paul Pogba: il francese dal costo proibitivo, 100 milioni, potrebbe arrivare a Londra solo nel caso il Chelsea vendesse il suo talento Eden Hazard, che interessa al Real Madrid, per altrettanti milioni.
A questo punto ci si chiede perché il Chelsea può spendere così tanto denaro. La risposta è semplice: il bilancio della stagione scorsa si è chiuso di fatto in pareggio, con spese per 90 milioni ed entrate per 87, ed a questo c'è da aggiungere il nuovo contratto dei diritti Tv che garantirà almeno 150 milioni e il tesoretto ereditato dalla scorsa stagione, circa 100 milioni.
Sperando per i tifosi blues che il manager, vedendo tutti questi soldi, non faccia diventare il Chelsea il nuovo Manchester United. Io se fossi in loro sognerei in grande.

Marco Ghilotti








sabato 20 febbraio 2016

IL NOCCHIERE ROSSONERO: NOZZE DI PERLA PER BERLUSCONI, TRA TRIONFI E DELUSIONI, TRA PASSATO E FUTURO


20 Febbraio 2016- Milano

20 febbraio 1986. Milano. Largo Ricini. Studio dell'avvocato Vittorio Dotti. Ha inizio la Seconda Repubblica rossonera, in realtà una monarchia assoluta, con un imprenditore e un antennista nei ruoli del Re Sole e Richelieu. 30 anni di regno e 28 trofei, di cui tredici internazionali, fanno di lui uno dei presidenti più vincenti della storia. Campioni e leggende del calibro di Van Basten, Gullit, Shevchenko e Kaká, solo per citarne qualcuno, lo hanno incantato. Allenatori come Sacchi, Capello e Ancelotti, l'hanno reso orgoglioso. Ma tutto ciò a Silvio non basta:"Voglio conquistare 2 Champions League nei prossimi 5 anni."
La presidenza inizia con Liedholm allenatore, il cui rapporto fin da subito con il Cavaliere non è uno dei migliori. Fatto sta che a fine anno lo svedese viene licenziato e al suo posto arriva un 40enne di Fusignano, Arrigo Sacchi. Il Milan con il romagnolo si trasforma e diventa una squadra fantastica: 1 scudetto, due Coppe Campioni consecutive, 3 coppe Intercontinentali, 2 Supercoppe Europee, 1 Supercoppa Italiana. 
Alla fine della stagione '90/91, Arrigo Sacchi lascia per la Nazionale, e Berlusconi dà la panchina a Capello. Nei 5 anni, i fantastici diventano Invincibili: 4 campionati in 5 anni, 2 Supercoppe Italiane, 1 Champions League (il celebre 4-0 ai danni del Barça), 1 Supercoppa Uefa. Anche "Don" Fabio abbandona dopo aver raggiunto il tetto del mondo, e va al Real Madrid. Il biennio successivo è un periodo buio, che a causa di scelte sbagliate, come ad esempio richiamare gli stessi Sacchi e Capello, si traduce in un 10º e 11º posto.
Il 1998-1999 è l'anno dello Scudetto con Zaccheroni, ai danni della Lazio di Nesta. Il ciclo del romagnolo si conclude nella stagione 2000-2001, quando viene sostituito a metà stagione da Cesare Maldini, che guiderà la squadra fino a maggio.
Nell'estate 2001 arrivano, oltre a Fatih Terim come allenatore, anche giocatori del calibro di Rui Costa e Filippo Inzaghi. Pur avendo una buona squadra, il turco non riesce a dare la sua impronta alla squadra e il Milan a novembre si ritrova fuori dalle prime cinque posizioni in Serie A. La pazienza di Berlusconi finisce ed è così, che il presidente decide di chiamare Carlo Ancelotti. E che scelta!
