lunedì 26 giugno 2017

RIPRENDERSI IL TRONO

L’ultimo anno è stato un mezzo disastro per Messi, che non è riuscito a conquistare nemmeno un trofeo. L’anno prossimo, sia col club sia con la Nazionale, sarà cruciale per riprendersi il trono.


Lo stesso re o regina può durare un tempo molto lungo o molto breve sul suo trono e tutto questo dipende, oltre che da cause naturali, anche da quanto i loro sudditi li amano.
Anche per ciò che riguarda “the beautiful game”, il termine “re” del calcio è utilizzato ormai da molti anni e ancora per molti anni ne faremo uso. Lo utilizziamo per definire un calciatore che con le sue giocate e con i suoi gol è capace di stabilire una differenza importante o in alcuni casi abissale tra lui e i suoi altri coetanei. I king del calcio sono stati vari nel corso del tempo e delle ere fútbolistiche, dagli anni ’50 in poi: in ordine cronologico Di Stefano, Pelé, Cruyff, Maradona, Ronaldo, Ronaldinho e infine per quanto concerne gli anni Duemiladieci, non possiamo che non inserire allo stesso livello, Messi e CR7. Questi due fenomeni si sono alternati e spartiti tutti i trofei collettivi e individuali vincibili del calcio moderno e fino a che il fisico glielo concederà, continueranno a farlo. Una diarchia così imponente, nove Palloni d’oro negli ultimi nove anni, non si era probabilmente mai vista, anche perché nel corso dei decenni è stato molto complicato trovare un giocatore, oltre al “re” di turno che potesse competere a livello tecnico e di bacheca con quest’ultimo (l’unico caso potrebbe essere negli anni ’80 tra Van Basten e Maradona). Come già spiegato sopra, l’alternarsi tra il #10 del Barça e il #7 del Real è stato il leitmotiv degli ultimi dieci anni di calcio, e questo non può che comportare anche un’alternanza di stagioni buone e annate sottotono da parte di due extraterrestri come Leo e Cristiano.
Per quanto riguarda Messi, il protagonista di quest’articolo, è giusto sottolineare come gli ultimi due anni, ma in particolare l’ultimo, non siano stati sicuramente tra i migliori disputati dalla Pulce, che ha deluso le attese sia con il club sia con la Nazionale, portando a casa zero tituli. Per questo motivo, l’anno venturo sarà più che cruciale per il nativo di Rosario. Sarà determinante perché l’obiettivo è molto chiaro: riprendersi il trono ai danni di CR7, ma soprattutto farsi innalzare a divinità dai suoi connazionali.

1. Vincere con il Barça
L’ultima stagione di Lionel Andres Messi con la maglia blaugrana può sicuramente essere definita una delle sue migliori dal punto di vista statistico: con 54 gol in 52 partite (1.038 gol di media a partita), l’annata appena passata è inclusa tra le migliori quattro del talento argentino, nonostante le 73 reti in 60 partite dell’anno 2011-2012 restino ancora parecchio lontane. Questa differenza si può però ridurre all’importanza che Messi ha avuto nel corso degli anni,
dato che cinque anni fa Leo era il centro dell’attacco (Pedro e Sanchez permettendo), mentre ora spartisce i gol con altri due fenomeni, quali sono Neymar e Suarez.
Dal punto di vista dei trofei invece, la stagione del #10 è stata più che povera, perché in bacheca, oltre al trofeo di capocannoniere (o pichichi) della Liga, si è aggiunto unicamente la Coppa del Re, che in Spagna non ha chissà quale importanza, come d’altronde accade in Italia. Finale perlopiù giocata contro l’Alavés, una squadra che l’anno scorso galleggiava in Segunda División e che potrebbe essere il Genoa italiano, sicuramente non il più temibile tra gli avversari da poter incontrare. Anche quest’ultimo fatto ha in un certo senso sminuito l’ultima annata della Pulce che sarebbe potuta essere celebrata maggiormente se avesse incontrato nell’atto finale un club più forte di quello che poi ha affrontato.
A livello tattico, la stagione passata è stata innovativa per Messi, poiché il talento di Rosario ha cambiato la posizione da gennaio in poi, passando da ala destra a enganche (trequartista) nel 3-4-3 di Luis Enrique. Schema che l’allenatore del Barcellona aveva inizialmente proposto nello storico match contro il Psg e che poi, rivelatosi vincente, aveva riutilizzato nei match importanti (come per esempio nel ritorno dei quarti di Champions contro la Juve). Il seguente modulo era ovviamente stato studiato dall’ex nazionale spagnolo pe favorire Messi, per trovargli in campo una posizione più adatta a lui, che gli permettesse sia di sfruttare una fascia di campo più ampia dove poter agire, sia una porzione di campo che non lo costringesse a rimanere sulla fascia destra, ma che gli consentisse di avere una maggior quantità di movimenti da poter fare, così da non poter dare degli ovvi punti di riferimento agli avversari. Il nuovo schema, oltre a favorire l’argentino, favoriva tutta la squadra e l’attacco blaugrana in generale, che con Messi da trequartista aveva sostanzialmente a disposizione quattro attaccanti (il #10 si aggiungeva al trio Rafinha-Suarez-Neymar).
Alla fine, neanche il 3-4-3 è riuscito a salvare la stagione del Barça, che è uscito con la Juve nei quarti di finale e che ha perso la Liga di 3 punti, sconfitto dagli acerrimi rivali del Real (nonostante la squadra di Luis Enrique avesse vinto lo scontro diretto al Bernabeu grazie a una doppietta sontuosa proprio di Messi).
Questo mancato doblete, che è invece riuscito ai tanto odiati blancos, ha fatto sì che l’allenatore ex Roma lasciasse l’ambiente catalano in maniera ancora peggiore di quanto avrebbe potuto se fosse andato via l’anno prima, nonostante l’annuncio della chiusura del ciclo fosse arrivato molto prima, verso aprile.
Da quel momento in poi è iniziata la caccia all’allenatore che si è definitivamente conclusa con la presentazione, il 1 giugno, di Ernesto Valverde, ormai ex tecnico dell’Athletic Bilbao. Le varie testate, ma in generale i football media spagnoli indicano Valverde come il profilo giusto per allenare in questo momento una squadra come il Barcellona. Adatto dal punto di vista psicologico, poiché bilancia autorità e leadership con la calma trasmessa in campo, ma anche adatto sotto il punto di vista tattico, dato che le sue squadre sono molto simili al Barcellona di Guardiola, ovvero club che pressano alto,  fanno tiki taka ad altissima velocità con margini di errore ridotti al minimo. Si suppone quindi che la Pulce possa trovarsi e intendersi a meraviglia con il nuovo coach che ha il compito, semplice o arduo lo sapremo nel corso dell’anno, di riportare il club catalano sul tetto del mondo.

2. Vincere con l’Albiceleste
Il rapporto con il proprio Paese non è mai semplice, e se poi parliamo di Lionel Messi, allora non possiamo non definire il rapporto burrascoso. Perché il talento di Leo è in fin dei conti un’arma a doppio taglio: da un lato può causare gioia ed entusiasmo sfrenati ai propri tifosi, ma allo stesso tempo dall’altro lato può creare disappunto e malumore nei cuori dei supporter argentini.
Poiché essere Messi, e soprattutto essere argentino, non è per niente facile. Più veloce del battito d’ali di una farfalla, infatti, scatta il paragone con Maradona, che però come molti sanno, è improponibile da fare.
Il confronto con El Pibe non regge, perché se l’ex Napoli ha vinto di più con l’Argentina rispetto a Messi, allora la Pulce ha vinto di più di Maradona coi club: agli occhi di tutti questo discorso parrebbe inutile, ma non a quelli degli argentini, che considerano la loro Selección qualcosa di sacro. Ecco spiegato in modo semplice come mai Lío non è per i suoi connazionali alla pari di Diego: perché il primo ha vinto al massimo un oro alle Olimpiadi, mentre il secondo si è caricato una squadra sulle spalle e l’ha portata a vincere un Mondiale.
I ripetuti insuccessi di Leo in questi anni hanno tutti una causa scatenante, ossia i CT che si sono susseguiti sulla panchina della patria natia di personaggi come Carlos Gardel ed Eva Perón. Il grande problema che li accomuna tutti, e che probabilmente si cercherà di risolvere fin da subito, e che tutti i vari allenatori hanno sempre considerato la Pulce come una sorta di divinità scesa in terra, e hanno unicamente pensato a costruire una squadra piena di giocatori che si adattassero tatticamente e caratterialmente al nativo di Rosario. L’esempio più lampante per capire fino in fondo la questione è senza ombra di dubbio il caso Icardi, che fino a poco tempo fa divideva in due fazioni tutto il mondo calciofilo, anche non per forza argentino. La faccenda girava ancora una volta intorno al rapporto tra il capitano dell’Inter e l’attaccante del Torino Maxi Lopez, che come tutti ben sanno sono stati al centro del gossip sportivo per molto tempo, dopo che il #9 nerazzurro aveva “rubato” la moglie a Maxi, prendendosi anche i tre figli che quest’ultimo aveva avuto dalla showgirl argentina. Tutto questo però non era sufficiente a garantire abbastanza pathos alla storia, e allora i fan di Icardi aggiungevano che il loro idolo non era preso in considerazione dai CT a causa dell’amicizia di lunga data tra Lopez e Messi (una volta compagni di squadra al Barcellona), che si contrapponeva alla convocazione del bomber interista.
La situazione è stata finalmente risolta con l’arrivo in panchina di Jorge Sampaoli, che arrivava sul banquillo del suo Paese dopo un’esperienza di un solo anno con il Siviglia. Non c’è però da sorprendersi che il tecnico abbia firmato subito, dato che nella clausola rescissoria che lo legava al club andaluso c’era scritto che in caso l’Argentina avesse chiamato, l’allenatore sarebbe potuto diventare commissario tecnico.
E dopo aver firmato, tra le prime cose che Sampaoli ha pensato che fosse giusto fare, c’è stata quella di convocare Icardi per le due amichevoli estive in programma, contro Brasile e Singapore. Una scelta definita da chiunque come giusta, perché alla fine è da pazzi non convocare un giocatore per ragioni così banali e inutili, anche quando si sa che il suo valore è di un certo livello.
Tornando però a parlare del rapporto Messi-Sampaoli, diciamo che il confronto tra i due potrebbe essere molto simile a quello con Valverde in quel di Barcellona. In primis perché entrambi i coach preferiscono trattare Messi come un calciatore normale e non come una divinità da servire e riverire, ma anche perché il loro sistema di gioco e le loro tattiche si assomigliano parecchio. Entrambi infatti prediligono un giro palla molto rapido e un pressing molto alto, al fine di recuperare il pallone nel minor tempo possibile e convertire subito l’azione da difensiva in offensiva.
Questo potrebbe rivelarsi un netto vantaggio per la Nazionale, perché se Messi inizia ad intendersi a meraviglia con chi lo allena e inizia a capire che il suo modo di giocare è simile a quello del suo Maestro, allora da quel momento in poi sarà molto difficile fermare un extraterrestre in missione, qual è Lío.

