lunedì 26 giugno 2017

RIPRENDERSI IL TRONO

L’ultimo anno è stato un mezzo disastro per Messi, che non è riuscito a conquistare nemmeno un trofeo. L’anno prossimo, sia col club sia con la Nazionale, sarà cruciale per riprendersi il trono.


Lo stesso re o regina può durare un tempo molto lungo o molto breve sul suo trono e tutto questo dipende, oltre che da cause naturali, anche da quanto i loro sudditi li amano.
Anche per ciò che riguarda “the beautiful game”, il termine “re” del calcio è utilizzato ormai da molti anni e ancora per molti anni ne faremo uso. Lo utilizziamo per definire un calciatore che con le sue giocate e con i suoi gol è capace di stabilire una differenza importante o in alcuni casi abissale tra lui e i suoi altri coetanei. I king del calcio sono stati vari nel corso del tempo e delle ere fútbolistiche, dagli anni ’50 in poi: in ordine cronologico Di Stefano, Pelé, Cruyff, Maradona, Ronaldo, Ronaldinho e infine per quanto concerne gli anni Duemiladieci, non possiamo che non inserire allo stesso livello, Messi e CR7. Questi due fenomeni si sono alternati e spartiti tutti i trofei collettivi e individuali vincibili del calcio moderno e fino a che il fisico glielo concederà, continueranno a farlo. Una diarchia così imponente, nove Palloni d’oro negli ultimi nove anni, non si era probabilmente mai vista, anche perché nel corso dei decenni è stato molto complicato trovare un giocatore, oltre al “re” di turno che potesse competere a livello tecnico e di bacheca con quest’ultimo (l’unico caso potrebbe essere negli anni ’80 tra Van Basten e Maradona). Come già spiegato sopra, l’alternarsi tra il #10 del Barça e il #7 del Real è stato il leitmotiv degli ultimi dieci anni di calcio, e questo non può che comportare anche un’alternanza di stagioni buone e annate sottotono da parte di due extraterrestri come Leo e Cristiano.
Per quanto riguarda Messi, il protagonista di quest’articolo, è giusto sottolineare come gli ultimi due anni, ma in particolare l’ultimo, non siano stati sicuramente tra i migliori disputati dalla Pulce, che ha deluso le attese sia con il club sia con la Nazionale, portando a casa zero tituli. Per questo motivo, l’anno venturo sarà più che cruciale per il nativo di Rosario. Sarà determinante perché l’obiettivo è molto chiaro: riprendersi il trono ai danni di CR7, ma soprattutto farsi innalzare a divinità dai suoi connazionali.