I suoi primi sei mesi in rossonero si concludono con un buon quarto posto, che permette ai rossoneri di accedere ai preliminari di Champions League.
La stagione 2002-2003 è ottima: il Milan conclude terzo il campionato, alle spalle di Juventus e Inter. Ma è in Europa che i milanisti compiono l'exploit, prima superando agevolmente i gironi, poi battendo Ajax e Inter, e infine battendo nella epica finale di Manchester la "Vecchia Signora" ai calci di rigore. La stagione si conclude con l'aggiunta in bacheca della Coppa Italia.
L'anno 2003-2004 vede il "Diavolo" vincere il 17º Scudetto ai danni della Roma di Fabio Capello e la 4ª Supercoppa Europea ai danni del Porto di José Mourinho.
Le successive stagioni, fino al 2010, non vedranno molti successi, solo una Champions League, vinta nel 2007 ai danni del Liverpool vendicando la sconfitta di due anni prima, una Supercoppa Europea e un Mondiale per Club. Da ricordare l'addio al calcio di Paolo Maldini al termine della stagione 2008-2009.
Il 2010-2011 è l'anno del ritorno al successo in campo nazionale con la vittoria del 18º Scudetto ai danni dei "cugini" interisti. Grandi protagonisti di quel successo furono in primis Ibrahimovic, ma anche Pato e Thiago Silva.
La stagione 2011-2012 vede il Milan uscire ai quarti di finale di Champions League, vincere la Supercoppa Italiana, e perdere il campionato in favore della Juventus a poche giornate dalla fine, a causa della sconfitta interna contro la Fiorentina. A fine anno salutano molti campioni tra cui Gattuso, Nesta e Inzaghi.
L'anno successivo inizia molto male con sette punti nelle prime otto partite di Serie A: a gennaio però, l'arrivo di Balotelli, influenza in positivo la squadra, che termina la stagione al 3º posto, dopo un girone di ritorno con una sola sconfitta.
Le stagioni 2013-2014 e 2014-2015, sono un ritorno a fine anni '90, con rispettivamente un 8º e 10º posto, causa anche dell'inesperienza dei due allenatori, Seedorf e Inzaghi, e del mercato low-cost.
Arrivato ormai a metà di quest'anno, Berlusconi si sente positivo riguardo il prosieguo dell'annata confidando in un terzo posto finale.
Confida anche in un'offerta accettabile da parte del possibile acquirente Mr.Bee. 
Ma per ora, la prima domanda, la prima umana curiosità è sui pensieri di Silvio Berlusconi, se sia davvero pronto a lasciare la sua creatura a dispetto di ogni declino, di ogni impossibilità nel reggere gli esborsi richiesti da quel mega-calcio che proprio lui, non altri, ha creato. Non in questa maniera, nel caso, sostiene chi fa parte della sua sfera. Non può finire normalmente, dopo 30 anni che hanno dato al Milan lo status di club più titolato al mondo; dopo investimenti milionari; dopo le foto sorridenti con Gullit e Kakà, Maldini e Shevcenko, dopo le ultime stagione di contestazioni, dovute alla crisi di astinenza di veri campioni, di serate di gioia. Silvio riflette, magari sospira. Indifferente il modo in cui festeggerà questo anniversario, l'anniversario di una squadra che sempre e comunque rimarrà nei libri di storia. Perché nel 2016, 2017, o quando sarà, con altri uomini, venuti da lontano, comincerà un'altra storia, non continuerà quella precedente. Chissà dove porterà il Diavolo.