L’importante per lui, per il Barça e anche per l’Albiceleste è che la gente che lo circonda e che lo supporta, i compagni che sono con lui in campo, siano di livello alto. Perché così come nell’NBA, anche nel calcio il supporting cast, deve essere di prima qualità. Perché il campione potrà pure fare la giocata spettacolare, ma senza i punti di tutti gli altri, un solo uomo non può mai portare da solo una squadra al successo. Igoudala e Shaun Livingstone insegnano. Lionel Messi è pregato di prendere appunti.

venerdì 16 giugno 2017

IL BACIO DI GIGIO

Alla fine Donnarumma ha scelto di non rinnovare con il Milan. Perde il calcio, perde il Milan, perde Gigio. L'unico che ci guadagna è Raiola


Risultato immagine per donnarumma bacio


Il bacio è il segno di affetto e amore per antonomasia, che certifica un amore incondizionato per una persona, o per una qualsiasi squadra di un qualsiasi sport. Quando qualcuno bacia qualcuno o qualcosa, che sia una essere umano, uno stemma o un simbolo religioso, sta dando la prova di tenere con tutto se stesso a quest'ultimo, come se fosse la sua unica ragione di vita.
Il bacio, però, può anche essere considerato come un lampante esempio di un amore falso, fasullo, non vero, fatto solamente di promesse che in fin dei conti si rivelano false: il bacio è anche un segno di tradimento, e la storia ce lo conferma. La dimostrazione più conosciuta e che più ci viene alla mente è sicuramente quella di Giuda, che tradì Gesù con un bacio prima di consegnarlo alle guardie in cambio di trenta denari. Di alta infedeltà, nel calcio, ne abbiamo vista molta nel corso degli anni. Partendo da Collovati, che nel 1982 lasciò il Milan appena retrocesso per i cugini interisti, passando per Tevez, Higuain, Pjanic e Figo, la lista di atleti che ha cambiato maglia per la sete insaziabile di denaro è molto lunga, ma sicuramente l'esempio di Donnarumma fa discutere ancora di più. Fa discutere in particolar modo per l'età e per il denaro, perché fino a ieri pomeriggio nessun enfant prodige aveva mai rifiutato 22.5 milioni in 5 anni dalla sua squadra del cuore, dal club che affermava di supportare fin da bambino. Ma prima di approfondire il capitolo Gigio è meglio parlare di come il ragazzo con la sua scelta ha influenzato e influenzerà il calcio.
Dal 2009 in poi, the beautiful game è cambiato parecchio, a causa soprattutto dell'arrivo sulla scena degli sceicchi, che anche rispetto ai loro coetanei russi, hanno speso (e talvolta sprecato) quantità di soldi che farebbero sopravvivere una famiglia per più di qualche decennio. Con i contratti milionari, con super sponsorizzazioni e agenti simili più a slot machine che ad essere umani, le sorti del calcio e il rapporto tra quest'ultimo e il denaro sono cambiati definitivamente. Addio bandiere, tranne qualcuno che se n'è andato quest'anno come Totti e Lahm e qualcuno che resiste come Akinfeev, e benvenuti superatleti, che cambiano squadra seguendo i soldi e le vittorie al posto che la passione e gli ideali. Esempi lampanti come Higuain e Pjanic, sicuramente i più conosciuti, ci aiutano a capire come ormai la riconoscenza per un gruppo di persone che ti osannano e ti amano non esista probabilmente più e come ormai il romanticismo nel calcio sia qualcosa legato al passato. La memoria storica, e in questo caso calcistica, dovrebbe però aiutare i calciatori di oggi nel compiere le loro scelte. I vari Zanetti, Totti e Del Piero dovrebbero essere esempi da seguire, non da considerare obsoleti come molti al girono d'oggi fanno. Perché non è che l'offerta del Milan fosse ridicola o banale: 5 milioni non li guadagnano tutti e soprattutto non li guadagnano tutti i portieri. Accettando l'offerta del Milan, Donnarumma sarebbe diventato il più pagato in rosa, e il terzo estremo difensore meglio retribuito del mondo, dietro solo a due fenomeni come Neuer e Courtois e anche davanti al suo idolo Buffon (che guadagna attualmente 4 milioni).
Invece no, ha scelto di cambiare squadra, di accettare una proposta economica leggermente superiore, solo perché nella prossima squadra in cui andrà a giocare farà la Champions e vincerà trofei subito. Ha scelto di tradire, tradire tutti quei tifosi che fin dalla prima partita disputata gli avevano riservato parole al miele, parole d'amore, che si dicono solo a chi si pensa che possa diventare una bandiera, un simbolo del club. Le sue parole, sul suo futuro, avevano nel tempo rassicurato tutti, anche i più scettici, sulla sua permanenza. Voleva diventare come Totti e Buffon, rimanere con la stessa maglia per almeno 10 anni, o magari fino a 38, rifiutando nel corso del tempo il Barcellona e le altre big d'Europa. Invece no, nel giorno più importante ha preferito dire di no, rifiutare, e mettersi contro tutta una tifoseria, che si è riversata sui social per esprimere la propria rabbia. Non sono da credere quelli che affermano che Gigio non ha avuto libertà di scelta sulla questione, perché come ha ribadito ieri ben due volte Marco Fassone, la scelta è stata presa dal portiere e non dal suo agente. Agente che è stato chiamato da Donnarumma due anni fa e che fin da quel momento ha architettato il tutto, aspettando il momento più opportuno per riuscire a portare a compimento il suo piano. Ma mentre Raiola, pur non piacendo a molti per i suoi metodi di lavoro e per come gestisce i suoi giocatori, il lavoro suo lo fa nel modo corretto e che decide lui, chi probabilmente in tutta questa storia ha sbagliato è anche la famiglia. Se sai che tuo figlio ama la città, vuole vivere lì, è quasi nato e cresciuto con i colori rossoneri cuciti addosso, è possibile avere la vista così annebbiata da convincere tuo figlio a firmare un contratto con una macchina da soldi qual è Mino Raiola, conosciuto da tutti per portare dove vuole lui i suoi assistiti? Ed ecco che anche i genitori, non sono senza colpe, perché a 18 anni un ragazzo dovrebbe pensare a tutte altre cose, eccetto che ai soldi. Quelli tanto, cari padre e madre di Gigio, sapete già che li guadagnerà e in grande quantità, ovunque andrà: perché non potete fargli vivere il sogno della sua carriera ancora per qualche anno?
L'ultima a perderci, ma che non ha quasi nulla da recriminarsi, è la società. Dirigenza che ha fatto di tutto per trattenere il ragazzo, offrendogli prima 3, poi 4 e infine 5(!!) milioni a stagione. Fassone e Mirabelli l'hanno precisato: Gigio sarebbe diventato il simbolo del nuovo corso, della nuovi proprietari, della nuova era Milan, la prima senza Berlusconi e Galliani al timone. L'unica colpa che probabilmente hanno è stata la gestione dei rapporti con l'agente italo-olandese, con il quale la situazione non è mai stata delle migliori soprattutto tra Raiola stesso e Mirabelli, che tra tutti era quello più "ansioso" di chiudere i rapporti. Anche l'aspetto della clausola rescissoria è sicuramente stato uno dei punti di divergenza delle due parti, perché da un lato c'era il Milan che voleva che per Donnarumma si fissasse un prezzo di 100 milioni, mentre dall'altro c'era il noto agente internazionale che chiedeva molto meno. Il Milan, dimostrando di essere una società non schiava dei super procuratori di oggi, non ha accettato di sottostare alle richieste di Raiola, ed è questa probabilmente la goccia che ha fatto traboccare il vaso: il mancato accordo è stato la ciliegina sulla torta (in negativo) di una telenovela he ormai durava da qualche settimana.
L'unico sostanzialmente a uscirne vincitore è chiaramente l'agente di Gigio. Non esce da sconfitto, cosa che invece è capitata a tutti gli altri presenti nella disputa, perché alla fine Raiola ha puramente e solamente svolto il suo lavoro di procuratore di un calciatore. Poi, su come l'abbia svolto, si può aprire un discorso a parte, ma non possiamo non sottolineare come l'agente FIFA abbia fatto ciò che il suo lavoro richiede, ovvero parlare con il giocatore e con la società, confrontarsi con entrambi ed infine comunicare la decisione presa dal suo assistito. Raiola, da tutta questa questione, ne uscirà sicuramente arricchito, con le tasche piene di denaro e popolarità, perché con il caso Donnarumma, il suo nome verrà sicuramente nominato molte più volte di quanto già non lo si faccia ora. Il fatto che Carmine detto Mino, propendesse per un trasferimento non era qualcosa di nuovo, dato che non era molto sicuro e fiducioso sulla società tanto all'inizio quanto ora (le sue dure parole rimarranno scolpite nel marmo) e visto che storicamente i suoi assistiti si trasferiscono ogni 3-4 anni massimo, appena c'è una possibilità molto importante di vare soldi (vedi Ibra al Barcellona, Balotelli al City e Pogba allo United).
Non c'è quindi da sorprendersi che qualsiasi squadra l'abbia chiamato al telefono della sua casa di Montecarlo, abbia ricevuto un sì riguardante a un possibile incontro e a una possibile discussione. Perché nonostante in Spagna diano un pre-accordo tra Gigio e il Real già ad aprile (e questo secondo qualcuno è la ragione delle ultime non brillanti prestazioni del #99 milanista), probabilmente Raiola aveva iniziato l'opera di convincimento da molto prima, chi lo sa da quanto tempo.
Perché un conto è convincere un Ibrahimovic a cambiare squadra, uno che sicuramente non si fa gestire da un altra persona (almeno a proposito dei trasferimenti), un altro è invece farlo con un 18enne pieno di speranze e con talento da vendere.
Giocare con i sentimenti di qualcuno è qualcosa molto legato alle love stories e alle telenovele. Se però si pensa al calcio come qualcosa di passionale, ecco che allora un punto di contatto c'è, esiste. E ci dispiace non poco.

martedì 13 giugno 2017

CHI SE NON LUI?