1. Vincere con il Barça
L’ultima stagione di Lionel Andres Messi con la maglia blaugrana può sicuramente essere definita una delle sue migliori dal punto di vista statistico: con 54 gol in 52 partite (1.038 gol di media a partita), l’annata appena passata è inclusa tra le migliori quattro del talento argentino, nonostante le 73 reti in 60 partite dell’anno 2011-2012 restino ancora parecchio lontane. Questa differenza si può però ridurre all’importanza che Messi ha avuto nel corso degli anni,
dato che cinque anni fa Leo era il centro dell’attacco (Pedro e Sanchez permettendo), mentre ora spartisce i gol con altri due fenomeni, quali sono Neymar e Suarez.
Dal punto di vista dei trofei invece, la stagione del #10 è stata più che povera, perché in bacheca, oltre al trofeo di capocannoniere (o pichichi) della Liga, si è aggiunto unicamente la Coppa del Re, che in Spagna non ha chissà quale importanza, come d’altronde accade in Italia. Finale perlopiù giocata contro l’Alavés, una squadra che l’anno scorso galleggiava in Segunda División e che potrebbe essere il Genoa italiano, sicuramente non il più temibile tra gli avversari da poter incontrare. Anche quest’ultimo fatto ha in un certo senso sminuito l’ultima annata della Pulce che sarebbe potuta essere celebrata maggiormente se avesse incontrato nell’atto finale un club più forte di quello che poi ha affrontato.
A livello tattico, la stagione passata è stata innovativa per Messi, poiché il talento di Rosario ha cambiato la posizione da gennaio in poi, passando da ala destra a enganche (trequartista) nel 3-4-3 di Luis Enrique. Schema che l’allenatore del Barcellona aveva inizialmente proposto nello storico match contro il Psg e che poi, rivelatosi vincente, aveva riutilizzato nei match importanti (come per esempio nel ritorno dei quarti di Champions contro la Juve). Il seguente modulo era ovviamente stato studiato dall’ex nazionale spagnolo pe favorire Messi, per trovargli in campo una posizione più adatta a lui, che gli permettesse sia di sfruttare una fascia di campo più ampia dove poter agire, sia una porzione di campo che non lo costringesse a rimanere sulla fascia destra, ma che gli consentisse di avere una maggior quantità di movimenti da poter fare, così da non poter dare degli ovvi punti di riferimento agli avversari. Il nuovo schema, oltre a favorire l’argentino, favoriva tutta la squadra e l’attacco blaugrana in generale, che con Messi da trequartista aveva sostanzialmente a disposizione quattro attaccanti (il #10 si aggiungeva al trio Rafinha-Suarez-Neymar).
Alla fine, neanche il 3-4-3 è riuscito a salvare la stagione del Barça, che è uscito con la Juve nei quarti di finale e che ha perso la Liga di 3 punti, sconfitto dagli acerrimi rivali del Real (nonostante la squadra di Luis Enrique avesse vinto lo scontro diretto al Bernabeu grazie a una doppietta sontuosa proprio di Messi).
Questo mancato doblete, che è invece riuscito ai tanto odiati blancos, ha fatto sì che l’allenatore ex Roma lasciasse l’ambiente catalano in maniera ancora peggiore di quanto avrebbe potuto se fosse andato via l’anno prima, nonostante l’annuncio della chiusura del ciclo fosse arrivato molto prima, verso aprile.
Da quel momento in poi è iniziata la caccia all’allenatore che si è definitivamente conclusa con la presentazione, il 1 giugno, di Ernesto Valverde, ormai ex tecnico dell’Athletic Bilbao. Le varie testate, ma in generale i football media spagnoli indicano Valverde come il profilo giusto per allenare in questo momento una squadra come il Barcellona. Adatto dal punto di vista psicologico, poiché bilancia autorità e leadership con la calma trasmessa in campo, ma anche adatto sotto il punto di vista tattico, dato che le sue squadre sono molto simili al Barcellona di Guardiola, ovvero club che pressano alto,  fanno tiki taka ad altissima velocità con margini di errore ridotti al minimo. Si suppone quindi che la Pulce possa trovarsi e intendersi a meraviglia con il nuovo coach che ha il compito, semplice o arduo lo sapremo nel corso dell’anno, di riportare il club catalano sul tetto del mondo.