Marco Ghilotti

venerdì 19 febbraio 2016

LO ZAR DI MILANO: ANDRIJ SHEVCHENKO


19 Febbraio 2016- Milano




7 le meraviglie del mondo. 7 i vizi capitali. 7 i colori dell'arcobaleno. 7 i colli di Roma. 7 i giorni della settimana. 7 le note musicali. 7 è il numero di maglia del protagonista di questa storia:
Andrij Shevchenko.
Andrij Mykolajovyč Ševčenko nasce a Dvirkivščyna il 29 settembre 1976, ma il ragazzo non doveva in realtà fare il calciatore. Infatti il padre, meccanico dell'esercito, voleva per lui una carriera militare, la cui disciplina caratterizzerà Andrij per tutto il corso della sua carriera. A 14 anni riesce a firmare per la Dinamo Kiev, con cui vince il titolo di capocannoniere nel torneo "Ian Rush" vedendosi consegnare durante la premiazione un paio di scarpe proprio dal giocatore gallese. Lo stesso Shevchenko rivelerà:"Quelle scarpette le ho indossate fino a quando non mi sono usciti gli alluci." A 16 anni non viene ammesso all'Università nazionale di educazione fisica e sport, ma ciò non gli impedisce di esordire in prima squadra a 18 anni, segnando sette gol nella prima stagione. L'anno dopo si fa conoscere in patria, ma il vero salto di qualità avviene nella stagione 1996/97 quando si siede sulla panchina Lobanovkyi, conosciuto per far compiere scatti ai suoi giocatori in salita con il 18% di pendenza. Nel 1997/1998 entra nella storia esaltandosi nel 4-0 al Camp Nou siglando una tripletta, facendo capire che il lavoro paga. Tutti lo vogliono. Alla fine se lo porta a casa il Milan per 25 milioni di dollari. Il primo anno si fa subito amare dai tifosi rossoneri, segnando 24 gol diventando capocannoniere ancora una volta. Passano poi due anni bui in cui Sheva non viene sfruttato come dovrebbe.
Il biennio 2002-2004 è magico sia per l'ucraino sia per il Milan. I rossoneri vincono la Champions e il campionato grazie a Shevchenko: la stagione non può che concludersi nel migliore dei modi, con la vittoria del Pallone d'Oro.
Anche la stagione 2004-2005 può rendere soddisfatto l'ucraino che mette a segno 23 gol in totale tra Serie A e Champions. L'unica pecca è quella partita a causa di cui tutti i milanisti non hanno dormito la notte: vi dico solo Istanbul, il resto viene da sé. Il 2005-2006 è un buon anno per Sheva che segna 28 gol in tutte le competizioni ufficiali. L'anno seguente, nell'estate del Mondiale, succede l'inaspettato: l'ucraino passa al Chelsea, tra rimpianti e dolori. Ma al Chelsea sarà irriconoscibile, segnerà poco, tanto da essere definito, "il peggior affare di mercato degli ultimi 10 anni della Premier League."
Nel 2008 torna al Milan, con un ritorno che sa tanto di minestra riscaldata. L'anno dopo, non riscattato, torna in patria alla Dinamo.
L'Europeo 2012 è l'ultima grande competizione a cui Andrij partecipa, segnando 2 gol: l'Ucraina esce ai gironi e il suo campione dice addio.
La sua storia è riconciliante e triste allo stesso tempo. Da un lato ci sono i grandi traguardi raggiunti con un talento non paragonabile al suo contemporaneo Ronaldo, dall'altro il trattamento ingiusto spesso ricevuto.
Sarà difficile trovare un altro come lui, così strano, così complesso, così decisivo.
In ogni caso passeranno ancora tanti anni prima che la maglia numero 7 del Milan trovi un erede degno di indossarla.

Marco Ghilotti

giovedì 18 febbraio 2016

RONALDO COME NERONE: IL REAL MADRID INCENDIA ROMA


18 Febbraio 2016- Roma
Stavolta Golia ha vinto contro Davide, stavolta la favola non ha avuto il lieto fine che tutti noi tifosi italiani speravamo, io in primis. Non possiamo rimproverare quasi niente alla squadra di Spalletti, tranne le troppe esitazioni davanti alla porta, soprattutto di Salah.
La partita comincia sotto gli occhi di 56.000 spettatori, che assistono al inizio di partita che sognavano: la Roma schiaccia il Real nella sua meta campo ma non trova il gol ne con il tentativo di Salah ne con quello di El Sharaawy. Dal 30' in poi gli spagnoli alzano il ritmo e per poco non trovano il gol al 33' con una fantastica volée di Marcelo. A questa fiammata risponde El Sharaawy che salta Carvajal, entra in area ma qui viene chiuso provvidenzialmente dall'intervento di Varane. Il primo tempo finisce da lì a poco con una Roma sommersa d'applausi al rientro negli spogliatoi.
La muraglia giallorossa resiste fino al 57', quando Ronaldo fugge sulla sinistra, salta Florenzi rientrando con il tacco sul destro e scaraventa un bolide sotto il "sette". Spalletti inserisce quindi Dzeko per far alzare il baricentro della squadra, ma questo sbilancia i giallorossi, graziati ripetutamente da James Rodriguez e Benzema. Quando sembra arrivare il momento del pareggio, con i tiri di Vainqueur al 72' e Dzeko al 79', finiti sull'esterno della rete, Zidane inserisce Jesè che all'86' firma il raddoppio dei Blancos. 
La partita finisce con i tifosi che restano a lungo ad applaudire i loro giocatori.
Gli applausi passano, il rammarico e la delusione restano.