Kevin Durant è stato eletto MVP delle Finals di quest'anno, e non poteva esserci un vincitore migliore. In questo modo, si è liberato di tutte le etichette che gli avevano affibbiato.




L'atto di etichettare qualcuno ha uno stretto legame con la psicologia e con la razionalità, oltre che con lo sport. Perché quando si compie un'azione del genere si deve essere lucidi e accorti, dato che lo sbaglio non è ammesso.  Se si vuole etichettare qualcuno, infatti, si deve essere precisi, meticolosi e scrupolosi nel scegliere l'etichetta da affibbiare al soggetto in questione ed anche il momento adatto per farlo.
In fin dei conti, infatti, bollare qualcuno ha un tremendo effetto sulla psiche della vittima, in quanto essa inizia a diventare oggetto di insulti, scherno che si traducono in perdita di autostima. L'importante, per ritrovare quest'ultima e per staccarsi una volta per tutte dalla fronte un marchio pesante come un macigno, è vincere qualcosa, meglio se si tratta di trofei importanti. Pelé è stato bollato come "troppo inesperto e giovane" per giocare ai Mondiali 1958, che poi avrebbe vinto da protagonista; Ancelotti è stato chiamato "perdente" e "maiale" dai tifosi juventini, per poi prendersi la rivincita nella finale di Champions 2003 di Manchester battendo la sua ex squadra ai rigori: Roger Federer è stato dato come finito fino all'anno scorso, facendo ricredere tutti all'inizio di quest'anno, con le vittorie all'Australian Open, a Indian Wells e Miami. Un altro che ha dovuto subire questo trattamento è stato Kevin Durant, dal 4 luglio dell'anno scorso fino al 1 giugno di quest'anno, giorno dell'inizio delle Finals NBA 2017. E alla fine, come i suoi illustri predecessori, la vittoria gli è servita per farsi scivolare via quella fastidiosa etichetta che gli avevano incollato in fronte e che recitava "ETERNO SECONDO". Ed in effetti, pur essendo di cattivo gusto, i suoi detrattori non avevano sbagliato per nulla: Durant è arrivato secondo al Draft 2007, secondo nel 2012 alle Finali con Okc, sempre secondo dietro a Lebron nelle classifiche dei tifosi a proposito del più forte della Lega. Insomma l'etichetta non si sbagliava.
Nonostante ciò, però, KD ieri sera non ha vinto solamente un trofeo collettivo, ma anche uno individuale, che secondo me conta ancora più del primo. Ieri sera, infatti, il Commissioner dell'NBA, Adam Silver, gli ha consegnato il premio di MVP delle Finals, un premio che il #35 di Golden State non aveva mai conquistato nella sua carriera, nonostante le Finali le avesse già raggiunte nel 2012 quando giocava per gli Oklahoma City Thunder.
Mi sento di dire, e di essere d'accordo con i giornalisti che hanno votato, che quest'anno il trofeo non potesse non andare a Durant, che questo riconoscimento se l'è più che meritato. Un giusto premio per un giocatore che delle cinque gare complessive della serie non ne ha steccato una, nemmeno una, risultando decisivo nelle prime due gare in casa, nella terza fuori casa e nell'ultima e decisiva che ha preso luogo ieri. Anche nella devastante sconfitta in gara 4, in cui molti protagonisti di GSW sono spariti, KD è rimasto lucido e ha tentato in qualche modo di salvare il salvabile chiudendo con 35 punti, mentre Curry e Thompson sono rimasti sotto i 20.
Durant ha chiuso rispettivamente con: 38 punti in gara 1, 33 in gara 2, 33 punti in gara 3, 35 in gara 4, ed infine 39 nell'ultimo ed importantissimo match. Così facendo, l'ex stella di Oklahoma City è diventato il primo giocatore dal 2000 (in quel caso fu Shaquille O'Neal) a finire cinque partite con almeno trenta punti. Vincendo l'anello, invece, KD entra a far parte di quella ristrettissima élite di giocatori capaci di portarsi a casa sia il titolo sia la medaglia olimpica (tra questi David Robinson, Shaq, Alonzo Mourning e Kyrie Irving).
Questa stagione, in fin dei conti, è stata utilissima per il prodotto di Texas University, che è riuscito a completarsi come giocatore su tutte e due le metà campo. In quella offenisva, Durant è diventato molto più accorto, cinico, calcolatore di quanto non lo fosse già in passato, e sicuramente in questo il trasferimento agli Warriors lo ha aiutato togliendoli il ruolo di terminale offensivo primario e di conseguenza anche tutta la pressione che gli si scaricava addosso quando c'era da rilasciare il tiro finale. Andando a Golden State, infatti, KD ha potuto scegliere meglio gli attimi e gli istanti in cui colpire con l'affondo decisivo, come dimostra gara 3, e i momenti in cui affidare agli altri il gravoso compito del tiro chiave. Nella metà campo difenisva, Durant è migliorato ancora di più di quando già l'anno scorso aveva fatto, prendendo più rimbalzi, stoppando di più, e difendo in generale con più attenzione rispetto al passato.
Dal punto di vista personale, infine, KD si è calato fin da subito alla perfezione nel nuovo ambiente gialloblu, e il feeling con la città di Oakland non ha tardato a sbocciare. Un ambiente dove il gruppo conta più del singolo, il collettivo più dell'individualità, ha permesso a Durant di socializzare ed avere rapporti più profondi con i suoi compagni di squadra, ed in particolare con Curry con il quale KD ha avuto un feeling speciale fin dalla preaseason, rispetto magari a quanto accadeva in quel di Oklahoma City, dove ora più che suoi amici rimangono molti suoi nemici (primo di tutti Russell Westbrook).
Appena la sirena ha suonato l'ultima volta, Durant è andato a cercare Lebron per abbracciarlo e consolarlo, segno di enorme rispetto tra le due stelle più lucenti del panorama cestistico americano. Poi ha avvolto nelle sue braccia l'amico Curry, con cui ha condiviso tante battaglie quest'anno.
Infine, e questo non poteva mancare, l'abbraccio con la madre Wanda, definita dal figlio stesso il reale MVP, in quanto è stata quella che si è occupata della famiglia dopo che il padre li ha abbandonati.
Alla fine, l'ultima cosa che ha avuto tra le braccia sono stati champagne e birra. E a proposito di luppoli, lo stesso KD ha detto in conferenza stampa che non beveva così tante birre da febbraio, e che quindi il suo dilungarsi nei discorsi era dovuto a quello.
Direi in questo caso possiamo giustificarlo.

WARRIORS = WINNERS

Golden State vince gara 5, e conclude l'anno con il secondo titolo in tre anni. Durant MVP delle Finals, Oakland in delirio