2. Vincere con l’Albiceleste
Il rapporto con il proprio Paese non è mai semplice, e se poi parliamo di Lionel Messi, allora non possiamo non definire il rapporto burrascoso. Perché il talento di Leo è in fin dei conti un’arma a doppio taglio: da un lato può causare gioia ed entusiasmo sfrenati ai propri tifosi, ma allo stesso tempo dall’altro lato può creare disappunto e malumore nei cuori dei supporter argentini.
Poiché essere Messi, e soprattutto essere argentino, non è per niente facile. Più veloce del battito d’ali di una farfalla, infatti, scatta il paragone con Maradona, che però come molti sanno, è improponibile da fare.
Il confronto con El Pibe non regge, perché se l’ex Napoli ha vinto di più con l’Argentina rispetto a Messi, allora la Pulce ha vinto di più di Maradona coi club: agli occhi di tutti questo discorso parrebbe inutile, ma non a quelli degli argentini, che considerano la loro Selección qualcosa di sacro. Ecco spiegato in modo semplice come mai Lío non è per i suoi connazionali alla pari di Diego: perché il primo ha vinto al massimo un oro alle Olimpiadi, mentre il secondo si è caricato una squadra sulle spalle e l’ha portata a vincere un Mondiale.
I ripetuti insuccessi di Leo in questi anni hanno tutti una causa scatenante, ossia i CT che si sono susseguiti sulla panchina della patria natia di personaggi come Carlos Gardel ed Eva Perón. Il grande problema che li accomuna tutti, e che probabilmente si cercherà di risolvere fin da subito, e che tutti i vari allenatori hanno sempre considerato la Pulce come una sorta di divinità scesa in terra, e hanno unicamente pensato a costruire una squadra piena di giocatori che si adattassero tatticamente e caratterialmente al nativo di Rosario. L’esempio più lampante per capire fino in fondo la questione è senza ombra di dubbio il caso Icardi, che fino a poco tempo fa divideva in due fazioni tutto il mondo calciofilo, anche non per forza argentino. La faccenda girava ancora una volta intorno al rapporto tra il capitano dell’Inter e l’attaccante del Torino Maxi Lopez, che come tutti ben sanno sono stati al centro del gossip sportivo per molto tempo, dopo che il #9 nerazzurro aveva “rubato” la moglie a Maxi, prendendosi anche i tre figli che quest’ultimo aveva avuto dalla showgirl argentina. Tutto questo però non era sufficiente a garantire abbastanza pathos alla storia, e allora i fan di Icardi aggiungevano che il loro idolo non era preso in considerazione dai CT a causa dell’amicizia di lunga data tra Lopez e Messi (una volta compagni di squadra al Barcellona), che si contrapponeva alla convocazione del bomber interista.
La situazione è stata finalmente risolta con l’arrivo in panchina di Jorge Sampaoli, che arrivava sul banquillo del suo Paese dopo un’esperienza di un solo anno con il Siviglia. Non c’è però da sorprendersi che il tecnico abbia firmato subito, dato che nella clausola rescissoria che lo legava al club andaluso c’era scritto che in caso l’Argentina avesse chiamato, l’allenatore sarebbe potuto diventare commissario tecnico.
E dopo aver firmato, tra le prime cose che Sampaoli ha pensato che fosse giusto fare, c’è stata quella di convocare Icardi per le due amichevoli estive in programma, contro Brasile e Singapore. Una scelta definita da chiunque come giusta, perché alla fine è da pazzi non convocare un giocatore per ragioni così banali e inutili, anche quando si sa che il suo valore è di un certo livello.
Tornando però a parlare del rapporto Messi-Sampaoli, diciamo che il confronto tra i due potrebbe essere molto simile a quello con Valverde in quel di Barcellona. In primis perché entrambi i coach preferiscono trattare Messi come un calciatore normale e non come una divinità da servire e riverire, ma anche perché il loro sistema di gioco e le loro tattiche si assomigliano parecchio. Entrambi infatti prediligono un giro palla molto rapido e un pressing molto alto, al fine di recuperare il pallone nel minor tempo possibile e convertire subito l’azione da difensiva in offensiva.
Questo potrebbe rivelarsi un netto vantaggio per la Nazionale, perché se Messi inizia ad intendersi a meraviglia con chi lo allena e inizia a capire che il suo modo di giocare è simile a quello del suo Maestro, allora da quel momento in poi sarà molto difficile fermare un extraterrestre in missione, qual è Lío.

L’importante per lui, per il Barça e anche per l’Albiceleste è che la gente che lo circonda e che lo supporta, i compagni che sono con lui in campo, siano di livello alto. Perché così come nell’NBA, anche nel calcio il supporting cast, deve essere di prima qualità. Perché il campione potrà pure fare la giocata spettacolare, ma senza i punti di tutti gli altri, un solo uomo non può mai portare da solo una squadra al successo. Igoudala e Shaun Livingstone insegnano. Lionel Messi è pregato di prendere appunti.

Nessun commento:

Posta un commento