Marco Ghilotti






CAVANI FA VEDERE ROSSO AL CHELSEA


17 Febbraio- Parigi

Non c'è uomo che quando emarginato non voglia farsi in quattro per riprendersi il posto che merita. Uno degli esempi più lampanti ce lo dà Edinson Cavani, attaccante del Psg. Tutti lo davano in rottura con il suo club, tutti i giornali annunciavano una sua imminente partenza, forse verso Torino, e invece "el Matador" ha stupito tutti segnando il gol vittoria, che permette alla sua squadra di avere un minimo vantaggio in vista del ritorno.
La partita, definita dai francesi "Le Nouveau Classique" vede contrapporsi due squadre i quali risultati sono agli antipodi; da una parte il Psg, primo in classifica in patria con più di 20 punti di vantaggio sul secondo, dall'altro il Chelsea, che con la cura Hiddink ha migliorato i disastrosi risultati di fine stagione.
 Il match inizia subito con i parigini protagonisti, grazie ai tentativi di Verratti, Lucas e Ibrahimovic, tutti a lato. Al minuto 21 primo squillo targato Chelsea: cross di Baba e colpo di testa di Costa che viene salvato da Trapp, che con la mano manda il pallone sulla traversa. Al 39' arriva il vantaggio dei padroni di casa: punizione battuta da Ibra, in realtà centrale, ma che con la deviazione di Mikel si insacca in rete. Ma al Chelsea servono solo sette minuti per trovare il gol del pari: calcio d'angolo, Costa la appoggia di testa per Mikel, che la stoppa e pareggia con un potente destro sotto l'incrocio.
Il secondo tempo inizia con gli ospiti all'arrembaggio e con Trapp che deve subito intervenire per evitare di subire il secondo gol di serata. Passata la paura, il Psg risponde; prima Di Maria, poi Ibra e Lucas impegnano Courtois, ma il portiere belga si conferma uno dei migliori al mondo, tenendo a galla i Blues. Al 74' i due allenatori decidono di pescare una carta dalle loro panchine milionarie: per il Chelsea entra Oscar, per i parigini, Cavani. Quattro minuti dopo il Matador fa quello riesce meglio, segnando su imbeccata dell'argentino Di Maria. Per l'uruguagio è il secondo gol del 2016, ma probailmente un gol importantissimo.
Il Psg può uscire felice, sicuramente un 2-1 è meglio che un pareggio, ma attenzione cari Ibra&Co. perchè lo Stamford Bridge può spingere i londinese verso i quarti.

Marco Ghilotti





domenica 14 febbraio 2016

LET'S START THE SHOW: TUTTO SULL'ALL STAR SATURDAY 2016


14 Febbraio 2016- Toronto, ON

All Star Saturday. Al primo impatto probabilmente, tutti coloro che non conoscono almeno un po' l'NBA, non ne comprenderanno il significato, ed ecco perchè oggi scrivo questo articolo. L'All Star Saturday è il giorno, durante l'All Star Weekend, che precede l'All Star Game e che vede i partecipanti sfidarsi in tre categorie: Skills Challenge, 3-point shootout e Slam Dunk Contest. Iniziamo parlando della Skills Challenge, dove si sfidano quattro giocatori, i quali devono superare un percorso contenente tiri, passaggi e palleggi, nel minor tempo possibile. Quest'anno il vincitore è stato Karl-Anthony Towns, che ha battuto in finale Isiah Thomas.
Passiamo quindi alla gara del tiro da 3 punti, che vedeva in competizione ottimi tiratori tra cui il favorito Steph Curry, playmaker degli Warriors, ma anche big del calibro di James Harden e Klay Thompson. A spuntarla è stato proprio quest'ultimo, che con un ultimo round da 27 punti vince la gara.
Ma lo show della serata era come sempre, la gara delle schiacciate, che vedeva contrapporsi Andre Drummond, Will Barton, Aaron Gordon e infine Zach LaVine, campione uscente. Il primo a dare spettacolo è proprio Drummond che schiaccia in seguito all'alzata di tacco di Steve Nash, sfegatato fan di calcio. Ma il meglio lo si ha in una finale epica da ben sei round: alla fine trionfa Zach LaVine, che con 299 punti batte Aaron Gordon, il quale ne totalizza 241.
Qui sotto per credere...