"Vincere non è importante, è l'unica cosa che conta." Con queste parole, Giampiero Boniperti entrava direttamente nella storia di quello che è stato il club della sua vita sia da calciatore che da dirigente, ossia la Juventus. Queste trentanove lettere sono diventate parte integrante della mentalità bianconera, e il motto di tutti i tifosi che ogni domenica si recano allo stadio per vedere la squadra più titolata d'Italia. Chissà se Steve Kerr ha fatto sentire le parole di Boniperti ai suoi ragazzi, nello spogliatoio, pochi momenti prima di scendere sul parquet della Oracle Arena. Spero l'abbia fatto, perché quella di stanotte (o se volete ieri sera negli USA) era la partita più importante dell'anno per i Golden State Warriors. Gara 5 era la "Gara" con la g maiuscola, un match di un'importanza senza precedenti, forse anche più importante di Gara 7 dello scorso anno. Perché vincere oggi significava per GSW vendicarsi di Cleveland e riprendersi quel trofeo che gli era stato rubato l'anno passato da Cleveland, che avevo conquistato l'anello proprio alla Oracle Arena. Per Durant invece significava portarsi a casa il primo ring della sua carriera, scrollarsi di dosso l'etichetta dell'eterno secondo, ed infine anche zittire tutti gli haters che si erano formati dopo il suo trasferimento da Oklahoma City a Oakland. Per Lebron James, il più forte al mondo, vincere gara 5 significava dire a tutto l'universo che Cleveland "è viva e non molla", che i Cavs sono pronti a far ritornare gli incubi ai tifosi gialloblu. Vediamo come è andata.
L'inizio di quarto, da parte di ambedue le squadre, è positivo ma il primo vero strappo lo fa GSW grazie alle triple di Green e Thompson che portano in vantaggio il loro team sul 9-4. Cleveland però non molla e nonostante Love sia in panchina poiché a rischio falli, un parziale di 9-0 cambia il volto al match e costringe Kerr al timeout. I Cavs aumentano il vantaggio (20-12) aiutati anche da un James in grande spolvero, che dopo sei minuti è già a 12 punti. La squadra di Tyron Lue controlla il match e, nonostante il tentativo di rimonta degli Warriors, chiude il primo quarto in vantaggio sul punteggio di 37-33.
La seconda frazione inizia con Cleveland che non toglie il piede dall'acceleratore, e grazie alla schiacciata di LBJ si porta sul 41-33, un attimo prima del timeout chiamato dall'allenatore di Golden State, che vede il suo team in affanno. Squadra che riesce, grazie ad un parziale di 6-0 guidato da West e Igoudala a rimontare e a portarsi a -2. Il vantaggio dei padroni di casa arriva grazie alle triple di Durant, Curry (48-43) e al canestro di Green seguito da un tiro da circo del #30 di GSW, che permette ai Warriors di allungare a +11. Sul punteggio di 60-45, momento di tensione tra West e Tristan Thompson che causa un faccia a faccia molto duro tra i due (questo costerà a tutti e due un tecnico). A fine primo tempo il risultato recita 71-60 per Golden State, guidata dai 21 punti di Durant e dai 20 di Steph Curry.
Nel terzo quarto si sveglia finalmente Klay Thompson, al quale però rispondono JR Smith e Lebron che con le loro triple portano gli ospiti a -8 sul 79-71. Il timeout di Kerr e il conseguente ingresso del quintetto "piccolo" portano GSW al +10, subito ridotto a +4 dai canestri di "King" James, Tristan Thompson e Kyrie Irving. A fine terzo quarto, il punteggio segnala un "mini" vantaggio degli Warriors, sul punteggio di 98-93, che però non garantisce loro la certezza della vittoria finale.
L'ultima frazione vede gli Warriors che tentano di accumulare subito un buon vantaggio da gestire, ed il canestro di KD aggiunto alla tripla di Igoudala fa pensare che il match possa andare in questa direzione. Love tenta con un gioco da tre punti di far tornare Cleveland in partita, ma una tripla di uno spettacolare Durant ricaccia gli ospiti a -8, sul punteggio di 108-99 al minuto numero nove.
Prima Korver con una tripla, poi Lebron con quattro punti di fila, tentano di tenere in piedi la baracca, ma il duo Curry-KD porta il vantaggio Warriors a 12 punti. James non molla, e JR Smith lo segue a ruota, ma nonostante un gioco da 4 punti di quest'ultimo, gli ultimi tre minuti sono di avvicinamento alla festa, che inizia già prima della sirena.
Golden State si aggiudica queste Finals 2017 con il risultato di 4-1, mentre Kevin Durant il meritatissimo premio di MVP delle Finali. Lebron torna a casa sconfitto ma a testa altissima, dopo una serie giocata in modo splendido. Per Cleveland ora è il momento di analizzare e ripartire. Per gli Warriors, e soprattutto per Oakland, di festeggiare finché il tempo lo permettere.
Che lo champagne e le birre entrino pure.
 

lunedì 12 giugno 2017

UNA GIORNATA STORTA

Una brutta partenza e la rottura dell'ala hanno condizionato la gara della Ferrari, che però grazie alla rimonta di Vettel ha limitato i danni. Ed è ancora davanti alla Mercedes.


Siamo comunque davanti alla Mercedes, nonostante tutto. Nonostante la partenza no, soprattutto da parte di Vettel, nonostante la prima curva, con il contatto tra quest'ultimo e Verstappen che ha portato alla rottura dell'ala anteriore del ferrarista, nonostante la Mercedes abbia fatto doppietta ed Hamilton passeggiato. Una giornata storta, dopo 6 GP perfetti ce la dovevamo attendere prima o poi ed è arrivata ieri nel modo meno inaspettato possibile. Era già successo alla scuderia tedesca in quel di Montecarlo, era tra virgolette giusto che accadesse anche alla Ferrari, per evitare migliaia di polemiche a fine campionato.
La partenza è stata brutta, lenta e peggio di così c'è probabilmente solo il ritiro. Vettel, dopo un buono spunto iniziale, non ha avuto il coraggio di essere aggressivo alla staccata, e così facendo si è fatto infilare sia da Bottas all'interno sia da Verstappen all'esterno. E proprio quest'ultimo, con una delle sue solite spettacolari manovre si è preso gli applausi di tutti ma nel frattempo ha toccato, chiudendo la traiettoria, l'ala di Vettel. Due curve dopo, Sainz travolge Massa, ed è subito Safety Car manco fossimo a Montecarlo. Da quel momento è iniziata tutta una nuova gara, con Hamilton primo in solitaria, l'olandese della Red Bull che si ritira solo al giro 11, Raikkonen settimo in lotta con le Force India, qualcosa che visto da fuori pare irreale. Per Sebastian Vettel, invece, sosta ai box, sostituzione dell'ala, cambio delle gomme obbligatorio (da ultrasoft a supersoft), e rimonta da cominciare e portare a termine. Alla fine di rimonta eccezionale si è parlata, perché il tedesco alla fine è riuscito ad accaparrarsi un meritatissimo quarto posto, dopo una gara fatta tutta ad inseguire, che lo ha visto protagonista di grandi sorpassi, come quelli ai danni delle due Force India, solo per citarne alcuni. Mi sento di dire che con il ritmo che aveva e manteneva, con due-tre giri in più avrebbe potuto anche attaccare Ricciardo, che alla fine si è portato a casa un terzo posto. Per Hamilton, che conquista la sua sesta vittoria in terra canadese, una gara all'insegna del relax e della tranquillità che gli permette di riavvicinarsi in maniera importante a Vettel, attualmente ancora il leader del campionato (con 141 punti, +12 sull'inglese della Mercedes). A deludere invece è stato Kimi Raikkonen, che dopo una partenza non sicuramente con i fiocchi, non ha brillato per tutto il corso della gara, chiudendo con un anonimo settimo posto.
Sul web nel corso della gara si parlava già di disastro e di addio titolo per la Ferrari. Chiaramente la delusione è tanta e comprensibile, perché dopo ciò che la Rossa ci aveva mostrato il venerdì e il sabato il risultato che potevamo attenderci era diverso, ma i vari risvolti che la gara ha assunto ci hanno obbligato a vivere una domenica sera di sofferenza. Nonostante tutto, l'importante è rimanere positivi e speranzosi per il prossimo week-end, perché almeno fino a domenica 25 giugno la Ferrari è in testa al Mondiale.


giovedì 8 giugno 2017

AFFAMATI E CONSAPEVOLI

La spedizione Under 21 di quest'anno in Polonia sta per iniziare, ed i ragazzi di Di Biagio sanno di avere due punti fermi: la sete di vittoria e la consapevolezza di essere probabilmente la migliore Under 21 di sempre.

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La consapevolezza non è sempre da considerare come un aspetto positivo, perché talvolta essere consapevoli del proprio valore, della propria forza, può portare il diretto interessato a prendere sottogamba un evento o a sottovalutare un avversario. Questa appena descritta è l'attuale situazione in cui l'Under 21 si trova, e sa bene di non poter cadere nella trappola, che si potrebbe trasformare in un eliminazione. L'evento in questione è l'Europeo U-21, che sta per iniziare in Polonia e che si svolgerà dal 16 al 28 giugno. Tutti sono impazienti, sia i tifosi che gli stessi giocatori, di partire per la destinazione e per cominciare una manifestazione che si sentono di poter vincere, dato che già sanno di avere una delle squadre migliori di sempre (per quanto riguarda la nostra Nazionale) e sicuramente migliori della competizione. Un'analisi ruolo per ruolo non può che non essere utile, per capire a fondo il valore tecnico di questi ragazzi, affamati di vittoria e consapevoli di poter sognare.


PORTIERI (Donnarumma, Cragno, Scuffet)
Il trio di portieri che Di Biagio ha a disposizione quest'anno è forse il più forte che gli Azzurrini hanno mai avuto. Due su tre giocano in Serie A e uno ci sta per arrivare tramite i playoff (sperando di non portargli sfortuna). Su Donnarumma ormai non c'è più niente da aggiungere oltre tutto quello che si è già detto. Talmente forte e importante che Ventura ormai 'ha fatto diventare il secondo della Nazionale, mentre l'Under 21 l'ha fatto titolare già da tempo. Accanto a lui c'è Cragno, portiere del Cagliari ma attualmente in prestito in Serie B al Benevento. "L'Uomo Cragno" come qualcuno simpaticamente l'ha soprannominato, è stato uno dei principali protagonisti della grande cavalcata del Benevento, e ora a soli 23 anni si giocherà stasera l'accesso alla massima divisione contro il Carpi. L'ultimo tra gli estremi difensori è Scuffet, che quest'anno si è ripreso, dopo una stagione gettata al vento tra le fila del Como. Nella stagione 2013-14 era diventato celebre dopo una super annata come portiere nell'Udinese, che anche grazie alle sue molte parate aveva concluso la stagione in una posizione più che dignitosa. Nell'estate di quell'anno era arrivata l'offerta milionaria da parte dell'Atletico Madrid che avrebbe voluto farlo diventare una colonna della squadra. Il portiere bianconero allora rifiutò, preferendo ai milioni la patria e lo studio. Molti l'hanno criticato, ma lui cercherà in questa spedizione di rispondere positivamente alle critiche.

DIFENSORI (Conti, Caldara, Rugani, Barreca)
18 gol in quattro. Questo è il bottino della nostra retroguardia difensiva in quest'ultima stagione di Serie A. Molti pensando che per i due gioielli atalantini e per il terzino granata quella appena conclusa era la prima in carriera nel massimo campionato nazionale, mentre per Rugani era solamente la seconda. Conti e Caldara sono stati due degli uomini chiave della super annata dell'Atalanta, e hanno giocato come se avessero anni e anni d'esperienza alle spalle. Conti si è improvvisamente trasformato in un goleador segnando in qualsiasi modo, anche in rovesciata, ma anche Caldara non è da meno, ed il gol coast-to-coast contro il Napoli è il manifesto di un nuovo tipo di difensore, che non si occupa solo degli attaccanti ma che a volte ruba loro anche il mestiere. Rugani è stato l'ottimo sostituto del trio centrale juventino per eccellenza e ogni volta che è entrato non ha mai fatto rimpiangere i suoi solidi compagni. Barreca infine è stato uno dei pilastri della difesa del Torino e le sue discese sono ormai qualcosa a cui siamo abituati. Sognate un cross di Barreca e un colpo di testa in corsa di Andrea Conti. Svegliatevi dal sogno. Questa può diventare realtà.