Marco Ghilotti


https://twitter.com/NBA/status/698879009807937540

martedì 9 febbraio 2016

SUPERLEGA: LA NUOVA IDEA DI BUSINESS TARGATA RUMMENIGGE


09 Febbraio 2016- Villa Guardia, CO

Tirate fuori lo smartphone che avete in tasca, accendetelo e andate sul calendario; andate sull'anno 2020, più precisamente sul primo giorno di gennaio, e scrivete Superlega. Ricordatevi di farlo perché se il progetto di cui vi sto per parlare verrà approvato, entrerà di diritto nella storia del calcio. Karl-Heinz Rummenigge ha infatti dato l'input dicendo:"Le grandi ancora più grandi. Non escludo una Lega con 20 squadre sotto o non il tetto della Uefa." Bé complimenti Kaiser, ci hai visto lungo. Sta nascendo la Superlega d'Europa, un campionato esclusivo fatto dall'elite del calcio, a invito, senza retrocessioni, in stadi moderni e all'avanguardia: una sorta di Nba per le più ricche e con una salary cap per omogeneizzare risorse e ricavi. Nel 2020 perché sarà l'anno in cui verrà rivisto il format della competizione. Nel caso il progetto venisse approvato, la lega d'elite sarebbe strutturata in un torneo all'italiana nel weekend, con i match su suolo continentale e poi playoff in giro per il mondo dove ne verrà eletta la squadra più forte.
Un business che secondo StageUp.com fatturerebbe 6,3 miliardi di dollari, andandosi a posizionare solo dietro alla NFL.
E la Champions? Rimarrebbe normale, ma senza big, alzando così il tasso di competitività. I campionati nazionali sarebbero invece giocati il martedì, mercoledì e giovedì, come avviene tutt'oggi con il turno infrasettimanale.
E allora ecco che a sentire le cifre in questione, l'idea di un nuovo prodotto, che potrebbe competere in popolarità con le Finals o con il Super Bowl, può avere un senso in futuro. Ora è il momento di vincere la mischia, di far correre l'idea e di fare touchdown. Un touchdown diverso.

Marco Ghilotti

lunedì 8 febbraio 2016

SUPER BOWL 50: VINCE L'HALFTIME SHOW

08 Febbraio 2016- Santa Clara, CA

Ieri pomeriggio negli Usa il tempo si è fermato. 189 milioni di persone, alle 15.30 locali, hanno cambiato canale finendo inevitabilmente sulla Cbs, perchè quest'anno era l'emittente designata a trasmettere, The Event, il Super Bowl 50. La finale era tra Denver Broncos e Carolina Panthers. Le due squadre erano guidate da due campioni, e la finale ne segna il passaggio del testimone. Da una parte Peyton Manning, 40 anni, vera e propria leggenda di questo sport, mentre dall'altra Cam Newton, il Pogba del Football, eletto MVP della regular season. 
Il Levi's Stadium di Santa Clara, gioiello da 70.000 posti, ospitava una miriade di celebrità accorse per l'evento: Michael Douglas accompagnato da Catherine Zeta-Jones, Usher, Kate Hudson, Adriana Lima, Emily Ratajkowski, Kevin Durant in versione fotografo, Steph Curry e infine David Beckham e il figlio Brooklyn. Lo show è stato aperto da Lady Gaga che, vestita con i colori della bandiera statunitense, ha mandato tutti in visibilio cantando l'inno nazionale. Parlando invece della partita c'è da dire che è stato un monologo dall'inizio alla fine, "causa" dell'eccezionale difesa di Denver, che ha arginato alla perfezione un fenomeno come Cam Newton. Finisce 24-10 per i Broncos, che ritornano alla vittoria dopo le prime due datate 1998 e 1999. A rallegrare la serata, oltre a 1 miliardo e 300 milioni di ali di pollo e tre litri di birra a testa, ci sono gli spot, principalmente trailer di film quali X-Men, Batman Vs Superman e Jason Bourne, oltre all'attesissimo Halftime Show; quest'anno ci si aspettava uno show fenomenale e così è stato, con i Coldplay e le piacevolissime sorprese Bruno Mars e Beyoncé ad infiammare il pubblico. Il match si conclude, Denver campione e standing ovation a Manning, che mette la ciliegina sulla torta a una carriera fantastica. Come fantastico è anche il business creato attorno al match: 4 milioni di dollari a spot e costo dei biglietti tra 3.000 e 20.000 "verdoni", 620 milioni di dollari nelle casse della NFL.
Nozze d'oro nello stato dell'oro. L'oro intanto sale e con lui l'ansia di sapere le superstar in campo e sul palco che ci delizieranno a Houston, nel Super Bowl LI.