CENTROCAMPISTI (Gagliardini, Benassi, Pellegrini)
Anche il centrocampo è più che buono, dato che tutti e tre sono titolari nelle loro rispettive squadre. Gagliardini è stato il faro del centrocampo dell'Inter fin dal suo arrivo dall'Atalanta nel mercato di Gennaio. Si è calato benissimo nell'ambiente interista e adattato perfettamente negli schemi di Pioli, trovando il gol contro il Cagliari e pure contro la sua ex squadra. Da marzo in poi ha subito un netto calo fisico, che non gli ha però impedito di avere il suo impatto sul derby di aprile, che l'ha visto protagonista con l'assist per Candreva.
Benassi è addirittura il capitano del Torino, tanto per far capire quanto la sua presenza è importante all'interno della squadra. Un De Rossi più giovane in pratica, ossia uno che riesce a mescolare al meglio la fase difensiva, fatta di recupero dei palloni principalmente, con la fase offensiva, che consiste nel trasformare in gol i palloni strappati alla squadra avversaria.
Pellegrini, infine, è stato uno dei migliori nella stagione più o meno anonima del Sassuolo, che ha concluso 12esimo in campionato. I suoi gol li ha fatti, le sue grandi prestazioni pure, tanto che la Roma targata Monchi sta pensando di richiamarlo alla base per 10 milioni, dopo che lo aveva in precedenza prestato proprio alla squadra neroverde.

ATTTACCANTI (Berardi, Bernardeschi, Petagna)
Forse il trio migliore che si poteva ottenere sul mercato, sicuramente quello con più talento. Perché alla tecnica individuale questo trio aggiunge anche i gol, e anche tanti.
Berardi ha siglato 10 gol. I primi in Europa, Europa League per la precisione. Poi a ottobre l'infortunio e da lì il lungo calvario fino al ritorno in campo, avvenuto nel nuovo anno. Per lui è la prima grande manifestazione e lui già sa che se vuole ottenere una chiamata dal procuratore delle grandi squadre d'Italia, le sue carte a quest'Europeo Under 21 se le deve giocare bene.
Bernardeschi è il genio della Fiorentina, una squadra che nel suo passato di fenomeni ne ha avuti abbastanza. Quest'anno per lui le reti segnate sono 14, tra cui due fenomenali (una al Napoli e una al Borussia Mönchengladbach), che si aggiungono ad un numero di trick da far strabuzzare gli occhi.
I 5 gol di quest'anno di Andrea Petagna non riassumono la sua stagione, che va al di sopra delle reti segnate. In attacco assieme al Papu ha creato uno dei migliori due calcistici, oltre che social, della Serie A 2016-17. La sua capacità di difendere palla, di tenerla per far salire la squadra, e di metterla dentro quasi in ogni situazione, lo rende al momento uno degli attaccanti italiani migliori in circolazione. La velocità non sarà una delle sue qualità migliori, ma alla fine quel che conta per un attaccante è segnare, e l'ex Milan è capace di farlo.

Mancano solo 8 giorni all'inizio dell'Europeo Under 21, e ormai la pazienza sta finendo e l'ansia sale giorno dopo giorno. Perché quando hai una Nazionale forte, e sai che questa può seriamente lottare per la vittoria finale, queste sono le due emozioni che principalmente si provano.

COME VANNO LE FINALS

Finals 2017, siamo a gara 3. Per ora Golden State sta dominando, e dopo aver vinto i primi due match della serie, si è aggiudicata anche la partita di stanotte grazie a un KD devastante.

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Se si cerca dominare sul vocabolario dell'Enciclopedia Treccani, i primi due significati che si incontrano sono: a. "Avere potestà e autorità di padrone in un luogo o su una o più persone" ; b. "Essere superiore". Se parliamo di Nba Finals 2017, credo che la scelta migliore sia la seconda, perché effettivamente i Warriors sono superiori ai loro contendenti, ossia i Cleveland Cavaliers. La superiorità si è vista nettamente già in regular season con GSW che ha perso la metà delle partite dei Cavs (rispettivamente 15 e 31), ed è stata perfetta nella marcia verso le Finali, vincendole tutte mentre Lebron e compagni hanno perso solo gara 3 delle Conference Finals contro Boston.
In tutte le gare, nonostante le super prestazioni del duo Lebron-Irving e il grande aiuto proveniente da Kevin Love, Golden State ha sempre avuto quel guizzo, quel qualcosa in più che gli ha permesso di vincere tutte e tre le gare disputate, anche quella meno probabile, ovvero l'ultima. Per chi se le sia perse tutte, una o due su tre, ecco per voi un recap.

Gara 1 : Golden State Warriors - Cleveland Cavaliers 113 - 90
Alla vigilia di gara 1 si discuteva su chi alla fine potesse essere il giocatore decisivo del primo match delle Finals, e a partita conclusa si è decretato vincitore Kevin Durant. Meritato il titolo di MVP di match, perché KD ha messo a referto 37 punti, 8 assist e 8 rimbalzi in trentasette minuti sul parquet. A supporto del numero 35 degli Warriors, il solito Steph Curry (28 punti, 10 assist e 6 rimbalzi) che assieme a Durant ha guidato la squadra alla vittoria. Per ciò che riguarda Cleveland, solita super prestazione di Lebron (28 pt, 8 ast, 15 rim) affiancata dai 24 punti del mago del ball handling Kyrie Irving e dai 21 rimbalzi di Kevin Love, che però non hanno portato alla vittoria tanto sperata.
Ad inizio match è la tensione a farla da padrone, ed infatti il primo canestro arriva solo dopo 1'30, firmato J.R. Smith, a cui risponde il centro georgiano Pachulia. A metà della prima frazione il risultato è sul 12 pari, ma è l'entrata in campo di McGee (alle prime Finals della sua carriera) a dare una svolta alla partita. L'ex dei Nuggets segna 4 punti e prende cinque rimbalzi in pochissimo tempo, salvo poi essere riportato con i piedi per terra da James, che con una schiacciata spettacolare firma il pareggio sul 24-24. Primo quarto che si conclude con la tripla di Igoudala, MVP delle Finali 2015, che fissa il punteggio sul 35 a 30.
Il secondo quarto è dedicato alle seconde linee quindi votato all'equilibrio, dato che i pezzi pregiati sono tutti, eccetto Irving, in panchina. A tre minuti dal termine Durant porta il match sul 42-33 con la schiacciata. Kyrie tenta di riprendere in mano Cleveland, e la porta a meno sei (49-43) con un incredibile tiro da tre e con l'annesso libero. Nonostante questo KD continua a dominare senza che nessuno lo stoppi, ed ecco che il quarto n°2 si chiude sul 60-52.
Il terzo quarto è firmato Steph Curry, il vero protagonista della penultima frazione di gara 1 : SC infiamma la Oracle Arena e i suoi tifosi con un palleggio, arresto e tiro che porta Golden State sul +15, poi sul +18, ed infine sul +21 (73-52). Cleveland reagisce con un parziale di 6-0 guidato da Love. Né Steph, però, e nemmeno Green sono appagati ed è la loro fama a permettere agli Warriors di riuscire ad allungare di nuovo e a presentarsi per l'ultimo quarto sul 93-72.
L'ultimo quarto è garbage time, ovvero quel momento in una partita NBA quando il risultato è scontato e l'impegno è scarso. Il match infatti si conclude a 4 minuti dalla fine, sul 105-84 con la tripla di KD. Il resto è dolce attesa, con il pensiero che vola già a gara 2.

Gara 2 : Golden State Warriors - Cleveland Cavaliers 132 - 113
Il match inizia subito con un ritmo alto, e con Durant che sbaglia il primo tiro di serata: King James raccoglie e inchioda dall'altra parte. A rispondergli, la tripla di Green, che viene a sua volta seguita da due possessi firmati Lebron, che porta a casa un canestro e un fallo. Si scalda poi ed entra in azione anche Klay Thompson, offensivamente il grande assente in gara 1, che con una tripla fissa il risultato sull'11-11. Tra schiacciate di Lebron, triple di Curry e stoppate di KD il match continua e vede continui ribaltamenti di fronte che fissano il punteggio sul 40-34, per ciò che riguarda la prima frazione di gioco.
Finalmente Thompson si sveglia in attacco, e l'inizio del secondo quarto porta la sua firma: la sua tripla porta il punteggio sul 47-35. Lebron continua intanto la sua personale aggressione dell'area dei gialloblu, e l'atteggiamento si trasforma in un -3 (59-56 per GSW) a tre minuti dalla fine. KD va in isolamento e porta a 67 il suo team, mentre Lebron assiste Irving ed il secondo quarto si chiude sul 67-64.
Durant e Curry sanno che il terzo quarto è quello cruciale e per questo spingono al massimo fin da subito: fade-away per il #35, appoggio al tabellone e due punti per il #30, che fanno chiamare il timeout al coach dei Cavs sull'83-73. Thompson porta GSW a +11, Lebron riaccorcia a -4, e Livingstone fa ritornare gli Warriors a undici lunghezze di vantaggio. Steph Curry, con una tripla apparentemente impossibile, porta il match sull'88-102. The 3rd quarter is in the books.
Nell'ultimo quarto Thompson rientra in gioco anche in attacco e assieme a KD porta il punteggio sul 115-97, con sette minuti circa ancora da giocare. Due triple consecutive, firmate dai due MVP di casa, fanno definitivamente alzare bandiera bianca a Cleveland, sul -19 a quattro minuti dalla fine.
Durant chiude con 33 punti, 6 assist e 13 rimbalzi, Curry con 32 punti, 11 assist e 13 rimbalzi, mentre Thompson con 22 punti. Per i Cavaliers, Lebron fa segnare 29 punti, 11 assist e 14 rimbalzi, Love 27 punti e 7 rimbalzi, mentre per Irving i punti sono 19, gli assist 7 ed i rimbalzi 2.

Gara 3 : Golden State Warriors - Cleveland Cavaliers 118 - 113
Si sa, soprattutto nel basket, che l'intensità cambia se giochi in casa o in trasferta, e i Cleveland Cavaliers incarnano alla perfezione tutto ciò. Perché in casa avevano già battuto Golden State più volte, una anche nella partita di Natale. Questa però era la più importante, perché stavolta GSW era più forte rispetto alle altre formazioni incontrate nelle altre due Finals. Niente, nemmeno stavolta i Cavs hanno potuto fare niente contro Curry e compagni, che dopo un partita thriller, hanno vinto il match grazie ad un super Durant negli ultimi minuti.
Il match inizia subito con Cleveland che inizia con il piede subito sull'acceleratore, andando sul 5-0 grazie a Lebron e J.R.Smith, successivamente sorpassati e raggiunti dal duo Thompson-Durant. L'intensità è senza precedenti da ambo le parti e al primo timeout (dopo 5 minuti di gioco) il risultato è di 17-13 per i padroni di casa. Al minuto 5'48", LBJ si scontra con Tristan Thompson, e rimane atterra per un minuto abbondante, mettendo in ansia i tifosi di Cleveland e di basket in generale. Il King, però, si rialza e segna: canestro + fallo. Thompson riporta avanti GSW sul 24-21 grazie al suo sedicesimo punto, che fino ad ora prima del terzo quarto non era mai arrivato. Escono i titolari dei Cavs, ne approfittano gli Warriors, che chiudono in vantaggio al prima frazione sul 39-31.
Nel secondo quarto Golden State non brilla ma riesce comunque, grazie a Cleveland che non sfrutta il momento, a mantenere il vantaggio e ad aumentarlo a tre minuti e mezzo dall'intervallo, con il tiro di Durant, che fissa il punteggio sul 55-49. Alla pausa, GSW conduce di sei punti, 67-61.
La penultima frazione vede Golden State affetta da nervosismo cronico, con Green che raggiunge presto i 5 falli, mentre Cleveland che viaggia sulle ali dell'entusiasmo, grazie ad un Kyrie Irving straripante. Con la tripla di Korver ed il canestro di Lebron, i padroni di casa sono avanti 94-89 con ancora tre minuti da giocare.
Il 4° quarto è un puro film thriller. Korver accende gli animi con una tripla, che dà il +7 a Cleveland (100-93), ma KD gli risponde e a '6 dalla fine il punteggio recita 104-102. Poco dopo Thompson porta GSW a -1 sul 108 a 107, ma è Korver a far esplodere e sperare i suoi tifosi, con la tripla che vale il 113-108 quando ancora mancano da giocare tre minuti.
Per i restanti 2'15" non succede nulla di importante e significativo, sembra quasi che la partita si sia addormentata. A risvegliarla, a 45" dalla fine sono KD e Igoudala: prima il #35 degli Warriors piazza la tripla in faccia a Lebron, che vale il sorpasso (114-113), e nell'azione successiva l'MVP delle Finals 2015 si vendica della stoppata dell'anno precedente di Lebron ai suoi danni, rubando a quest'ultimo la palla che si sarebbe potuta trasformare in una facile "bomba" da tre.
Curry mette i due liberi nell'ultima azione del match, che si conclude sul 118-13.
KD chiude con 31 punti, 4 assist e 8 rimbalzi, Curry con 26 punti, 6 assist e 13 rimbalzi, mentre Thompson con 30 punti. Dall'altra parte Lebron finisce con 39 punti, 9 assist e 10 rimbalzi, mentre il compagno Irving chiude con la bellezza di 38 punti.
Nella notte tra venerdì e sabato l'ultimo e decisivo atto, che può dare l'anello a Golden State. 

mercoledì 7 giugno 2017

IL DUBBIO AMLETICO

Donnarumma è a un bivio, in cui deve scegliere se seguire il suo procuratore e accettare fama e denaro all'estero, oppure se rimanere al Milan e diventarne una bandiera



Esiste, nella lingua italiana, un proverbio che dice che "al cuore non si comanda", e soprattutto quando si è ad un bivio e si deve scegliere tra due opzioni, è il muscolo involontario per antonomasia che comanda. Uno che questa situazione la sta vivendo di persona e che si trova a dover decidere cosa fare del suo futuro è Gianluigi Donnarumma, ormai meglio conosciuto come Gigio. Il portiere rossonero è chiuso in una morsa, tirato da una parte dal suo procuratore Mino Raiola, e dall'altra dl popolo rossonero, dai tifosi che lo vedono come l'uomo simbolo, la bandiera del nuovo Milan.
Analizzare quindi le due proposte, riflettere e decidere quale sia la migliore per il suo futuro è quello che farà il fenomeno con il 99, che dovrà comunicare la sua scelta prima del 16 giugno, ovvero prima di partire per la spedizione in Polonia con l'Under 21.


1° bivio : seguire Raiola
Come sempre ogni scelta porta con sé vantaggi e svantaggi multipli, e spiegare gli aspetti positivi e negativi di una scelta è qualcosa che impari alle scuole medie e che non rimuovi dal cervello fino alla fine dei tuoi giorni. Gigio, prossimo all'esame di maturità (che ha posticipato causa Europei), ne avrà fatti in quantità a scuola, ma ora la decisione è concreta e reale e influirà direttamente sul suo futuro. Andare con Raiola significa innanzitutto guadagnare molto ma soprattutto guadagnare molto subito. Chiamarsi Donnarumma in questo caso aiuta perché il talento permetterà a Gigio, nel caso si trasferisse, di ricevere uno stipendio da top player ovunque andrà. Che sia Manchester United o Real Madrid, il portiere campano potrebbe ricevere quasi il doppio dello stipendio che dovrebbe ricevere dai rossoneri nel caso rinnovasse. Trasferirsi, significherebbe inoltre aggiungere molti trofei in bacheca in un tempo molto breve, dato che le squadre interessate al talento milanista sono tutte top team di prima fascia, con grandi ambizioni e grandi nomi. Le vittorie potrebbero tentare Gigio poiché, sebbene i cinesi rossoneri stiano comprando molti giocatori di qualità per migliorare la squadra, la scalata al successo potrebbe durare ancora qualche tempo, dato che c'è ancora da colmare un grande gap in Italia con la Juve ed uno enorme in Europa con le big.


2° bivio : rimanere al Milan
Dall'altra parte, ad attenderlo, ci sono milioni di tifosi milanisti sparsi in tutto il mondo, che nel corso dei mesi hanno espresso il loro affetto e la loro fiducia per un ragazzo che così talentuoso non si vedeva da tempo. Gigio, a suon di parate decisive e di baci alla maglia, si è conquistato l'appoggio dei suoi fan, che ogni partita gli riservano cori. L'amore dei supporter rossoneri per il loro portiere è incondizionato, perché sanno che Donnarumma ha tutte le qualità ed il tempo per divenire una colonna portante, un simbolo ed una bandiera del Milan che verrà. Molti tifosi sognano di vederlo come Baresi, capitano a 22 anni ed icona di una squadra che andava in giro per l'Europa e per il mondo a conquista qualsiasi cosa fosse disponibile. Ecco perché in tanti già pensavano di affidare la fascia al braccio al giovane portiere, nonostante la giovane età, scelta che però Montella non ha condiviso e non ha di conseguenza accettato. Rimanere significherebbe anche diventare l'erede, non solo sportivo, perfetto per sostituire Buffon. Perché Gigi nel 2006, quando la Juve retrocesse ebbe la possibilità di trasferirsi altrove, ma decise per amore della maglia di rimanere e difendere per molti anni ancora la porta juventina. Restando, alla fine dei conti, ha avuto le sue soddisfazioni, sei scudetti di fila sono lì a dimostrarlo, ma anche le sue delusioni, che si traducono in due Champions mancate.


Rimanendo Gigio, potrebbe conquistare nel tempo i trofei che trasferendosi ora potrebbe mettere in bacheca subito. Ma anche lui sa, che tra festeggiarli con la maglia della squadra che ami, in cui giochi e che hai sempre sostenuto, ha un altro gusto. Peraltro, molto buono.

martedì 6 giugno 2017

STIAMO ESAGERANDO?

Ormai vale la legge del "più sei giovane, più ti pago". Prima Sterling e Martial ora Stones, Vinicius Jr e Mbappé. Sembra che rischiare montagne di soldi su un ragazzo sia la normalità.

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In principio ci fu Neymar, che nell'estate 2013 passò al Barcellona per 57 milioni. All'epoca molti pensavano fosse uno sproposito pagare un ragazzo di 21 una cifra com'era quella appena versata dal club spagnolo ai brasiliani del Santos. Altri invece pensavano che quest'investimento fosse corretto, considerando che negli anni a venire la crescita sarebbe stata esponenziale.
Ora come ora nessuno discute sul valore tecnico di Neymar, mentre quello economico è almeno triplicato. Le discussioni sono ancora a proposito del costo del cartellino effettivamente pagato dal Barcellona perché "El Mundo" nel 2014 aveva scoperto che in realtà tra commissioni e costi extra, il tutto ammontava a una spesa di 95 milioni. Ma O'Ney era solo l'inizio di una legge, quella del "più sei giovane, più sei forte, che continua tutt'oggi con altri protagonisti.

1. Raheem Sterling
Il primo in ordine cronologico dopo Neymar è stato nel 2015 Raheem Sterling, ala a quel tempo in forza al Liverpool, che passò per la bellezza di 70 milioni di euro alla corte degli sceicchi del Manchester City. Fino ad ora il rendimento del ragazzo della nazionale inglese è stato altalenante in quanto a rendimento, come altalenanti sono state le sue presenze, 94 in due anni condite da 21 gol. Il valore di Sterling non si discute ma è importante ricordargli che per la cifra che i Citizens hanno sborsato per lui, l'impatto sulla nuova squadra sarebbe dovuto e dovrebbe essere maggiore. Perché se sulla tecnica e sulla velocità non gli si può dire nulla, sulla personalità e sulla freddezza sotto porta deve sicuramente crescere, perché se vuole conservare il posto in Nazionale, deve dimostrare di valere l'investimento.