Marco Ghilotti




sabato 6 febbraio 2016

BLACK MOON: RANIERI AMMUTOLISCE L'ETIHAD

"Dire yes we can? Non sono Obama..." Bè caro il nostro Ranieri, ora lo puoi urlare ad alta voce. Sappiamo che non lo farai perchè sei umile, ma i risultati parlano per te. 3-1 all'Etihad non è un risultato per niente banale, ma per la partita fatta, le Foxes l'hanno fatto sembrare così. Un dominio incontrastato e senza sosta dal 1º al 90º, salvo qualche lampo Citizen. Come già detto domino fin da subito e gol del tedesco Huth al 2º minuto che stupisce tutti. Fino al minuto 15 il City è assente; il primo a provarci è Silva con un tiro dall'interno dell'area spedito di poco largo. Al 23º i padroni di casa protestano per un rigore non concesso su Zabaleta. Il resto del primo tempo è equilibrato, ma caratterizzato da un City all'arrembaggio. Quando il secondo tempo inizia tutti sono convinti che il Leicester cadrà ma la squadra di Ranieri fa subito capire chi è il vero padrone del gioco e del campo. Servono solo 3 minuti: Kantè spacca il centrocampo palla al piede, dà palla a Mahrez che con una finta simil Ronaldinho al Bernabeu, dribla Otamendi con un doppio passo, e fulmina Hart ammutolendo i tifosi di casa. Da lì è un monologo Foxes con Okazaki che sfiora il 3-0 al 55º mancando la sforbiciata finale. Ma si vede che non manca molto alla caduta dei giganti che arriva al minuto 60: angolo di Fuchs e di testa arriva il tris ancora di Huth. Inghilterra in delirio, City annientato. Che poi annientato nell'orgoglio non lo è perchè fino alla fine cerca il gol della bandiera, trovandolo all'87º con il solito Kun Agüero
I giorni che avevano preceduto la partita erano stati movimentati a causa dell'annuncio di Guardiola come nuovo manager del City. E proprio Pep aveva detto che lui era una donna, in quanto multitasking, ma il suo nuovo team no. Raggiante Pep, raggiante Claudio. Ebbene sì adesso anche Ranieri parla di possibile Premier, definendolo un campionato pazzesco. Un campionato in cui ci sono ancora 13 match da disputare. Con una squadra a +6. Il Leicester. 
L'astuzia caratterizza le Volpi, e non a caso le Foxes sono lassù.