2. Anthony Martial
Il premio di più costoso dell'anno, gli verrà poi rubato ad agosto, da un altro talento (stavolta francese) ovvero Anthony Martial, che passa dal Monaco allo United. Diventa così il 19enne più pagato della storia del calcio e anche della storia della Premier League. Chiaramente le aspettative sono più che alte, e sono dovute in parte al prezzo (80 milioni), in parte ai paragoni che già si sprecano con un altro attaccante transalpino passato per Montecarlo, ossia Thierry Henry. Fin da subito, il nuovo numero 9 del Manchester Utd, entra "in confidenza" con il nuovo ambiente e il 12 settembre segna il suo primo gol contro un acerrimo rivale del suo nuovo team, ovvero il Liverpool. La prima stagione è buona (11 reti in 31 match), ma proprio quando aspetta di diventare la stella della gestione Mourinho, ecco che l'acquisto di Ibrahimovic gli chiude le porte. Martial si lamenta, ha degli screzi con la società, che gli toglie la 9 per darla allo svedese, e finisce spesso in panchina durante quest'ultima stagione. Su Martial si può dire che la spesa è stata in parte ripagata, soprattutto grazie alla prima stagione con i Red Devils, che l'ha consacrato definitivamente, mentre la seconda è stata sottotono, per le cause spiegate sopra. Si attende la prossima stagione per avere una conferma definitiva.

3. John Stones
John Stones è il tipico esempio di quello che non regge la pressione. Diventando il difensore più pagato del calcio inglese (56 milioni + 4 di bonus), si suppone che tu sia preparato a reggere l'urto della pressione a cui sicuramente, venendo dall'Everton, non sei abituato. E invece no: Stones è caduto sotto i colpi dei media, e il suo rovinoso tonfo ha avuto conseguenze negative su lui stesso (ha perso fiducia nei suoi mezzi, diventando goffo e insicuro) e sul Manchester City, che anche per i suoi errori, soprattutto nel ritorno degli ottavi contro il Monaco, è uscito prematuramente dalla Champions. Ciò che gli servirebbe realmente è un compagno di reparto con esperienza e personalità che lo aiutasse a crescere in autostima e che nascondesse con le sue prestazioni in campo i limiti che Stones ancora presenta.

4. Vinicius Jr
Ufficializzato a maggio, ma conteso a lungo con i rivali di sempre del Barça, Vinicius Junior è diventato con i suoi 45 milioni versati dal Real Madrid al Flamengo l'Under 18 più costoso di sempre. In realtà il nuovo asso brasiliano, già paragonato dai media di casa a Neymar, si muoverà dalla sua patria solo a giugno 2018, almeno che i due club non si accordino per farlo volare in Spagna prima.
Fino ad ora sono rintracciabili in rete video di suoi gol e skill fatti con la maglia rossonera e con quella della Nazionale. Non sappiamo molto altro oltre alla reazione di Guardiola che ha definito eccessivo il prezzo del trasferimento. Aspetto l'approdo in Europa per ulteriori giudizi, ma già ora, a meno di un impatto incredibile, possiamo definire questo acquisto una follia, una spesa inutile per un giocatori che non si è ancora preso le luci della ribalta.

Mbappé è un caso a parte, e per parlare di lui non c'è bisogno di metterlo in una classifica, perché il suo valore tecnico già lo conosciamo, ed è solo tempo per capire quale sarà il suo vero valore economico. L'ultima stagione del francese è stata ottima, fantastica, eccezionale perché al primo vero anno si è subito imposto nel Monaco, che ormai si trova stabilmente nelle migliori 8 d'Europa da tre anni a questa parte. Il 2016-17 del talento di uno dei migliori settori giovanili del continente è stato talmente luminoso da far temere a tutti lui e i suoi compagni, che sono riusciti a eliminare il City e ad abbattere il record di imbattibilità in casa della Juventus. Per questo, ma anche probabilmente per essere al centro del mercato estivo, le big d'Europa si sono mosse in tempo. Le offerte sono arrivate da vari mittenti, che metterò in ordine decrescente : l'Arsenal ha offerto 100 milioni, le due di Manchester 120, mentre è il Real (alla terza offerta) ha raggiunto la cifra monstre di 135 "chili", come chiamano in Spagna i milioni. Fatto sta che già pensare di spendere cifre del genere è da pazzi, ma poi farlo effettivamente è ancora peggio. Però ora pare banale buttare questi milioni, quando 10 anni fa Shevchenko veniva comprato a 30 milioni, e quindi nessuno si sorprende.
Io un esame di coscienza a proprietari dei top team lo farei fare. Secondo me non sarebbe una brutta idea.


lunedì 5 giugno 2017

ARTISTA DI STRADA

Nel 2014 prima dei Mondiali di casa, dipingeva le strade, mentre ora gioca e segna nel Manchester City di Pep Guardiola. La storia di Gabriel Jesus, dalle favelas alla Premier.



Il termine favela, al contrario di quanto molti pensano, ha radici storiche. Infatti, dopo la guerra di Canudos (1895-96), molti rifugiati ed ex soldati si rifugiarono sulle colline di Rio de Janeiro, poiché lo Stato non aveva garantito loro della abitazioni. Il luogo, chiamato in precedenza Morro da Providencia, verrà ribattezzato Morro da Favela, dal nome della pianta (faveleira) che cresceva nei pressi dei campi di battaglia della guerra sopra citata.
Le storie sulle favelas, sui loro abitanti, e sulle loro attività (spaccio e guerre tra gang) sono note ormai da tempo, ma ciò che probabilmente pochi sanno sono i numeri legati a queste zone presenti nella nazione: circa il 6% della popolazione, ovvero 11 milioni di persone, vivono in condizione precarie nelle bidonville brasiliane secondo i dati del IBGE, l'Istat verdeoro.
Le favelas, ormai lo sappiamo da anni, sono legate ai calciatori carioca, perché molti di loro lì ci sono nati e lì hanno iniziato a dare i primi calci e a mostrare le prime qualità, prima che i club amatoriali li prendessero sotto la loro ala.


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favela di Jardim Pera, San Paolo

E questo è anche il caso del personaggio in questione, ossia Gabriel Fernando de Jesus, conosciuto semplicemente come Gabriel Jesus. Pure il ragazzo classe '97 viene dalle favelas, più precisamente dal quartiere Jardim Peri di San Paolo, uno dei tanti quartieri dalle strade non asfaltate e dai progetti di urbanizzazione non completati.
L'attuale attaccante del City cresce in una situazione complicata. Nasce da Vera Lucia e suo padre Gabriel, ed è il più giovane di quattro figli, ma nonostante ciò, la figura paterna sarà rappresentata da sua madre: Vera infatti verrà lasciata poco tempo prima della nascita del primogenito, e dovrà crescere da sola i figli, come una sorta di reale eroina. La donna è talmente legata ai figli da seguirli dappertutto e da "ispezionarli" ogni volta che tornano a casa, per capire se hanno fumato o assunto droghe. Lo fa perché sa che la vita nelle favelas è durissima e sa che se non ti comporti bene e fai il bravo ragazzo, alla fine le persone che frequenterai non saranno che spacciatori o boss del narcotraffico. Gabriel però è un ragazzo onesto e perbene che, eccetto qualche finestra rotta ai vicini causa pallonate, non compie azioni che possano renderlo amico di persone poco affidabili.
Uno che divide l'infanzia tra le partite del Corinthians viste al "Gi Bar" e le partite a futebol con gli amici fino al 2015, anno in cui viene tesserato dal Palmeiras, dopo aver superato un provino.
In un anno e mezzo grazie anche all'approdo in panchina del tecnico ex Cruzeiro Cuca, l'enfant prodige del calcio carioca inizia a segnare e convincere portando la sua squadra alla vittoria del Brasilerao con 12 reti in 25 partite.
A gennaio di quest'anno, sebbene l'accordo fosse già stato siglato, approda alla corte di Pep Guardiola per 32 milioni di euro. L'impatto è devastante, perché GJ segna 7 gol in 11 partite: reti che sarebbero potute essere anche di più, se il talento brasiliano non si fosse infortunato contro il Bournemouth (quinto metatarso del piede destro, tre mesi di stop).
L'anno prossimo è pronto a "spaccare" tutto in Premier, avendo a disposizione Champions e campionato. Qualcuno pensa che affiancherà Aguero in un attacco a due, altri credono che gli ruberà il posto. Quello che è sicuro è che per Guardiola è imprescindibile.
Perché a nessuno importano le tue origini. Anche se a 14 anni pitturavi le strade in vista del Mondiale casalingo. L'essere un "crack" compensa eccome.




domenica 4 giugno 2017

PAGELLE DA CHAMPIONS

Mandzukic sufficiente per il gol, Ronaldo gol e lode, Dybala delude: ecco le pagelle della finale di Champions


PAGELLE REAL MADRID

Navas 6.5 : L'impegno è durato per tutto il primo tempo, ovvero fino a quando la Juve è stata capace di creare pericoli nell'area del portiere costaricense. Estremo difensore che ha reagito al tiro di Higuain, ma niente ha potuto (magari con qualche centimetro in più d'altezza ce l'avrebbe fatta) sulla magnifica rovesciata di Mandzukic. Nel secondo tempo, ordinaria amministrazione, dovuta soprattutto al calo psico-fisico juventino.

Carvajal 7.5 : Da sempre, a Carvajal, gli rinfacciavano di non essere all'altezza dell'altro terzino titolare, ovvero Marcelo. Sabato sera, il laterale spagnolo ha zittito tutti, con una grande prestazione sia in fase offensiva sia in quella difensiva. L'assist a Ronaldo è figlio di schemi provati e riprovati in allenamento. Le spinte sulla fascia no. Quelle fanno del tutto parte di lui.

Varane 7 : Sabato il giovane 24enne francese ha superato Maldini, diventando il più giovane ad aver vinto tre Coppe dalle "grandi orecchie". Alla viglia del match, pareva nettamente più facile da battere, rispetto al compagno di reparto Ramos. Così non è stato, perché il giovane difensore transalpino si è fatto valere, sfornando un'ottima prestazione, conseguenza di un'ottima difesa di Higuain, limitato come un prigioniero di guerra a "pane e acqua". Per un difensore, non far agire l'attaccante argentino a 16 metri dalla porta può essere considerata una buona azione. Per farlo a 24 anni si deve avere una certa stoffa.

Ramos 6.5 : Per il match in sé, decisamente buono, avrebbe meritato mezzo voto in più. Ma poi si è lasciato sopraffare dalla teatralità e dalla simulazione, precedenti al rosso di Cuadrado, ed ecco che spunta il 6.5. Perché per un giocatore così importante, per uno che del Real è diventato bandiera e simbolo, per un uomo che incarna al meglio i valori blancos, la simulazione inscenata non può che non essere uno scempio. Ha ragione Rio Ferdinand quando dice che se fosse stato al posto dello spagnolo, non avrebbe avuto il coraggio di guardare suo figlio. Nessuno lo avrebbe avuto.

Marcelo 7.5 : Che non fosse un normale terzino l'avevamo capito da tempo. Incursione, finte, numeri da giocoliere e più di qualche amnesia difensiva. Con l'arrivo di Zidane pare un giocatore tutto nuovo: meno sviste in fase di non possesso più efficace con la palla tra i piedi. Il 7.5 è meritato, soprattutto per come salta Lemina al 90', quando sul risultato di 1-3, poteva starsene in difesa. Invece esce fuori il suo istinto da attaccante ed ecco che l'assist per Asensio spunta.

Casemiro 8.5 : "El Tapon" che segna in finale, che notizia! Da quando era arrivato, sotto la guida Benitez, era sempre stato sottovalutato in modo eccessivo. Si diceva che non fosse un giocatore da Rea, troppo difensivo per giocare affianco a due maestri della tecnica quali Kroos e Modric. Quando Zidane è arrivato, il mediano  brasiliano è diventato il faro del centrocampo, capace di fermare le azioni avversarie e dare palla ai due compagni più tecnici. Poi contro il Napoli, il gol della carriera, e pensi che lì sia finita. Invece no, anche nella partita più importante dell'anno, il "tappo" del centrocampo del Real va a segno con un tiro angolato (leggermente deviato) dai trenta metri. Poi arriva la Champions. Che vale più di due grandi gol.

Kroos 7 : Il metronomo tedesco ha iniziato sottotono nel campo gallese. Scosso ma non stordito dall'aggressività juventina, non riusciva a smistare palloni nel modo che gli riesce sempre. Nel secondo tempo, e questa è anche colpa dei bianconeri, Toni Kroos è salito in cattedra per guidare il centrocampo alla riscossa, e ci è riuscito, gestendo il pallone a suo piacimento con un'accuratezza di passaggio vicino al 100%. Metronomo vero.

Modric 8 : Primo tempo buono, con un tiro parato da Buffon, secondo tempo divino. Divino perché Luka Modric da Zara è un genio con il pallone tra i piedi, ma allo stesso tempo si impegna molto anche in fase difensiva. L'assist per Ronaldo figlio di una giocata fantastica.

Isco 7 : L'ex Malaga, questa stagione. come se fosse una novità, l'ha cominciato in panchina. Con Ancelotti era chiuso da James, con Zidane da Casemiro. Ad aprile però, causa infortunio di Bale, ecco che l'occasione di giocare da titolare si presenta. Gioca le semifinali di Champions da fenomeno, ma fino al giorno stesso della partita non sa se giocherà, perché per Zidane la tentazione di far giocare Bale è tanta. Alla fine gioca lo spagnolo da trequartista, e la mossa si rivela azzeccata. Isco gioca e manda in confusione la Juve, uscendo tra gli applausi scroscianti dei tifosi madridisti.

Benzema 6 : La sufficienza se la merita per l'impegno e per lo spirito di sacrificio. Perché passare da centravanti titolare a spalla di Ronaldo non deve essere facile ma Benzema, da gran professionista qual è, ha accettato, e per questo Ronaldo deve essergliene grato.

Ronaldo 9 : The Best, ma anche The Beast contemporaneamente. Perché Ronaldo è il migliore da due anni a questa parte. Dopo un 2016 eccezionale con la vittoria della Champions, dell'Europeo, del Pallone d'Oro e del premio "The Best" della FIFA, CR7 non ha smesso sicuramente di avere fame di trofei. Solo che all'inizio di questa stagione, a 32 anni compiuti ha iniziato a capire che stare ancora per molto sulla fascia non gli avrebbe di certo la carriera: meglio stare in mezzo. Zidane inoltre l'ha convinto a gestire le energie, a riposare nei moneti più utili della stagione, a non pensare ad inseguire Messi nelle statistiche, perché tutto ciò gli avrebbe impedito di essere al meglio nella parte finale di stagione. E Ronaldo, contrariamente a quanto avrebbe probabilmente fatto con Benitez, ha ascoltato il tecnico francese, e il risultato parla chiaro : cinque gol al Bayern Monaco, tripletta all'Atletico, doppietta in finale. Raggiungere i 600 gol in carriera, conquistare quattro finali di Champions, però sembra non bastare, perché gli atleti come CR7 hanno sempre sete di vittoria.

Bale (sostituisce Benzema) s.v. : Entrato più per ricevere applausi dai suoi connazionali che per giocare realmente, tenta di mettersi in luce con delle giocate di alta scuola. Che sfortunatamente per lui non servono a molto, dato che il match è praticamente già vinto.

Asensio (sostituisce Isco) 7.5 : L'asso nella manica di Zidane. Entra e dopo qualche minuto segna il gol che sancisce la vittoria del Real. Chi vorrebbe di più?

Morata (sostituisce Kroos) s.v. : Messo in campo con l'obiettivo di segnare il gol dell'ex, non ci riesce. Poco importa, i 20 gol in stagione da subentrato, giustificano le cifre che girano attorno a lui.

Zidane 9 : In un anno e mezzo due Champions, una Liga, un Mondiale per Club e una Supercoppa Uefa. Una sorta di Re Mida, che trasforma in oro tutto ciò che tocca.. Arrivato in sordina, ha fatto ricredere chiunque, spostando Isco trequartista e mettendo Ronaldo al centro. Mosse azzeccate, azzeccatissime, che lo hanno fatto entrare nella storia del Real grazie all'accoppiata Liga-Champions, che mancava dal 1958.


PAGELLE JUVENTUS

Buffon 6 : Colpe sui gol non ne ha. Di Champions (per ora) non ne ha. Il che sembra più di una maledizione. A quasi 40 anni, ha ancora una stagione a disposizione per tentare di alzarla.

Barzagli 5 : La chiusura su Isco è degna di nota, su tutto il resto è meglio stenderci un velo. In difficoltà, come tutto il reparto juventino.

Bonucci 5 : Il terzo gol è colpa sua, perché lo sanno tutti che CR7 dentro l'area non perdona. Oltre all'anticipo mancato, nient'altro di rilevante.

Chiellini 4.5 : Malissimo in generale, ma soprattutto nella marcatura di Ronaldo. Lo perde sul primo gol, non lo ritrova per tutto il match.

Alex Sandro 5.5 : Mezzo voto in più di Barzagli e Bonucci solo per l'assist del pareggio juventino, e per il colpo di testa nel finale che quasi riapre il match. Per il resto, tutto negativo, soprattutto in occasione del primo e del terzo gol.

Pjanic 5.5 : Un tiro che rischia di trasformarsi in gol, poi il nulla assoluto. Esce acciaccato.

Khedira 4.5 : Da ex ci si aspettava di più, vista anche la sua esperienza in queste partite. Invece no, anche lui molto sottotono.

Dani Alves 5 : Altro che infondere fiducia ai compagni. Prestazione deludente, nessuna giocata, mai in partita. Sicuramente non il Dani Alves che tutti si aspettavano.

Dybala 4 : il grande assente di giornata, il fantasma della finale. Finale che la sua Juve l'aveva raggiunta anche grazie alla sua doppietta al Barcellona nei quarti. Tutti lo paragonavano già a Messi, tutti si aspettavano il grande acuto degno del genio argentino. E invece no, perché sotto il peso magari eccessivo di una partita qual è la finale di Champions, Paulo Dybala è sparito, o meglio non si è mai presentato.

Mandzukic 6.5 : L'unico sufficiente assieme a Buffon. Soprattutto per il gol, uno dei migliori (se non il migliore) della storia della Champions League, e per l'impegno.

Higuain 4.5 : Abbiamo capito che le finali non sono il suo forte. Solo due vinte negli ultimi anni, tutte con il Napoli (Coppa Italia e Supercoppa Italiana). Oltre al tiro, parato da Navas, e la sponda per Mandzukic nient'altro. Ci aspettavamo qualcosa di meglio dal Pipita.

Cuadrado (sostituisce Barzagli) 4 : Assieme a Dybala il peggiore. Perché non è possibile farsi espellere in pochi minuti, e soprattutto reagire seppur minimamente al fallo di Ramos.

Marchisio (sostituisce Pjanic) s.v. : Cosa ci si poteva spettare da Marchisio? Che cambiasse il corso del match sicuramente no. E così è stato.

Lemina (sostituisce Dybala) 4 : Entrare fresco e farsi saltare in maniera così disarmante da Marcelo, che aveva corso per 90 minuti, e segno di scarso impegno, che sicuramente non può essere apprezzato.

Allegri 5 : Nel primo tempo non sbaglia niente, approccio e tattica della sua squadra. Nel secondo tempo, il crollo è inspiegabile e crediamo che nemmeno lui sappia spiegarselo.