giovedì 4 febbraio 2016

CINA: LA NUOVA ELDORADO DEL CALCIO


03 FEBBRAIO 2016


12, 18, 33, 42, 50 milioni. Posso rassicurarvi dicendovi che questi non sono i jackpot del Superenalotto. Queste sono le banali cifre che alcune squadre cinesi, tra cui Hebei China Fortune, Shangai Shenua, Guangzhou Evergrande e Jiangsu Suning, le quali non hanno acquistato i soliti "bolliti" europei ma giocatori Under 30, tra cui Gervinho (AS Roma), Guarín (Inter), Ramires (Chelsea), Jackson Martinez (Atletico Madrid) e infine Alex Teixeira, gioiellino brasiliano dello Shakthar Donetsk. Una spesa incredibile per il calcio cinese iniziata nel 2010 con l'acquisto dell'allora Pallone d'oro sudamericano Dario Conca per la modica cifra di 11 milioni. Nel 2012 sbarcano sotto la Muraglia Marcello Lippi e Didier Drogba, che va allo Shangai Shenua dove ritrova l'ex compagno Anelka. Il tecnico si accasa al Guangzhou e in un anno porta la squadra a vincere la AFC Champions League. Nel 2014 si aggiungono all'ex-Juve anche Alberto Gilardino e Alessandro Diamanti. Ma questi nomi fanno assomigliare la Super League alla MLS, e questo al presidente Xi Jinping non piace.
Ebbene sì tutto questo "cash" è opera sua. Il nuovo capo della Repubblica Popolare cinese è molto appassionato di calcio e sa bene che il calcio professionistico cinese è contraddistinto dalla corruzione. Decide quindi di inserire il calcio nel percorso scolastico, creare libri 3D che lo spiegano, costruire 50mila nuovi campi e abbattere la pressioni fiscale sui club. I risultati si vedono subito visto che gli spettatori sono aumentati del 250% dal 2010. Il presidente consiglia quindi ai colossi nazionali di investire nei club: e così che Jack Ma, boss di Alibaba, compra il 50% del Guangzhou. E quando dai carta bianca ai colossi, questi spendono non poco; ed è così che le squadre nel 2014 spendono 100 milioni,  nel 2015, 170, e fino ad oggi 250, ma c'è da considerare che il mercato chiude a marzo. Ma i cinesi non investono pesantemente sui giocatori, ma anche sui club europei. La Rastar Group ha in mano il 45% dell'Espanyol, Wang Jianlin, uomo più ricco di Cina con un patrimonio di 20 miliardi, ha comprato Infront, che gestisce i diritti del calcio italiano, per 1 miliardo e l'anno scorso il 20% dell'Atletico Madrid per 45 milioni. L'ultima notizia in ordine cronologico è l'acquisto del 13% del Manchester City da parte del consorzio cinese CMC per 400 milioni. Il destino del calcio segue inesorabilmente i soldi. Che oggi si trovano ad Oriente, dove nuove forme di statalismo, solo calcistico, crescono.












Marco Ghilotti

martedì 2 febbraio 2016

Giochiamo a tris; Milan show nel derby

MIHAJLOVIC PADRONE DELLA CITTÀ

02 FEBBRAIO 2016

"Scusi, a che piano va?" Il Milan non sa che tasto schiaccerà, ma sa sicuramente di salire rispetto al piano attuale. Un 3-0 convincente, causa probabilmente anche di un Inter spenta e molle, che riduce la distanza dal terzo posto a -6. Ad iniziare meglio è l'Inter con Eder e Brozovic che in due occasioni sfiorano il vantaggio. Il vantaggio però lo trova la squadra di Mihajlovic, grazie alla "capocciata" di Alex al 35º. Squadre negli spogliatoi, con la Sud che esulta. L'inizio di secondo tempo è la fotocopia del primo con l'Inter che predomina. Al 5', Donnarrumma liscia il rinvio e stende Eder nel tentativo di acchiappare il pallone; si scatena una bufera in campo e anche fuori con Mancini espulso per proteste. Al 25' l'episodio chiave della partita: Ljajic trova Icardi in area con un filtrante, l'argentino tira ma viene respinto dal portiere rossonero. Il gioco viene però interrotto, visto che Icardi è finito a terra per colpa d'un calcio di Alex da terra; per Damato è calcio di rigore. E "Maurito", che mai aveva segnato nel Derby, continua la tradizione, spedendo il pallone sul palo. In un attimo ribaltamento di fronte, cross di Niang e zampata di Bacca che firma il 2-0. Al 31' il Milan cala il sipario; Bonaventura ruba palla a Santon al limite dell'area, serve Niang che si fa parare il primo tiro, ma non il secondo. Il francese esulta, e così anche la San Siro rossonera, in tripudio. Nel finale entra Balotelli, che si fa subito ammonire, ma che sfiora anche il poker. Sarebbe stato lo smacco definitivo per un'Inter irriconoscibile. A Milano in questi giorni fa freddo; il Milan per ora non lo soffre, l'Inter ora sì.

Marco Ghilotti